Si fa presto a straparlare di “conflitto”. Se uno si accontenta di nuotare – sempre meno liberamente – nelle “tonnare” predisposte in piazza dalla polizia italiana, meglio che non si avventuri in questa lettura. Se invece non sopporta proprio di sentirsi come un insetto sotto la lente dell’entomologo, è bene che vada avanti.
Il conflitto sociale è materia che può e deve essere analizzata in maniera scientifica, tenendo conto dei precedenti storici come delle tecnologie esistenti, della “qualità” del nemico come di quella degli “amici”. Altrimenti ci si inoltra in un terreno sconosciuto, irto ovviamente di rischi imprevedibili, dotati soltanto delle proprie buone intenzioni e di una dose di incoscienza sopra la soglia.
Un’inchiesta eccellente apparsa sul giornale inglese The Guardian nei giorni scorsi aiuta a rimettere con i piedi per terra sia l’idea che la pratica reale del conflitto sociale. Come fa? Semplice: guarda a quel che il Pentagono sta facendo da alcuni anni a questa parte per “implementare” la sua già immensa conoscenza.
Da prima ancora che l’11 settembre rendesse concreto il concetto di “guerra asimmetrica”, ai piani alti della Difesa statunitense si era capito che “il nemico” dei futuri scenari bellici sarebbe stata la popolazione civile. Quella di altri paesi, in primo luogo di quelli che per vari motivi economici e politici gli Stati Uniti avrebbero considerato degni di essere attaccati. Ma anche la propria; e hanno fatto esperienza sia con Occupy Wall Street che con il controllo delle Ong.
L’inchiesta condotta da Nafeez Ahmed – nome pachistano, ma cittadinanza inglese e ruolo accademico oltre che giornalistico – mette in luce soprattutto l’arruolamento delle “scienze sociali” nelle fila dell’esercito degli Stati Uniti. Si parla di un buon numero di professori universitari, beneficiati di finanziamenti mirati.
L’articolo lo abbiamo tradotto e ve lo proponiamo qui sotto. Ma ci sembra utile sottolineare alcuni temi, visto che la prospettiva di Nafeez Ahmed – limpidamente liberal – non corrisponde alla nostra.
Prima questione. Il Pentagono ha chiesto l’intervento degli scienziati sociali per modellizzare le modalità con cui agiscono, si sviluppano e prendono consistenza sociale i movimenti politici che puntano a un cambiamento radicale del sistema economico e politico. Dei movimenti “rivoluzionari”, si potrebbe dire, se questo termine non assumesse contenuti assai diversi – praticamente opposti – se accostato ai conflitti per una “società socialista” oppure a quelli miranti a un califfato islamico o altro integralismo religioso. Per brevità, allora, diciamo che si tengono sotto tiro tutti quei movimenti che contrastano con “l’equilibrio desiderato dagli Stati Uniti”, senza riguardi agli obiettivi finali. Modellizzare significa cercare le ricorrenze stabili in flussi di movimento altamente variabili. Significa puntare alla conoscenza dell’essenza semplice del movimento in quanto tale per predisporre gli strumenti – comunicativi, di intelligence e infiltrazione o specificamente militari – per costrastarlo e distruggerlo. Per quanta fantasia conflittuale ritengano di avere i protagonisti dei diversi movimenti, infatti, le modalità di diffusione (del discorso, organizzative, di mobilitazione o di “contagio”) sono sostanzialmente riconducibili ad alcuni schemi principali; con alcune variazioni sul tema che dipendono dalle “culture” in campo avverso o anche dal livello di sviluppo dell’area interessata (una cosa sono i movimenti metropolitani altro quelli delle bande nel deserto, per schematizzare).
