Come abbiamo imparato, lo spread di cui si parla misura il divario tra gli interessi a dieci anni sul debito pubblico italiano e quello tedesco. È diventato unanimemente un misuratore dello stato di salute della nostra economia, per cui la sua riduzione sarebbe un indubbio successo del governo dei tecnici.
Senonché c’è un altro dato che viene sostanzialmente ignorato e che invece a me pare molto più rilevante. Alla fine del 2011 il tasso di disoccupazione in Germania era del 7,1% mentre quello italiano stava all’ 8,5%. Lo spread sulla disoccupazione stava dunque a 140 punti, se si usano gli stessi sistemi di calcolo e riferimento adottati per lo spread finanziario.
Naturalmente i dati sulla disoccupazione non ricevono una misurazione altrettanto accurata e uniforme rispetto a quelli sugli interessi per il debito pubblico, che guidano la finanza e le Borse. Essi sono sempre e non a caso interpretabili e interpretati, in modo da rendere minore l’allarme mediatico. Quindi misurando l’evoluzione dello spread disoccupazionale ci prestiamo all’accusa di volere comparare dati non esattamente omogenei tra loro, ma lo facciamo lo stesso.
Alla fine del 2012 la disoccupazione in Germania ha subìto un leggero calo, passando ad un tasso del 6,8%. Viceversa in Italia ci sono, secondo la CGIA di Mestre, almeno 600.000 disoccupati ufficiali in più. A questi andrebbero aggiunti molti dei cassaintegrati in attesa del licenziamento ed i precari che lavorano e guadagnano per poche settimane all’anno.
Ma anche senza queste centinaia di migliaia di persone che esistono e soffrono e pesano sul disastro economico sociale reale, i numeri sono impressionanti. In un anno il tasso di disoccupazione italiano è salito oltre l’ 11%, aumentando di almeno 250 punti. Rispetto alla Germania, in cui la disoccupazione è leggermente diminuita, lo spread disoccupazionale è dunque salito di ben 280 punti!
Nella sostanza, la riduzione del differenziale negli interessi del debito tra Italia e Germania si è trasferita in un quasi uguale aumento della differenza tra i livelli di disoccupazione. È difficile non paragonare questi due dati così impressionanti nella loro similitudine e non concludere che la riduzione dello spread in Italia è stata pagata totalmente dai disoccupati.
Il successo finanziario di Monti è dunque stato una disfatta sociale per il paese. Questo dato dovrebbe essere al centro della campagna elettorale. Invece al di là delle frasi di circostanza finora lo spread disoccupazionale non ha avuto alcun ruolo nel confronto politico. Le Camere poco prima dello scioglimento hanno approvato all’unanimità, dalla Lega a all’Idv, la legge che attua il pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, cioè quella misura che assieme al fiscal compact, accettato da tutto il centro sinistra, obbliga il paese a continuare senza tregua nella politica di austerità. Cioè a proseguire quella politica che ha totalmente anteposto la riduzione dello spread finanziario a quella della disoccupazione.
Ora ci si diletta sulle solite varianti del “ma anche”: coniugare austerità e equità sociale, rigore e crescita. Ma queste formulette non vogliono dire assolutamente nulla. I dati dell’ economia reale dimostrano che o si cambiano i paradigmi delle scelte economiche e si mette PRIMA la lotta alla disoccupazione e DOPO lo spread finanziario. O si usa la spesa pubblica per creare lavoro e si colpiscono gli interessi delle banche e la speculazione finanziaria, rompendo con la politica economica e con i vincoli che dominano tutta l’Europa, oppure Monti vincerà le elezioni anche se non prenderà voti.
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