“I sonetti del Badalucco nell’Italia odierna”, di Gianni Celati, è l’ultimo libro che ho acquistato nella libreria di Grigorys Kapsomenos, la Libreria delle Moline di Bologna. Ma Gregorio, quel giorno, non c’era. C’era Marta, la sua compagna. Quando ho chiesto di lui Marta, con un filo di voce, ha detto: “Gregorio è mancato due mesi fa, non ce l’ha fatta”. E le parole che avrei voluto dire, in quel luogo di parole, non c’erano più. Mi sono limitato a stringerle la mano e ad abbozzare un sorriso che non è venuto. Lasciandola ai suoi impegni ho cominciato a girare fra gli scaffali alla ricerca di un libro, come facevo negli anni universitari. E mi è venuta in mente una frase di Marcello Fois che, di quella libreria, è un frequentatore: “I libri non sono corpi vuoti, non sono vasi da riempire: sono appartamenti da abitare. Non appartamenti preconfezionati, tutti uguali, dappertutto si vada. Non sono come quelle grandi catene alberghiere per cui essere in Kenia piuttosto che in Francia è assolutamente identico. Uno dentro un libro deve entrarci, togliersi le scarpe. Perché bisogna stare molto comodi dentro un libro”. Stare dentro la libreria di Gregorio, chi l’ha “abitata” lo sa, era proprio come stare a casa propria: si stava comodi. Appena varcavi quella soglia si riducevano i chilometri di distanza e, magicamente, si placavano i graffi della nostalgia che a volte attanagliava noi studenti fuori sede.
Scelto il libro l’ho portato alla cassa dove c’era Marta.
“Lo leggerò pensando a lui”, ho detto. Marta l’ha preso fra le mani e ha detto che le sembrava una bella scelta, una scelta che avrebbe apprezzato anche Gregorio che amava Celati e gli scrittori discreti, quelli che non urlano e che non pontificano. Forse è per questo che nella sobria vetrina della Libreria delle Moline l’ultimo bestseller di grido non era impilato su una torre a sovrastare gli altri libri. Se proprio il libro primo in classifica c’era, lo trovavi a fianco di quello di uno scrittore esordiente, uno del quale Gregorio, sorseggiando un caffè assieme a lui, ti faceva un resoconto ch’era succinto come una quarta di copertina, ma più esaustivo di una recensione.
Perché la vetrina della libreria era democratica e amava la libertà come il suo proprietario che nel ‘69 aveva lasciato la Grecia dei Colonnelli per vendere libri e sogni a lettori che hanno apprezzato la sua incantevole competenza e la sua simpatia. Lettori che, spesso, hanno avuto il privilegio di diventare suoi amici. Lettori che non lo dimenticheranno, così come non dimenticheranno la Libreria delle Moline che, grazie alla cordialità di Marta, sarà ancora un luogo in cui sentirsi a casa propria.
Augusto Secchi
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
roberto sassi
RESISTERE ALLA STORIA: il volto sincero della cultura, dialogo su Gregorio Kapsomenos.
Capita di fare visita, nel ristorante greco Tosteki (Punto di ritrovo) a Niko uno dei quattro soci del locale, appena tornato dai turbolenti giorni della sua Grecia. Capita di ritrovarsi a parlare di un uomo, un amico, un resistente per cui si può ancora scomodare una parola importante quale “puro”, di un libraio che insieme alla sua compagna Marta ha fatto del suo lavoro un’attività di critica partecipativa e più recentemente, cioè prima di morire, nell’aprile dello scorso anno, un luogo di aggregazione culturale (parola peregrina e dal significato etico): Gregorio Kapsomenos.
E’ un pomeriggio in cui Bologna come in una grande allegoria del momento storico, reduce dai giorni della grande neve, è tagliata a metà tra una pioggerellina continua, fredda e della pungente neve.
Nel locale, sono le 16.00, alcuni camerieri fanno la pausa pranzo, due o tre avventori finiscono il proprio pasto, un paio di cuochi cambiano il turno e vanno a casa, qualcuno passa per salutare, altre persone vengono per chiedere di mangiare o per riservare un tavolo. Niko altissimo e dalla barba bianca (volto che richiama quello di Leonard Boff), col suo modo spiccio e generoso, ritma questo flusso di persone ora parlando in greco, ora in italiano, ora affidandosi alla traduzione in inglese di una cameriera con i diversi avventori, amici e passanti.
