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Il nuovo Patto Fiscale europeo: fine della democrazia

 

Il senso del Trattato è espresso dal Titolo III, che porta a sua intestazione Fiscal Compact (‘Patto fiscale’), chiesto esplicitamente dal Presidente della BCE, Mario Draghi, nel suo discorso al Parlamento Europeo il 1° dicembre 2011.

Le modalità autoritarie non sono dovute solo al fatto che una banca centrale, la BCE, chieda e ottenga dai governi la definizione di un nuovo patto fiscale; è che, a differenza delle stesse rivoluzioni borghesi del 1688-89, del 1776 e del 1789, i governi siglano un patto fra di loro al posto dei cittadini.

Nelle rivoluzioni borghesi si conveniva un patto tra cittadini e monarchi affinché il potere fiscale fosse di competenza dei parlamenti, della rappresentanza. Ora i governi si auto-conferiscono il potere fiscale per imporre, per gli anni a venire, le politiche di austerità in modo da scaricare i costi della crisi economico-finanziaria sui popoli europei.

Il secondo fatto, che colpisce al cuore i principi democratici, è l’obbligo di inserire in Costituzione il ‘pareggio di bilancio’, ciò che impone una nuova ‘costituzione economica’ comportando la cancellazione della possibilità da parte delle istituzioni pubbliche di intervenire nella gestione dell’economia con provvedimenti anticiclici, che hanno caratterizzato i paesi capitalistici del Secondo dopoguerra dove si è accettato il ‘compromesso keynesiano’ con la gestione della domanda pubblica e la costruzione del Welfare State. Si afferma all’art. 3, comma 2, che le regole del pareggio di bilancio: «devono avere effetto nelle leggi nazionali delle Parti contraenti al massimo entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato attraverso previsioni con forza vincolante e di carattere permanente, preferibilmente costituzionale». Con un Trattato di carattere internazionale si interviene per modificare le Costituzioni così da legittimare nella legge fondamentale, la prima nella gerarchia delle fonti, il liberismo con le sue politiche dell’offerta tese all’espansione del mercato e dell’impresa privata. Il Parlamento italiano ha già votato, in prima lettura, la modifica dell’articolo 81 per imporre una camicia di forza alle politiche di bilancio. Sarà la Corte di Giustizia dell’UE a verificare l’avvenuto inserimento e a comminare eventuali sanzioni (art. 8).: la Costituzione è resa vassalla delle esigenze di bilancio dettate dai mercati finanziari.

Il terzo fatto, che mina alla radice la stessa democrazia rappresentativa, è che a decidere le politiche fiscali non saranno più le rappresentanze elette ma la tecnocrazia della BCE e dei governi riuniti nel Consiglio europeo con la collaborazione della Commissione e del Vertice Euro. Infatti saranno questi organismi, seguendo le procedure definite dal Patto Euro Plus e i parametri indicati dal Six Pack, a decidere ‘la sostenibilità delle finanze pubbliche’ dei paesi membri per garantire anno dopo anno il consolidamento fiscale.

Siamo oltre il Trattato di Maastricht perché questo prevedeva il limite del 3% del deficit annuale e il 60% del PIL come limite massimo del debito; prevedeva sì le procedure di disavanzo eccessivo, ma non l’accentramento delle decisioni delle politiche fiscali, che ora si è creato. Entrate e spese sono sottoposte al vaglio del Consiglio Europeo, della Commissione e del Vertice Euro, con l’attiva partecipazione della BCE, in modo che il deficit annuale strutturale non oltrepassi lo 0.5% del PIL. Nel caso si oltrepassi questo limite, afferma sempre l’art. 3, interviene la Commissione per imporre un’azione correttiva. Azione correttiva che viene letteralmente imposta altrimenti scattano non solo pressioni ma sanzioni come previsto dalle procedure del ‘semestre europeo’.

Intanto, per spingere gli Stati a ratificare questo nuovo Trattato si afferma, in un ‘considerando’, che il sostegno finanziario previsto dal Meccanismo europeo di Stabilità (noto con la sigla inglese ESM) scatterà solo se sarà approvato dai rispettivi Parlamenti.

