Per molti aspetti la decisione non sorprende. Israele ha abituato la comunità internazionale ad accettare la “politica dei fatti compiuti” dalla quale è poi molto difficile recedere. I palestinesi hanno sperimentato e pagato sulla loro pelle questo modus operandi.
Le colonie e il Muro sui Territori Palestinesi sono stati realizzati nonostante le risoluzioni dell’Onu o la sentenza della Corte Internazionale dell’Aja affermassero che entrambi erano illegali. Ma adesso le colonie e il Muro sono lì e smantellarli comporta un costo politico, economico ed umano assai superiore alla scelta di non realizzarle.
Così è avvenuto a Milano. Gli apparati ideologici di stato israeliani avevano deciso di occupare un luogo strategico della città dal punto di vista della comunicazione e non hanno voluto recedere nonostante le crescenti contestazioni delle reti e associazioni che sostengono i diritti del popolo palestinese.
I supporter italiani della politica israeliana cercano di manipolare la realtà e di veicolare la kermesse di Milano come un innocuo evento culturale con scrittori e cantanti israeliani. Sanno tutti che così non è come non lo era stata la Fiera del Libro di Torino nel maggio del 2008.
Il convegno sul business tra Italia e Israele con la presenza di alte cariche istituzionali di entrambi i paesi rendono infatti la presenza di Grossman e il concerto di Noa un classico specchietto per le allodole.
Uno Stato ispirato ed edificato sulla base di un modello coloniale, ha infatti un bisogno estremo di curare la propria immagine all’estero, soprattutto quando la contraddizione tra immagine e realtà deflagra sistematicamente e ripetutamente in ogni punto in cui Israele viene a confliggere con gli attori sociali che ne contestano la politica colonialista, siano essi palestinesi o attivisti internazionali.
Le istituzioni italiane – nel loro complesso e dall’alto verso il basso – si adagiano nella complicità con la politica israeliana. Ne agevolano gli affari economici e le operazioni di immagine, come nel caso di Milano, e adottano una indulgenza straordinaria verso le azioni più brutali delle autorità israeliane limitandosi, quando è impossibile fare altrimenti, a parole di circostanza.
Alle vittime della politica israeliana vengono riservate sempre e sole parole e proposte parziali e consolatorie che hanno perso nel tempo anche il pudore dell’equidistanza.
Alla Fiera del Libro di Torino dissero che avrebbero dedicato una edizione anche alla Palestina ma ancora non si vede niente, il Presidente Napolitano in visita in Israele si è limitato a promettere una ambasciata per i palestinesi ma in cambio ha avallato l’intero impianto ideologico del colonialismo sionista, il neo sindaco di Milano annuncia che promuoverà una kermesse anche sulla Palestina e possiamo solo augurarci che sarà coerente tra enunciazioni e fatti.
Ma intanto la realtà ci dice che le cose vanno esattamente come è andata la storia fino ad oggi: nonostante esistesse una esplicita risoluzione dell’Onu lo Stato di Israele è nato nel 1948 e quello palestinese no.
Le istituzioni italiane con maggior pudore si trincerano dietro una formula fortemente depotenziata dalla realtà sul campo: due popoli due stati. Eppure sanno benissimo che oggi le condizioni minime sul piano territoriale, economico, ecologico, politico rendono impraticabile la nascita di uno stato palestinese effettivo, indipendente, sovrano, con confini liberi e sicuri. La politica israeliana dei fatti compiuti non include questa possibilità della storia.
Per questi motivi la decisione di non recedere dal consentire l’occupazione israeliana di Piazza del Duomo appare come una conferma dell’apparato ideologico di Israele, un apparato strettamente coerente con l’impianto colonialista del progetto sionista che “si è fatto Stato” e che lascia agli interlocutori solo la possibilità di piegarsi alla politica dei fatti compiuti.
Il governo Berlusconi si compiace pubblicamente di essere il “miglior alleato di Israele in Europa” e la kermesse di Milano è una delle cambiali da pagare sull’altare di questa alleanza. L’altra sarà probabilmente il tentativo di ostacolare la partenza della nave italiana nella Freedom Flotilla (come esplicitamente richiesto da Netanyahu) o di negare qualsiasi protezione ai cittadini italiani che vi si imbarcheranno, esattamente come è stato trascurato ogni serio intervento quando Vittorio Arrigoni è stato sequestrato e poi ucciso a Gaza.
Ben venga dunque la mobilitazione e la contestazione della kermesse israeliana a Milano. Gli attori sociali e politici che le animeranno in qualche modo riscatteranno anche l’immagine del nostro di paese, una immagine oggi inquinata dalla complicità a tutti i livelli con l’occupazione israeliana e la negazione dei diritti fondamentali dei palestinesi (oltre che dalla bombe vigliacche sulla Libia).
Quella della Palestina rimane una ingiustizia della storia e una vergogna permanente della comunità internazionale che spetta alla gente normale contrastare perché le istituzioni confermano che non ne hanno la volontà.
Per questo è importante la massima partecipazione democratica alle iniziative di informazione, controinformazione, contestazione che ci saranno a Milano nei prossimi giorni e alla manifestazione nazionale convocata a Milano per sabato 18 giugno.
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