In quei giorni l’allora vicepresidente del consiglio si mostrò più interessato alla gestione dell’ordine pubblico, si fa per dire… che all’esito del meeting internazionale. Insieme ad un altro parlamentare del suo partito, il carabiniere Filippo Ascierto, s’era acquartierato nella sala operativa dell’Arma dentro la caserma di san Giuliano, proprio nelle ore fatidiche in cui senza motivo i parà del Tuscania caricavano a freddo uno dei cortei che procedeva lungo il percorso regolarmente autorizzato, ed un altro carabiniere, Mario Placanica, uccideva Carlo Giuliani.
Dopo la sentenza della cassazione della scorsa settimana, che ha confermato la condanna dei vertici della Polizia per il massacro alla Diaz e il successivo tentativo di falsificazione delle prove, un po’ tutti hanno preso parte alla cerimonia delle scuse. Scuse tardive, ipocrite, pronunciate a denti stretti magari pensando esattamente il contrario, ma comunque formulate come si conviene nella più diplomatica delle ipocrisie.
Il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri e l’attuale capo della Polizia Antonio Manganelli non si sono sottratti alla formula di rito, persino il prefetto De Gennaro, oggi sottosegretario alla presidenza del consiglio ma all’epoca ai vertici della Forza pubblica, ha farfugliato qualcosa evitando accuratamente di pronunciare scusa.
Assordante invece è stato il silenzio della politica: dell’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola come dell’attuale presidente della Camera Gianfranco Fini. E a ben vedere qualcosa dovrebbero dire anche quelli del governo precedente, che organizzarono in dettaglio fino ad un mese prima l’evento: da Giuliano Amato e il suo ministro dell’Interno Enzo Bianco che a Napoli, nel marzo precedente, aveva dato vita alla prova generale di quella che sarebbe stata la gestione militare dell’ordine pubblico durante il G8.
Se le Forze di polizia sono colpevoli, come ha sancito in modo definitivo la quinta sezione penale della cassazione, la politica non è innocente.
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