Sono andato per fare due chiacchiere su Gregorio, la Grecia dei colonnelli, la resistenza e il recente evento organizzato a Mikonos dai compagni dove è stato mostrato il documentario “Gregorio delle Moline”, durante una commemorazione a lui dedicata .
D. Come è arrivato in Italia?
N. Come la maggior parte dei greci nel 1973. Là c’era l’esame di ammissione all’Università, a numero chiuso, ed era molto difficile entrare. In pratica sono arrivato in Italia per fare lo studente, in quel periodo mi affascinava l’idea di andare all’estero. Soprattutto perché in Grecia c’erano parecchie restrizioni. Non perché io fossi molto consapevole, tutt’altro, non avevo una coscienza politica. Però il clima asfissiante di dittatura che c’era in Grecia ti spingeva ad andare verso l’estero. Ero influenzato da quello che mi raccontava mio fratello ed altri miei amici, che già studiavano in Italia o in altri paesi. Era un modo di evadere dalla Grecia, anche se non proprio un modo cosciente e consapevole fino in fondo.
D. Come ha conosciuto Gregorio Kapsomenos?
N. Io sono arrivato nel 1973-74. Qui, nella comunità ellenica, c’era un clima fortemente politico. Da piazza Verdi fino all’interno dell’Università per l’ammissione degli studenti c’era un movimento forte di tutti i colori politici, dai socialisti ai comunisti, ai marxisti-leninisti. C’erano questi luoghi comuni, dove la gente si trovava. Come dicevo, piazza Verdi e piazza Maggiore. Soprattutto in piazza Maggiore, nei vari bar, era pieno di studenti, di esuli, molti dei quali non riuscivano a rientrare in Grecia perché facevano attività antifascista. In uno di questi luoghi che frequentavo c’era anche Gregorio, ci salutavamo appena con un ‘ciao’. Mi incuriosì questo personaggio, che passava dall’analisi della situazione politica in Grecia, da ciò che si doveva fare, come reagire, come informare greci ed italiani, fino al suo modo di vedere anche altri fatti.
Per esempio, una volta, sono rimasto esterrefatto quando due mamme di studenti greci che stavano ricamando parlavano con Gregorio, e lui cominciò a spiegare loro le varie tecniche di ricamo che esistevano in Grecia nei vari luoghi, a Creta, in Macedonia… Sono rimasto esterrefatto di come una persona, soprattutto un maschio, potesse sapere anche queste cose.
In seguito sono entrato anch’io a fare parte di questa lotta, che era d’obbligo per una persona un po’ sensibile, un po’ democratica e antifascista, in Grecia. L’ho conosciuto perché mi sono schierato con la formazione politica dove lui era uno dei personaggi più in vista e più importanti. Mi sono schierato e abbiamo iniziato a parlare soprattutto politicamente.
Ci siamo poi ritrovati anche nelle riunioni, e ho potuto conoscere questo personaggio che, diciamo, aveva una parola diversa dagli altri. Non che fosse più o meno combattivo, più ortodosso o meno ortodosso, più coerente o meno, ma era il diverso, cioè aveva un altro modo di vedere ed impostare le cose. Aveva un modo di fare le analisi che andava fuori dai soliti schemi che noi avevamo come formazione politica. In quel periodo facevamo un giornale: Laikì Enòtita (Unità Popolare). Lui era uno dei redattori che lo scrivevano dall’inizio alla fine, lo stampavano, lo distribuivano, assieme ad un altro gruppo.
Ci siamo poi trovati anche in alcune manifestazioni avvenute in Grecia contro i colonnelli. Una volta avvenuto il cambiamento, più o meno democratico, in Grecia, abbiamo continuato a fare attività politica per parecchi anni fino allo scioglimento del nostro movimento, come è accaduto per altre formazioni che non erano ortodosse o istituzionali (noi eravamo più al di fuori, più radicali ed extraparlamentari), perché molti greci non venivano più, altri sono andati via. Eravamo pochissimi ed io sono rimasto qui con Gregorio.
D. Il 21 aprile 1967 in Grecia incomincia una lunga notte il periodo dei colonnelli, c’erano stati segnali di questo drastico evento?