Restringere questa variabilità a pochi “modelli” consente dunque di predisporre contromosse e strategie replicabili in diverse situazioni, sia pure con le necessarie differenze. E quindi anche di formare un personale militare e/o di intelligence in grado di affrontare più situazioni specifiche, con alle spalle un addestramento standard da implementare ad hoc. Nessuna “originalità assoluta” è infatti ipotizzabile quando si prenda in considerazione il comportamento umano rispetto a contesti “simili”. Il “rivoltoso” che crede di essere totalmente imprevedibile è insomma un illuso, un insetto che si muove inconsapevole sotto la lente dell’entomologo che lo sta studiando per sopprimerlo.
Destino certo, dunque? Assolutamente no. Ma, sembra banale dirlo, bisogna elevare la propria conoscenza al livello della scienza del conflitto. In modo da capire come ragiona l’entomologo e contrastarne le mosse. Meno (molta meno) “spontaneità”, più scienza, insomma.
Seconda questione. Tutti i social network – come già illustrato dalla vicenda di Eward Snowden – sono da tempo utlizzati dalle diverse “agenzie della sicurezza” statunitensi per mettere a punto non soltanto la conoscenza “nominale e individuale” degli oppositori alla politica degli Stati Uniti, in qualsaisi paese risiedano, ma anche e soprattutto i comportamenti che questi mettono in atto. Il tutto per arrivare a prevedere le modalità di concentrazione di questa/e opposizione/i in rivolte o rivoluzioni vere e proprie (c’è una differenza drastica tra i due termini, ma non ci sembra il caso di ricordarla in questa sede).Cosa significa? Che le uniche “rivoluzioni via internet” possibili sono quelle promosse, finanziate, appoggiate dagli Stati Uniti; mentre ogni movimento contrario sarà monitorato e contrastato proprio a partire (anche) dal controllo della Rete.
Non è una sorpresa, almeno a livello concettuale. Ogni strumento, in mano a un militare, è sempre “double use”; può servire per attaccare o difendersi, come qualsiasi altra arma.
Terzo. La visione strategica del Pentagono – e quindi anche della Casa Bianca e del Congresso degli Stati Uniti – si pone decisamente oltre e fuori i confini della democrazia politica. Non soltanto perché le popolazioni dei paesi diversi dagli Usa sono programmaticamente escluse dalla possibilità di decidere autonomamente del proprio destino – nella misura in cui queste decisioni vengano ad limitare o danneggiare “gli interessi degli Stati Uniti” (nazionalizzando il petrolo o altre materie prime, per esempio). Anche la polazione interna al centro dell’imperialismo “gode” ormai dello stesso trattamento (“gli scenari di formazione HTS ‘adattavano i COIN [scenari di controinsurrezione] pensati per l’Afghanistan o l’Iraq’ a situazioni interne ‘degli Stati Uniti, dove la popolazione locale è stata vista dalla prospettiva militare come una minaccia per il normale equilibrio di potere e influenza, e come una sfida alla legge e l’ordine'”). Ci sembra di poter dire che si tratti ormai di una svolta epocale nel capitalismo occidentale, peraltro attuata con destrezza nella costruzione dell’Unione Europea (trattati intergovernativi, centralizzazione dei poteri nell’esecutivo e assenza di un’assemblea elettiva dotata di potere legislativo). E programmata nelle “riforme costituzionali” messe nero su banco dal governo Renzi, in Italia.
Un corollario necessario, ammesso indirettamente anche dal Pentagono, è il controllo diretto dei mezzi di informazione e comunicazione (dalla stampa alle tv), incaricate di “piegare” le coscienze limitandone si la natura che la disponibilità di informazione libera. Un tema che da solo distrugge il mito dell'”opinione pubblica” e del “consenso informato”.
Quarto. Di conseguenza, non c’è più distinzione tra “nemico combattente” e “oppositore politico”. Anzi, proprio i “non combattenti” sono al centro dell’analisi affidata agli scienziati sociali sotto contratto. Una eco minore di questa nuova “cultura del conflitto” è arrivata anche in Italia. Basti guardare all’aggravante di “terrorismo” elevata contro un numero crescente di esponenti del movimento No Tav. Questo passaggio è quello che preoccupa di più Ahmed, il Guardian e i liberal anglosassoni, perché mette in discussione radicalmente il loro ruolo e la stessa loro esistenza. Quasi un’eutanasia.
