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La precarietà è un inferno……e Londra brucia!

I profondi tagli che di fatto cancellano gli ultimi brandelli di garanzie sociali vengono così messi in discussione con pratiche conflittuali diverse fra loro ma unite da un solo filo: l’azione diretta e il rifiuto di un presente precario senza futuro.
Istintivamente la rabbia e la frustrazione per essere esclusi dalla possibilità di fruire dei benefici di un modello di sviluppo capitalista e consumista, genera conati di rivolta incontrollabili e miscele esplosive non rappresentabili. La scelta di usare la parola “criminali” nei confronti dei giovani e delle giovani inglesi, o greci potremmo dire, o cileni se volete, ha la funzione di ricacciare lontano e di esorcizzare l’incubo che siano proprio i figli e le figlie di questo società considerata benestante a metterla in discussione.
Dentro questa cornice, parole come coesione, responsabilità, dialogo, buon senso, concertazione, vengono usate a mani larghe, ma non funzionano.
L’insipienza della politica, concentrata in forma bipartisan nella difesa delle proprie rendite di posizione e delle lobbie amiche/clienti, non è in grado di comprendere il senso di esclusione degli indignados spagnoli, delle ragazze e dei ragazzi inglesi, di quelle greche e di quelli greci, delle precarie e dei precari delle nostre città. Bruciare macchine, mettere a fuoco edifici, saccheggiare, diventano gli evidenziatori massimi di una generazione che sta per essere sacrificata dentro la crisi, che verrà usata per giustificare milioni di licenziamenti di lavoratori e lavoratrici, per rinviare sine die il diritto alla pensione dopo decine di anni di lavoro. Ai cosiddetti garantiti verrà imposto di fare sacrifici perché ci sono i giovani da tutelare e così saremo solo tutti e tutte più precari/e.
Gli investimenti economici in questi anni hanno favorito la rendita e la speculazione finanziaria. L’intero tessuto sociale ha subito tutto questo e quando si è ribellato ha dovuto fare i conti con rinnovati apparati di sicurezza e sorveglianza.
La precarietà è un inferno non solo perché lo dicono le statistiche. Dentro i territori e per le strade la vita peggiora quotidianamente, la disoccupazione e la povertà interessano fasce sociali molto larghe, altamente scolarizzate e senza prospettive, escluse definitivamente da ogni forma di consumo materiale e immateriale. Incendiare i simboli, riappropriarsi di ciò che si desidera, tornare ad esistere. Questo unisce le acampadas spagnole e israeliane, i riot inglesi con le banlieu francesi, il nostro 14 dicembre 2010 con le mobilitazioni greche.
Entrare in connessione con questo battito e rompere gli indugi aprendo il conflitto contro la manovra finanziaria e il patto sociale che ci invita  ad un senso di responsabilità superiore, è quello che possiamo fare. Non possiamo accettare che la nostra sovranità sia limitata o negata. Liberiamo le energie necessarie per costruire l’autunno che vogliamo.
Il 10 settembre ci troveremo in molte e in molti per definire la nostra agenda verso lo sciopero dei precari e delle precarie, del sindacalismo conflittuale, dei territori in lotta per la difesa dei beni comuni e della sovranità decisionale sull’uso dei suoli, degli studenti e delle studentesse mobilitati contro la privatizzazione della scuola pubblica. Ma una data già è stata lanciata da Barcellona e da Madrid, una giornata di mobilitazione europea contro l’austerity per il 15 ottobre. Una data che dobbiamo raccogliere e rilanciare con forza, rifiutando ogni ipotesi di governo della crisi. Noi non ci sentiamo sulla stessa barca e non intendiamo remare insieme alla Confindustria, alle Banche e ai sindacati complici, ma non vogliamo nemmeno affogare perché per noi non ci sono scialuppe di salvataggio. Non ci resta che sollevarci insieme, indignati, tumultuosi, eccedenti, indipendenti, contro l’Europa dei banchieri e dei politicanti faccendieri. Noi il debito non lo paghiamo!

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