N. Già dal ‘63 in poi comincia a crescere moltissimo il movimento in Grecia.
D. Per movimento cosa intende ?
N. Il movimento generale per le conquiste democratiche, per un’istituzione più democratica. Già negli anni ‘66-‘67 c’erano delle manifestazioni continue, la gente voleva più democrazia, più libertà sindacale e già qualcuno avvertiva la possibilità di un colpo di stato. Ovviamente le forze di sinistra istituzionali non lo accettarono, Non lo hanno mai ammesso, infatti il colpo di stato ha trovato tutta la sinistra impreparata. Vennero arrestati, portati in esilio. Nessuno aveva la possibilità organizzativa di reagire a questo, e per questo si sono formati i focolai di resistenza soprattutto all’estero e non in Grecia, perché in Grecia c’erano pochissime azioni di protesta. Infatti, i movimenti all’estero furono molto più forti che all’interno della Grecia.
D. Accennava prima, parlando di Gregorio, dell’attività di resistenza. Come si faceva resistenza, che tipi di resistenza esistevano?
N. La resistenza consisteva soprattutto nell’informare i greci che venivano all’estero su come era la situazione in Grecia. Come nel mio caso: uno studente apolitico qualsiasi, che non sapeva praticamente che realtà si viveva in Grecia, perché quella realtà veniva nascosta o camuffata da altre cose come il calcio, il Panatinaikos che andava alla finale. Un modo di agire, d’altra parte, comune a tutti i regimi dittatoriali.
Una cosa importante che facevamo, era informare la gente che arrivava sullo stato delle cose in Grecia, informare la società italiana, cercare di boicottare il regime in Grecia. Una delle cose che dicevamo a tutti i compagni, era di non andare in Grecia, non dovevano andare a portare i loro soldi con il turismo in Grecia, ma dovevano invece cercare di boicottare l’economia greca. Invitavamo la gente a raccogliere dei fondi per tutte le persone esiliate, i loro famigliari, e a fare assieme a noi delle battaglie per quelli che stavano in prigione, venivano torturati, ecc…
D. Esistevano diversi gruppi di resistenza in Italia?
N. Si, c’erano parecchie formazioni politiche. C’era quella che poi è diventata il Partito Socialista, che era ben compreso, ma che purtroppo è degenerato in quella cosa che è oggi. C’era il Partito Comunista Greco filo-sovietico, che dopo il ‘68 si è spaccato in due, un Partito Comunista filo-europeista, più vicino al PCI e l’altro, più ortodosso, filo-sovietico. Poi c’era la nostra formazione maoista, marxista-leninista, nata negli anni ‘60 all’interno della Grecia.
D. Esistevano legami con movimenti in altri stati europei?
N. In quel periodo si. Non tanto europei quanto con i vari fronti che esistevano nel cosiddetto terzo mondo. Avevamo molti rapporti con compagni sudamericani, palestinesi, eritrei, con i vari fronti che esistevano, il Polisario ad esempio… Allo stesso modo, qui in Italia, nonostante avessimo una formazione extraparlamentare, abbastanza rigida, fortunatamente avevamo d’altra parte rapporti con tutti i democratici italiani: il Partito Socialista, il Partito Comunista Italiano, le formazioni extraparlamentari. Il nostro era un fronte antifascista, anti-imperialista. Cercavamo di includere tutta questa gente.
D. Da parte della popolazione italiana, dai partiti, dai media, fino a che punto era capita la vostra posizione?
N. Direi che, rispetto a ciò che ho conosciuto e da ciò che mi hanno raccontato quelli che c’erano precedentemente alla mia venuta, il colpo di stato colpì parecchio la popolazione italiana. In Europa un colpo di stato così forte, in un paese così vicino, fu, in un certo senso, sconvolgente. Una città come Bologna poi, la Bologna rossa, diede una mano consistente a tutte le persone che erano in quel periodo contro il regime. Dalle cose più semplici e banali, che erano l’aiutare a trovare una casa (addirittura alcuni avevano la casa dallo IACP) fino a distribuire, per quelli che non avevano possibilità di ricevere aiuti dalla Grecia, dei buoni mensa per andare a mangiare. Comunque fu una solidarietà capillare, fino alla caduta dei colonnelli: nelle manifestazioni, nelle Feste dell’Unità, dappertutto si parlava dei fatti greci, i sindacati CGIL e UIL, il Primo Maggio in piazza Maggiore davano sempre la parola ai compagni greci. Voglio dire che ci fu una sensibilità, almeno qui in Emilia-Romagna, molto forte, reale.
D. Quando scriveva o telefonava agli amici in Grecia la vostra posizione era compresa dai vostri coetanei e dagli adulti?