Quinto ed ultimo. Non ci sembra un caso – anzi vi vediamo l’operare di una forza superiore e incontrollabile condizionante persino l’agire militaresco dell’imperialismo – che il programma di ricerca finanziato dal Pentagono sia stato avviato all’esplodere della crisi finanziaria del 2007, che (giunta ormai alla conclusione del settimo anno consecutivo) sta mettendo a nudo i limiti insuperabili del presente modo di produzione e vita. Né che il nome immaginato per il programma sia Minerva. Non sappiamo se al Pentagono attualmente sia in servizio anche qualche filosofo fallito – è più che probabile – ma di sicuro la scelta invera ancora una volta la tragedia della conoscenza: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.
Del capitalismo o dell’umanità, questo è il dilemma.
p.s. Siamo convinti che indubbiamente i nostri lettori sapranno trovare altri spunti di notevole interesse nell’inchiesta di Ahmed. Non avrete che da segnalarceli…
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Il Pentagono si sta preparando ad affrontare rivolte di massa
Nafeez Ahmed – The Guardian – 12 giugno 2014
Il Pentagono sta finanziando la ricerca delle scienze sociali di modellizzare i rischi di “contagio sociale” che potrebbero danneggiare gli interessi strategici degli Stati Uniti.
Un programma di ricerca del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (DoD) sta finanziando le università per modellizzare le dinamiche, i rischi e punti critici di disordini civili su larga scala in tutto il mondo, sotto la supervisione di varie agenzie militari statunitensi. Il programma multi-milionario in dollari è stato progettato per sviluppare immediati e a lungo termine “spunti rilevanti a scopi di combattimento” per alti funzionari e decision maker “della comunità politica della difesa”, e di informare la politica sviluppata da “comandi combattenti.”
Lanciato nel 2008 – anno della crisi bancaria globale – la ‘Minerva Research Initiative’ del Dipartimento della Difesa ha stabilito rapporti di partneriato con le università “per migliorare le conoscenze di base del Dipartimento della Difesa di sulle forze sociali, culturali, comportamentali e politiche che formano le regioni del mondo di importanza strategica per gli Stati Uniti. “
Tra i progetti premiati per il periodo 2014-2017 c’è uno studio della Cornell University guidato dalla dall’Ufficio della ricerca scientifica della US Air Force che mira a sviluppare un modello empirico “delle dinamiche delle mobilitazioni e dei contagi fra i movimenti.” Il progetto determinerà “la massa critica (tipping point)” dei “contagi” sociali studiando le loro “tracce digitali” nei casi di studio come la “rivoluzione egiziana 2011, le elezioni della Duma russa nel 2011, la crisi delle forniture di petrolio nigeriano nel 2012 e le proteste di Gezi park in Turchia, nel 2013. “
Saranno esaminati i messaggi e le conversazioni di Twitter “per identificare le persone mobilitate in un contagio sociale, e quando diventano mobilitate”.
Un altro progetto assegnato quest’anno alla University of Washington “cerca di scoprire le condizioni per cui nascono i movimenti politici che puntano ad un cambiamento politico ed economico su vasta scala”, insieme alle loro “caratteristiche e conseguenze.” Il progetto, gestito dall’Ufficio di Ricerca dell’Esercito degli Stati Uniti, si concentra sui “movimenti su vasta scala che coinvolgono più di 1.000 partecipanti in perenne attività”, e coprirà 58 paesi in totale.
