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Non finanziate la prosecuzione della guerra in Libia

A nome della Rete No-war, che ha sviluppato in questi 6 mesi di guerra in Libia una serie di iniziative per cercare di giungere ad un cessate il fuoco ed ad una trattativa tra le parti, non mi dilungherò su una serie di punti qualificanti che sono stati già ampiamente trattati nella relazione di Cremaschi ed in una serie di interventi che ci trovano pienamente d’accordo.

Vorrei attirare l’attenzione su un punto che già è contenuto nella piattaforma: il punto 2 che chiede un drastico taglio delle spese militari e la fine delle avventure militari in cui l’Italia è coinvolta, dalla Libia all’Afghanistan.

Bisogna acquisire la consapevolezza che la fine della guerra in Libia, che prosegue nel silenzio generale con l’assedio ed il bombardamento di varie città – come Sirte o Bani Walid, con alto tributo di morti e sofferenze da parte della popolazione – e l’opposizione ad ogni altro intervento militare, sono strettamente collegate alla crisi del debito ed alla crisi generale del capitalismo. La tentazione dei paesi occidentali è quella di scaricare almeno in parte la crisi sfruttando la propria potenza militare ed andando a depredare a mano armata le risorse naturali e, nel caso della Libia, anche finanziarie, dei paesi in via di sviluppo che cercano di seguire strade autonome.

Le scuse per gli interventi sono sempre le stesse: difesa dei diritti umani, esportazione della democrazia, difesa dei civili, Queste false motivazioni spesso riescono a disarmare anche il mondo pacifista e della sinistra che nel caso dell’ultima guerra in corso è stato in gran parte inerte ed assente.

E’ necessario che la difesa dei diritti dei lavoratori, la lotta contro il debito e lo strapotere delle banche, non sia disgiunta da quella delle popolazioni che vengono sottoposte a barbare e sanguinose aggressioni. I lavoratori di quei paesi – e non solo i migranti, ma anche quelli che restano nei rispettivi paesi – stanno sulla stessa barca su cui siamo in Italia e in Europa come lavoratori italiani ed europei. Guai ad assumere un atteggiamento di disprezzo eurocentrico e considerare come non degne di considerazione le istituzioni che si sono sviluppate in quei paesi.

C’è un pericolo anche più grande, già giustamente sottolineato nell’intervento di Giulietto Chiesa, e cioè che qualche grande potenza in declino che vive al di sopra delle proprie possibilità, non sia tentata di regolare i conti con i paesi emergenti a suon di bombe.

Nella manifestazione del 15 ottobre, che speriamo sia imponente e combattiva e segni l’inizio in Italia, e non solo, di un nuovo movimento per la difesa dei diritti e delle condizioni di vita e la trasformazione della società, non dimentichiamo questa dimensione internazionale, e non solo europea, senza cui il movimento rischierebbe di marciare in una strategia monca e limitata.

Chiediamo quindi con più forza il non rifinanziamento dell’avventura libica e la fine immediata delle ostilità.

* Rete romana No War.

L’intervento preparato per l’assemblea all’Ambra Jovinelli di sabato scorso

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