L’articolo 4 impone l’abbattimento del debito pubblico, per la quota che eccede il 60% del PIL, un ventesimo all’anno. Per l’Italia ciò significa un abbattimento di circa 47 miliardi l’anno, quasi il 3% del PIL!

L’articolo 5 prevede l’attuazione, in partnership con l’UE, di un programma relativo sia al bilancio sia alla politica economica che ‘includa una descrizione dettagliata di riforme strutturali’. Intendendo con ‘riforme strutturali’ quelle del mercato del lavoro, dei servizi pubblici, della previdenza. È il programma che sta realizzando il governo Monti: prima il taglio alla previdenza con l’allungamento della stessa età pensionabile, poi le liberalizzazioni e privatizzazione dei servizi partire da quelli a rete, poi il mercato del lavoro, per facilitare ancor di più licenziamenti e flessibilità.

L’articolo 6 prevede che la stessa programmazione della collocazione dei titoli di debito pubblico deve essere comunicata ex ante all’UE per coordinarla a livello europeo. Inutile ricordare che l’emissione dei titoli è una delle ‘prerogative’ più incisive dei ministeri del Tesoro, che ora di fatto viene spostata a Bruxelles.

Le procedure di governance previste dal Titolo V del Trattato sono la razionalizzazione di quelle già assunte con il ‘semestre europeo’, che voglio rapidamente ricordare.

Il Consiglio ECOFIN del 7 settembre 2010, ha modificato il Codice di condotta per l’attuazione del Patto di stabilità e crescita mediante le procedure del ‘semestre europeo’, avviato nel gennaio 2011. La loro novità è nella discussione e nell’indicazione ex ante delle politiche di bilancio, le cui fasi principali sono: a metà aprile quando gli Stati membri sottopongono i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia UE 2020) e contestualmente i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee-guida dettate dal Consiglio europeo; a inizio giugno quando, sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le Raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri; nella seconda metà dell’anno quando gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, sulla base delle Raccomandazioni ricevute. In un’indagine annuale la Commissione dà conto dei progressi conseguiti dai paesi membri nell’attuazione delle Raccomandazioni stesse.

L’impianto procedurale del semestre europeo ha, dunque, già prodotto scelte operative e atti legislativi costituendo il modus operandi della governance economica europea. Questa, con il Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011, si è arricchita del Patto Euro Plus, che lo stesso governo italiano ha riconosciuto essere un ‘momento di innovazione costituzionale’: «Gli effetti del Patto non sono e non saranno limitati alla dimensione economica […] ma esteso alla dimensione politica. Effetti destinati a prendere la forma di una sistematica e sempre più intensa devoluzione di potere dagli Stati-nazione ad una comune nuova e sempre più politica entità europea» .

Approvato il 4 ottobre 2011, il Six pack prevede un deposito dello 0.2% del PIL per lo Stato che infrange le regole del limite del deficit annuale del 3% trasformabile in una multa, prescrivendo altresì il rientro del debito nel limite del 60% del PIL nell’ordine di un ventesimo ogni tre anni (previsione ripresa dal nuovo Trattato).

Se messe insieme queste regole – inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, deficit annuale allo 0.5% del PIL, abbattimento dello stock del debito per riportarlo al 60% del PIL, ‘riforme strutturali’ per ampliare il ruolo del mercato –, ci accorgiamo che l’altro pilastro che mancava all’euro, la gestione delle politiche fiscal ed economiche, è stato costruito. I bilanci dei paesi membri saranno definiti e gestiti dall’oligarchia di Bruxelles e la moneta dalla BCE, con l’obiettivo della stabilità finanziaria per rendere certi e promuovere gli scambi di mercato e gli investimenti privati a livello continentale .

Abbattimento della rappresentanza politica e distruzione dei diritti sociali sono i figli gemelli del nuovo ‘patto fiscale’, per questo l’opposizione alla sua ratifica fino alla richiesta di un referendum di indirizzo per sottoporlo al giudizio popolare, come quello tenutosi nel 1989, è un passaggio cruciale per dare forza alla resistenza contro le misure di austerità e per porre le basi di un’altra Europa − l’Europa democratica dei/delle cittadini/e.

* Comitato No Debito e animatore del Forum Diritti/Lavoro

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