E molto chiaramente. Banca d’Italia e Corte dei Conti si sono alternate ieri mattina davanti alle Commissioni bilancio di Camera e Senato. E hanno espresso apprezzamento solo per la rapidità della risposta del governo all’ormai famosa «lettera» inviata dalla Bce con indicazioni ultimative («altrimenti non compreremo i vostri Btp per ridurre lo spread», in pratica) e, quindi, per la dimensione dei «saldi finali»: 45 miliardi. Ben poco d’altro si è salvato, lasciando dunque pensare che ben di peggio sarebbe stato detto nei confronti del testo uscito dal «vertice» tra Bossi e Berlusconi e che sarà quello discusso nei prossimi giorni al Senato. Ignazio Visco, vicedirettore generale di Palazzo Koch, ha fissato i paletti fin dall’introduzione. «Eventuali cambiamenti nella struttura della manovra dovrebbero andare nella direzione di ridurre il peso degli aumenti delle entrate, accrescere il ruolo delle misure strutturali, minimizzare gli effetti negativi sul prodotto, contenere l’incertezza circa l’attuazione di alcune misure (quali la delega fiscale e assistenziale e le modalità con cui verrà esercitata la clausola di salvaguardia)». Nulla di tutto questo è contenuto nel nuovo «papello» partorito in quel di Arcore. Anzi. Un «aggiustamento» di questo tipo «avrà inevitabilmente effetti restrittivi sull’economia», perché ogni aumento delle entrate – in presenza di crescita zero – significa ridurre il reddito socialmente disponibile (anche quando avviene in misura molto diseguale, come ora) e quindi ridurre la domanda interna. Senza la quale non si va lontano, visto che «la crescita del commercio mondiale difficilmente tornerà nei prossimi anni sugli elevati livelli precedenti la crisi. Rischiamo quindi una fase di stagnazione, che rallenterebbe anche la flessione del peso del debito sul Pil». Un lavoro sanguinoso, dunque, ma forse anche inutile, se non vi viene «associata una politica economica volta al rilancio delle prospettive di crescita della nostra economia». Ma attenzione. Sarebbe ingenuo prendere le indicazioni di Bankitalia come un viatico per una manovra meno antipopolare. Il metter mano alle pensioni, per esempio, va benissimo. Anzi, si poteva cogliere l’occasione per «completare il processo di riforma del sistema pensionistico, correggendo le disparità di trattamento ancora esistenti tra diverse categorie». O anche «prevedere un ulteriore graduale aumento delle “quote” per l’accesso alla pensione di anzianità» e persino «anticipare l’incremento dell’età di pensionamento per vecchiaia delle lavoratrici del settore privato da 60 a 65 anni». In definitiva, pure l’aumento dell’Iva sarebbe stato ben accolto, usandolo magari per ridurre il «cuneo fiscale» (la differenza tra salario lordo e netto), ma sarebbe stato promosso anche «un prelievo sugli immobili» (una bestemmia, per un governo alfiere degli immobiliaristi). Certo, Bankitalia affronterebbe con piglio molto diverso l’evasione fiscale, abbassando a livelli minimi la soglia per l’uso del contante e incentivando l’uso della moneta elettronica (ma finché i costi di utilizzo saranno proibitivi…) e non si concederebbe «interventi che accrescono le spese» (come l’aumento di 2 miliardi della dotazione del Fondo per gli interventi strutturali, «utilizzato in passato per finanziare interventi con finalità eterogenee»). Ma «le misure per la crescita» ipotizzate non si discostano di una virgola dalle pretese di Confindustria: «recuperare competitività e creare un ambiente più favorevole all’attività d’impresa, all’offerta di lavoro, alla formazione di capitale umano e fisico», ovviamente tramite «riforme strutturali» che taglino certe spese una volta per tutte e avviando un nuovo round di privatizzazioni e liberalizzazioni. La Corte dei Conti, con il presidente Luigi Giampaolino, non ha usato argomenti diversi. Semmai ha quantificato («il ricorso prevalente alla leva fiscale, quasi 3/4 della manovra, comprime il reddito e accentua i rischi depressivi», «nell’ipotesi ottimistica l’aumento della pressione fiscale da qui al 2014 sarà di 2 punti percentuali»); criticato il modo di fare i calcoli («perplessità per la scelta di formulare la manovra senza un aggiornamento del quadro economico») o di dare per scontate entrate dubbie («a oggi restano ancora da versare 4,2 miliardi dell’ultimo condono fiscale»). Conti che fa anche Confindustria, la quale – nel «compromesso di Arcore» – nota un buco di 4 miliardi per cui non si cede copertura. La rinuncia all’aumento dell’Iva e al «contributo di solidarietà» dovrebbero essere sostituite dalla stretta sull’abuso di «società di comodo». Un’eventualità, che può magari produrre – se fatta con scrupolo e severità – anche di più. Ma non è un’entrata certa…
° da il manifesto – 31 agosto
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa