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In realtà le cose, a uno sguardo un poco più attento, si mostrano decisamente più complesse. Limitarsi a parlare di repressione diventa pertanto abbondantemente limitante. Il fatto che, un potere politico, utilizzi un certo grado di forza per sedare una situazione finita fuori controllo, di per sé, non è particolarmente significativa. Decisive, piuttosto, si mostrano le cornici all’interno delle quali gli attori sociali sono ascritti e i “modelli militari” utilizzati per riportare la situazione entro la “normalità”.

Come l’abbondante documentazione visiva ha mostrato, i riots sono stati multirazziali e intergenerazionali. Qualcosa di non troppo diverso, del resto, lo si era già visto nel corso delle rivolte delle banlieues. La gradazione cromatica della canaglia si mostrava di difficile connotazione. La stessa cosa si è verificata nelle città inglesi dove, per di più, l’età media dei partecipanti sembra essere stata più alta di quella francese. Rivolta non connotabile “razzialmente” o “culturalmente” e neppure riconducibile a quell’eterna rivolta della gioventù che difficilmente riesce a spaventare più di tanto.

Nelle strade delle città inglese sono state sepolte tutte le ipotesi che, in questi ultimi anni, hanno tenuto banco tra i più qualificati rappresentati del pensiero imperialista. Gli incendi londinesi hanno fatto un sol rogo di tutte le retoriche culturaliste, multiculturali, etniche, interetniche bruciando infine le abusate argomentazioni giovaniliste. Più prosaicamente, a riempire le strade britanniche sono state masse proletarie. Di ciò, ed è questo il punto, sugli organi di informazione non è apparsa traccia. Il che non è né casuale né, tanto meno, il frutto di una qualche disattenzione, bensì la migliore esemplificazione di un progetto strategico che le borghesie imperialiste stanno da tempo portando avanti con non poca determinazione.

Cosa significa, infatti, relegare nel mondo dell’esclusione sociale interi settori di classe apertamente in rivolta contro il potere imperialista se non delegittimare le loro azioni di qualunque valenza politica? Che cosa significa ascrivere interi segmenti sociali tra gli angusti e indistinti mondi della marginalità, se non dichiarare sin da subito che, con costoro, non è possibile né pensabile un confronto su un piano di pari grado e dignità? Che cosa significa – andando al sodo – relegare dentro l’invisibilità sociale interi settori proletari se non giustificare sin da subito la relazione necessariamente asimmetrica che si pone tra il potere legittimo e questi?

Ecco che, allora, i contorni degli “eventi londinesi” si fanno, al contempo, più nitidi, interessanti e densi di ricadute. La risposta militare del governo ha ben poco di anomalo, eccentrico, “reazionario” e “repressivo” ma, al contrario, è l’unico modello che un rapporto di potere che reintroduce una governance di tipo coloniale può adottare. Forse, in un secondo momento, una volta che il pugno di ferro avrà portato a termine la sua missione, è possibile che l’altra faccia della governance coloniale – il paternalismo – faccia capolino tra i quartieri operai e proletari.

Ciò che, in ogni caso, deve essere messo in chiaro è l’impossibilità, per gli insorti, di vagheggiare una qualche legittimità politica. L’abbiano espressa consapevolmente o meno. Così come, nelle colonie, a seguito della spada veniva in veste consolatoria la croce, nei ghetti operai e proletari dopo la polizia e l’esercito non è escluso che facciano capolino dame caritatevoli.

Alle masse, l’attuale fase imperialista pone due semplici alternative: il pieno assoggettamento volontario, con qualche spruzzo di carità, o la ferrea disciplina portata dall’esercito e dalla polizia. Per quote non secondarie di masse subalterne la metropoli si è ridisegnata sotto le forme della colonia. Adesso, in quanto marginali, gli indigeni, i nativi, i popoli senza storia sono loro. Ciò che le logiche della “guerra esterna” hanno in questi anni ampiamente sperimentato viene ora reintrodotto nei territori metropolitani mostrando come, sempre più, dentro e fuori abbiano perso gran parte del loro antico significato.

Così come, all’esterno, il nemico è stato da tempo svalutato e deprivato di ogni legittimità politica, a nessuna forza oppositiva alle forze imperialiste è riconosciuto lo status di nemico politico, all’interno a nessuno è riconosciuto lo status di nemico di classe.

Questo è ciò che Londra ci ha insegnato. La relazione asimmetrica domina e declina i rapporti sociali su un piano a noi, eredi della storia del movimento operaio occidentale, obiettivamente ignoto. È con questa dimensione che dobbiamo imparare a misurarci e a costruire le forme politiche e organizzative adeguate per combatterla. Il futuro è già iniziato.

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