N. Noi cercavamo sempre di non parlare e non scrivere. Quando però andavamo in Grecia, la direttiva della nostra organizzazione era sempre di fare propaganda. Ci trovavamo ancora nella fase sensibilizzazione della gente, cercavamo di far capire qual’era il regime e il modo di reagire e di organizzarsi. Eravamo in una fase iniziale. Il massimo che riuscivamo a fare era portare là qualche giornale stampato qui, oppure approfittare delle manifestazioni che la Grecia faceva in Italia, soprattutto quelle ufficiali e sportive. Ricordo una manifestazione clamorosa con moltissima gente quando a Milano al San Siro giocava il Milan con il Paok di Salonicco. Dentro lo stadio c’erano 7000 greci che manifestavano contro il regime, con lo scopo di far uscire in radio gli slogan urlati contro i fascisti.
D. Qual’era, all’interno dell’organizzazione, il suo ruolo ed il ruolo di Gregorio Kapsomenos?
N. Gregorio era una delle prime persone coinvolte in questo movimento, perché era venuto qui per la prima volta nel ‘66 e poi ‘69. Uno dei principali esponenti dell’organizzazione ed uno dei primi che ha aderito a questo movimento, cercando di costruire al centro-nord Italia delle organizzazioni coinvolgendo delle persone, di conseguenza uno dei primi che ha lottato contro la dittatura. Paradossalmente, addirittura qui a Bologna, come organizzazione c’era la Lega Greca, praticamente gente pagata dai colonnelli. Questi all’interno dell’Università, non facevano altro che le spie, gente pagata, dei fascisti. Allora per riuscire a costruire delle formazioni bisognava mandarli via, e ci sono stati degli scontri fisici, sia qui che a Perugia, dove andavano le matricole. Gregorio fu una delle prime persone che ebbe (chi ha conosciuto Gregorio più tardi queste cose non le ha viste) degli scontri contro il terrorismo che questi personaggi fascisti facevano, soprattutto nei confronti delle matricole. Gregorio era un esponente del nostro partito, in Italia uno dei dirigenti, era quello che scriveva sui giornali, informato di quello che succedeva, anche in Grecia, e dopo il cambiamento è stato un dirigente anche in Grecia. Infatti andava là molto spesso.
D. Mi può ripetere il nome del movimento?
N. Si chiamava Partito Comunista Greco Marxista-Leninista.
D. Il 14 novembre 1973, con la rivolta del Politecnico, si mostra l’attiva reazione degli studenti e la durezza del regime, avete in qualche modo contribuito alla protesta?
N. All’’interno del Politecnico si scontrarono due posizioni: quella che sosteneva che ci fosse in Grecia un regime fascista che andava rovesciato con tutti i mezzi, anche violentemente, e quella che sosteneva che si dovesse riformare ed arrivare ad una soluzione. Alla fine ha prevalso lo scontro diretto. D’altra parte, anche se tu non volevi scontrarti, non è che i colonnelli ti lasciassero esprimere la tua opinione. Questa tensione era già iniziata, in estate, alla facoltà di Giurisprudenza.
D. Cosa è stato colto e cosa è stato dimenticato della resistenza?
N. Posso parlarne su due piani. Personalmente, tornerei a vivere quei momenti senza indugi. Non mi interessa il fatto che oggi io abbia una posizione, una stabilità economica, che viva bene con il mio lavoro, guadagnando, non mi interessa. In quel periodo l’intensità con cui abbiamo vissuto faceva si che ventiquattr’ore non ti bastassero, eri felice, eri contento, vivevi la solidarietà con le altre persone, vivevi in una collettività di persone dove sentivi l’umanità del vicino, capisci?! Eri coinvolto in un progetto che era il tuo sogno. Queste sono cose impagabili, per me almeno, le ho vissute in modo profondo, mi hanno cambiato radicalmente. Infatti, se amo questa città, la amo anche per questo, perché ho vissuto questo in questa città. Si, mi hanno influenzato molto i miei compagni, mi hanno cambiato, ma mi ha cambiato anche questa città. Mi ha dato tanto questa città in quel periodo con la solidarietà e il modo di vedere le cose. Questo sul piano individuale, se io con il poco che ho fatto, sono parte di quel periodo di resistenza, quel momento rimane dentro di me, dentro la mia coscienza, e penso che rimarrà fino alla fine.
