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Il default sociale della Grecia parla anche a noi

“La Grecia non deve fallire” ripetono in coro gli avvoltoi che continuano a spolpare un paese ed un popolo ridotto allo stremo. I greci sanno infatti che a fallire saranno loro. Il 20 marzo scadono obbligazioni per un totale di circa 14 miliardi di euro, che il governo greco al momento non può rinnovare.

Per ottenere un nuovo prestito la troika ha voluto in cambio un nuovo e potente colpo di mannaia: 150 mila licenziamenti nel settore pubblico più altri 15 mila nelle aziende a partecipazione statale più migliaia di insegnanti; una diminuzione tra il 20 e il 30% dei salari che sono stati già ridotti più volte in questi anni; la diminuzione del budget della Sanità (già al collasso) di 1 miliardo di euro; la cancellazione di fatto del contratto nazionale collettivo di lavoro; tagli pesanti anche alle pensioni e ai sussidi sociali e di disoccupazione.

Con cinque manovre consecutive di lacrime e di sangue per  lavoratori, pensionati, disoccupati, i governi greci hanno accettato tutti i diktat che gli sono stati imposti dalla Bce, dall’Unione Europea e dal Fmi, ma sarebbe più giusto dire dal governo della Germania e dalle banche e multinazionali tedesche. Due manovre nel 2010, due manovre nel settembre 2011 ed infine quella approvata ieri che aggiunge nuove pesantissime misure – altri 3,3 miliardi di tagli –  alle conseguenze di quelle precedenti. La disoccupazione è salita al 20%, il 27,7% della popolazione  – e si arriverà a breve al 30% – è a rischio povertà o esclusione sociale.

Sono state tagliate le pensioni di anzianità e cancellata la reversibilità, il pubblico impiego è stata la vittima più sacrificata, ridotti gli stipendi, 13^ e 14^ quasi del tutti scomparse, licenziamento immediato per 15.000 dipendenti pubblici dopo che già 30.000 impiegati erano stati posti in mobilità  dal settembre scorso, salario minimo lordo decurtato a 580 euro.

Queste manovre un effetto l’hanno avuto, eccome!  Sono servite a diminuire la crescita tanto che gli esperti prevedono  a fine 2012 una caduta del PIL del 12% senza che ciò abbia prodotto alcun risanamento nei conti pubblici!

Eppure non basta, non basta ancora, e i governi del direttorio franco-tedesco si rivelano peggiori di ogni immaginazione.

Si scopre infatti che la Germania e la Francia hanno imposto alla Grecia di acquistare armamenti tedeschi e francesi per centinaia di milioni di euro nonostante siano costretti – sempre dagli stessi – a imporre feroci tagli di spesa su salari, pensioni, sanità. Il Wall Street Journal conferma che Berlino e Parigi avevano preteso l’acquisto di armamenti (carri armati, sottomarini, cannoni) come condizione per approvare il piano di salvataggio della Grecia. Il governo greco ha provato a negoziare ma alla fine, nel 2011, ha dovuto tirare fuori1,3 miliardi di euro per due sommergibili tedeschi, 403 milioni di euro per i carri armati Leopard, La Francia ha imposto l’acquisto di 6 fregate, 15 elicotteri  e motovedette francesi per una spesa di 4,4 miliardi di euro.

Sbaglia chi pensa o chi dice – come fa il Presidente Napolitano – che l’Italia non sarà mai come la Grecia. I criteri di rientro dal debito e di riduzione del deficit messi in cantiere dal governo Monti appartengono alla medesima logica e hanno lo stesso ordine di priorità. Certo, in Italia le terapie d’urto che in Grecia si sono concentrate in soli tre anni, sono state spalmate in venti: dal1992 a oggi. In Italia iniziano in quella data le privatizzazioni di banche e servizi strategici, il blocco dei salari, gli aumenti e l’introduzione di nuove imposte,  le controriforme del sistema previdenziali. Qualcuno potrebbe pensare che “abbiamo già dato”.

Ma non è così e le misure adottate o programmate dal governo Monti su pensioni, mercato del lavoro e privatizzazioni, indicano che la terapia d’urto antipopolare e antidemocratica non è affatto finita, anzi, si appresta ad assestare colpi di clava pesanti e sostenuti dai diktat della Commissione Europea che domani (martedi) renderà noto un documento nel quale si afferma che in Italia – come in Grecia –  “non basta, non basta ancora”!.

La rabbia esplosa in piazza Syntagma e nelle strade di Atene è ampiamente giustificata e lancia un grido che tutti i lavoratori e i sindacati europei dovrebbero fare proprio: dobbiamo fermarli!! Ora, subito, adesso!!

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