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Sconfitta, rivoluzione, militanza… Il senso ritrovato

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Oggi Erri de Luca, parlando alla presentazione del libro di Barbara Balzerani, ha detto una cosa a mio parere molto importante. Mentre raccontava la storia e l’impegno di quella generazione – l’ultima generazione rivoluzionaria del Novecento, l’ultima per cui impegno voleva dire essere disposti a tutto – si è ricordato di un poster che vide in chissà quale sede sperduta, un poster del Black Panther Party. sopra c’era scritto: “Essere sconfitti è inevitabile”.

Era giusto un accenno, questo di Erri, che gli serviva per dire: nessuna sorpresa nell’avere perso, la sconfitta è inscritta in ogni tentativo rivoluzionario. Sembrava quasi trovarci, Erri, la formula per cancellare tutti i dolori di una stagione di lotta finita male, troppo male: abbiamo perso e tanto, ma non è colpa nostra, non c’è da dannarsi. Tutto quello che la storia ci ha tolto ce lo ridarà al prossimo giro, quando si aprirà un nuovo ciclo rivoluzionario, perché in fondo “il passato cambia sempre”.

Io non so se Erri ha ragione. Quello che faccio ogni giorno mi porta a pensare di sì. guardo i miei compagni più piccoli, chi si è appena gettato nella lotta, e li vedo ricominciare un movimento vecchio quanto la Storia. E prende senso quel poco che ho fatto io, anche solo cinque o dieci anni fa. vanno verso il futuro, e riscrivono il senso del mio stesso passato.

Ma se quello che dice Erri è vero, abbiamo una pesante consegna. e non perché dobbiamo vincere qualcosa al posto di quella generazione che ha perso tutto: quello sarebbe, tutto sommato, ancora poco – un assalto può sempre riuscire. Ma perché dobbiamo ripensare la nostra militanza attraverso il lutto, la perdita, l’inevitabile sconfitta. Che non vuol dire affatto deprimersi, essere pessimisti, tirare indietro – d’altronde non era questo quello che facevano le Black Panthers… Vuol dire piuttosto che dobbiamo mettere in discussione una maniera illusa e disimpegnata di fare le cose, quella retorica trionfalista di cui si sono riempiti per anni i comunicati, spezzare quell’alternanza di esaltazione e frustrazione, quel pensiero infantile che si sforza di trovare il positivo ovunque, perché del negativo ha una fottuta paura. Ma, hai voglia di fare, il negativo non lo cancelli con le chiacchiere o convincendoti a vicenda, ridisegnandoti il mondo nel chiuso di una stanza. Il negativo è là fuori: sono le mazzate, le prigioni, gli abbandoni, i tradimenti, le sere soli a casa, la testa dura dei fatti, le teste dure di chi ci circonda. Tutte cose che solo se sei un vero rivoluzionario non ti affossano, ma ti spingono a dire, insieme a Beckett: “prova ancora, fallisci ancora, fallisci meglio”.

Ecco, ammettere di essere stati sconfitti è l’unico modo per ricominciare davvero.
Ammettere di poter essere sconfitti è l’unico modo per impegnarsi sul serio.
Ammettere che si sarà sempre sconfitti è l’unico modo per mettersi all’altezza delle nostre aspirazioni. non è una pietra tombale: è la sola condizione di chi ha tutto da guadagnare.

Per il resto, chi ti dice che è facile, ti prende per il culo. Ma chi ti dice che questa cosa, così difficile a farsi, è anche dannatamente bella, e può riempire una vita, tante vite, be’ quello lì c’ha una ragione di pazzi. E va seguito, proprio come tutti i pazzi.


* militante napoletano, 17 maggio 2013

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