D’altra parte, sul piano politico, quello che vedo è che sono cambiate tante cose in Grecia così velocemente, sino alla situazione di oggi, che molte delle cose di cui parlavo precedentemente non esistono nemmeno più per loro.
D. Intende che non riescono a comprenderlo o proprio non esiste?
N. No, non esiste proprio, l’hanno cancellato dalla loro memoria, purtroppo. E in questo caso accuso, fondamentalmente, di quello che è successo in Grecia i socialisti. Un “socialismo” che ha proprio cambiato le coscienze, ha demolito la società, ha distrutto praticamente tutto quello che era stato creato in questi anni.
Per tornare al discorso di prima, invece, se io sono stato rimasto affascinato e legato a Gregorio è stato per questo: perché Gregorio è rimasto un puro. Una persona che per quello che ha fatto, scusami (si emoziona), quello che ha vissuto, lui, ha continuato a viverlo. Questa è per me la cosa più importante.
Facendo il libraio, per esempio, è rimasto lo stesso soggetto politico. Diceva sempre: “Quello che mi piace del mio lavoro è il confronto”. Quello che lui ha amato è stato questo confrontarsi sempre, vedere la gente cambiare e cambiare se stesso.
D. L’evento dell’11 febbraio scorso cosa rappresenta?
N. E’ stato un giorno strano. Cera una pioggia tremenda, ci sono state più di 150 persone in questo centro. Io ho rivisto delle persone che non vedevo da 20 anni, è stato un piacere tornare indietro negli anni ‘Cosa facciamo, cosa non facciamo’, da questo punto di vista sono stato anche contento.
D. Erano persone del movimento?
N. Si. Persone che mi ha fatto estremamente piacere rivedere, seduti nello stesso tavolo a bere un bicchiere come se fosse ieri. Tutte queste persone, chi più e chi meno, hanno parlato di Gregorio. Cerano i suoi due fratelli che hanno portato, come si usa, il Rakì, i dolcetti alle mandorle. Ha poi suonato un compositore, amico di Gregorio, che ha fatto un ultimo cd su Brecht e Tassos, molto bravo. Purtroppo c’è stato anche qualcuno patetico che non mi è piaciuto. Uno che viene e commemora Gregorio dicendo che il partito e la sinistra lo hanno aiutato a diventare un bravo Ingegnere, sono tentato di mandarlo a quel paese.
D. Educatamente … (sorrido)
N. Educatamente (sorride). Oppure c’è stato anche quello che ritrovandosi dopo tanti anni assieme, pensava si trattasse di una riunione del partito e ha incominciato a fare l’analisi politica della situazione, perché secondo lui, per commemorare Gregorio, bisognava dire che cosa si fa oggi nella Grecia che è in fallimento.
D. Voleva attualizzare i discorsi del partito?
N. Si, attualizzare. Il che è stato patetico, però la serata è stata una bella serata. Abbiamo finito alle due di notte e qualcuno è rimasto ancora.
D. Davanti al quadro politico generale ed alla figura di attivista, di uomo della cultura che è stato Gregorio (qui in Italia ricordato quasi solo come libraio) qual è l’eredità che una vita comune e partecipativa di un uomo come lui possono lasciare?
N. Guarda, Gregorio penso che abbia lasciato alle persone che gli sono state vicine, alle persone che lo hanno capito, un segno indelebile: la coerenza. Due cose importanti, anche all’interno del partito, ma anche nei periodi duri, di lotta dura, ma anche nei periodi meschini che tutte le organizzazioni attraversano: la sua sincerità e la sua coerenza. Queste sono le cose fondamentali, per me rimane questo, è stato una persona coerente e sincera.
Mi sono accorto, mentre riducevo per ragioni editoriali quest’intervista, che i dialoghi, le discussioni, in sé possono apparire cose minime , piccole esplosioni emotive, raggruppamento di idee, spinte rigide o caotiche verso qualche direzione. Eppure sembrano essere capaci a volte di dare senso alla vita, una proporzione alla memoria ed ancora una volta una spinta ai pensieri. Sembra così che la Bologna mitica (specchio di un Paese?) delle discussioni interminabili, delle lotte attive, e della passione per i fatti non sia un invenzione degli Upper-Fifty ma invece una vena viva, in qualche vicolo della città, in qualche carta stampata od on-line. Chissà.
R. Cerolini 21 Febbraio 2012 Bologna.