L’anno scorso, la Minerva Initiative del Dipartimento della Difesa ha finanziato un progetto per determinare ‘Chi non diventa un terrorista, e perché?’; progetto che, tuttavia, mette insieme attivisti pacifici e “sostenitori della violenza politica”, che sono diversi dai terroristi solo nel senso che non si imbarcano personalmente nella “militanza armata”. Il progetto è impostato esplicitamente per lo studio degli attivisti non violenti:
“In ogni contesto troviamo molte persone che condividono il contesto demografico, familiare, culturale e/o socio-economico di coloro che hanno deciso di impegnarsi nel terrorismo, ma si sono astenuti dal prendere militanza armata, anche se erano in sintonia con gli obiettivi finali di gruppi armati. Il campo degli studi sul terrorismo non ha, fino a poco tempo fa, tentato di guardare a questo gruppo di controllo. Questo progetto non è sui terroristi, ma sui sostenitori della violenza politica.”
Il caso 14 del progetto “comprende ampie interviste con dieci o più attivisti e militanti nei partiti e nelle ONG che, pur in sintonia con cause radicali, hanno scelto un percorso di non violenza.”
Ho contattato il principale ricercatore del progetto, il prof. Maria Rasmussen della US Naval Postgraduate School, chiedendo perché gli attivisti non violenti che lavorano per le ONG devono essere equiparati ai sostenitori di violenza politica – e quali “partiti e ONG” siano stati oggetto di indagine – ma non ho ricevuto risposta .
Allo stesso modo, lo staff del programma Minerva ha rifiutato di rispondere a una serie di domande simili che ho posto loro, comprese le domande su come le “cause radicali” promosse da ONG pacifiche potessero costituire una potenziale minaccia alla sicurezza nazionale di interesse del Dipartimento della Difesa.
Tra le mie domande, c’era anche questa:
«Il Dipartimento della Difesa statunitense vede i movimenti di protesta e l’attivismo sociale in diverse parti del mondo come una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti? Se sì, perché? Il Dipartimento della Difesa statunitense considera i movimenti politici che puntano a il cambiamento politico ed economico su larga scala come una questione di sicurezza nazionale? Se è così, perché? L’attivismo, la protesta, i «movimenti politici e naturalmente le ONG sono un elemento vitale di una società civile sana e della democrazia – perché il Dipartimento della Difesa sta finanziando la ricerca per indagare su tali questioni?”
Il direttore del programma Minerva, il dottor Erin Fitzgerald, ha dichiarato “Apprezzo le vostre preoccupazioni e sono contento che le abbia espresse dandoci l’opportunità di chiarire”, prima di promettere una risposta più dettagliata. Invece, ho ricevuto la seguente anodina dichiarazione dell’ufficio stampa del Dipartimento della Difesa:
“Il Dipartimento della Difesa prende sul serio il suo ruolo nella sicurezza degli Stati Uniti, dei suoi cittadini e di alleati e partner degli Stati Uniti. Finché ogni sfida per la sicurezza non provoca conflitto e ogni conflitto non coinvolge l’esercito americano, Minerva contribuisce a finanziare ricerca scientifica di base che aiuta l’aumento della comprensione del Dipartimento della Difesa su ciò che provoca instabilità e insicurezza in tutto il mondo. Attraverso la migliore comprensione anticipata di questi conflitti e delle loro cause, il Dipartimento della Difesa può prepararesi meglio per il futuro ambiente di sicurezza dinamica”.
Nel 2013, Minerva ha finanziato un progetto dell’Università del Maryland in collaborazione con il Pacific Northwest National Laboratory del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti per valutare il rischio di disordini a causa del cambiamento climatico. Il progetto – tre anni, 1,9 milioni dollari – sta sviluppando modelli per anticipare ciò che potrebbe accadere in alcune società sotto una serie di potenziali scenari di cambiamento climatico.
Fin dall’inizio, è stato previsto di fornire al programma Minerva oltre 75 milioni in cinque anni per la ricerca nelle scienze sociali e comportamentali. Solo quest’anno dal Congresso degli Stati Uniti è stato stanziato un budget totale di 17,8 milioni dollari.
Uno scambio di mail interno allo staff della comunicazione Minerva, reso noto in una dissertazione per il Master 2012, rivela che il programma è orientato verso la produzione di risultati rapidi, direttamente applicabili alle operazioni sul campo. La dissertazione era parte di un progetto finanziato da Minerva sul “discorso islamico contro-radicale”, presso l’Arizona State University.
L’e-mail interna da Prof Steve Corman, uno dei principali ricercatori del progetto, descrive una riunione ospitata dal programma di Modellizzazione umana sociale culturale e comportamentale (HSCB) del Dipartimento della Difesa, in cui alti funzionari del Pentagono hanno detto che la loro priorità era quella di “sviluppare capacità che sono consegnabili rapidamente”, sotto forma di “modelli e strumenti che possono essere integrati con le operazioni”.
Sebbene il supervisore dottor dell’Office of Naval Research – Harold Hawkins – avesse in via preliminare rassicurato i ricercatori universitari che il progetto era semplicemente “uno sforzo di ricerca di base, quindi non dovremmo essere preoccupati circa le possibili applicazioni”, l’incontro ha di fatto dimostrato che il Dipartimento della Difesa sta cercando “risultati trasformabili” in “applicazioni”, ha detto Corman nella sua email. Ha consigliato i suoi ricercatori di “pensare a plasmare risultati, relazioni, ecc, in modo che [il Dipartimento della Difesa] possa vedere chiaramente la loro applicazione per strumenti che possono essere adottati sul campo.”
Molti studiosi indipendenti sono critici verso ciò che vedono come uno sforzo del governo degli Stati Uniti di militarizzare la scienza sociale al servizio della guerra. Nel maggio 2008, l’American Anthropological Association (AAA) ha scritto al governo degli Stati Uniti facendo notare che al Pentagono manca “il tipo di infrastrutture per la valutazione antropologica della ricerca [scienze sociali e altre]”, il che comporta “un esame rigoroso, equilibrato e obiettivo di peer review“, chiedendo che tale ricerca sia gestita invece da agenzie civili come la National Science Foundation (NSF).
Il mese successivo, il Dipartimento della Difesa ha firmato un memorandum d’intesa (MoU) con la NSF per collaborare alla gestione di Minerva. In risposta, l’AAA ha avvertito che le proposte di ricerca dovrebbero ora essere valutate da commissioni di revisione di merito del NSF. Mentre “I funzionari del Pentagono avranno potere decisionale nel decidere che siede nelle commissioni”:
“… Permangono preoccupazioni all’interno della disciplina che la ricerca sarà finanziata solo quando sostiene l’agenda del Pentagono. Altri critici, compresa il Network of Concerned Anthropologists, hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che il programma potrebbe scoraggiare la ricerca in altri settori importanti e minare il ruolo dell’università come luogo di discussione indipendente e critica dei militari.”
Secondo il prof David Price, un antropologo culturale in servizio presso l’Università di San Martino, a Washington, autore di Weaponizing Antropologia: Scienze Sociali al servizio dello Stato Militarizzato, “quando osservi i singoli bit di molti di questi progetti, questi possono sembrare normali scienze sociali, analisi testuale, ricerca storica, e così via; ma quando sommi tutti questi singoli bit questi sembrano condividere problemi di leggibilità, con tutte le distorsioni di un eccesso di semplificazione. Minerva è la produzione a cottimo di un impero con modalità che possono permettere ai singoli ricercatori di dissociare i loro contributi individuali dal progetto più grande”.
Il prof. Price ha già esposto come il programma Il Pentagono stia finanziando la ricerca delle scienze sociali per modellizzare i rischi di “contagio sociale” che potrebbero danneggiare gli interessi strategici degli Stati Uniti.
Citando una sintesi critica del programma inviato da un ex dipendente ad amministratori dell’HTS, Price ha riferito che gli scenari di formazione HTS “adattavano i COIN [scenari di controinsurrezione] pensati per l’Afghanistan o l’Iraq” a situazioni interne “degli Stati Uniti, dove la popolazione locale è stata vista dalla prospettiva militare come una minaccia per il normale equilibrio di potere e influenza, e come una sfida alla legge e l’ordine”.
Un gioco di guerra, ha detto Price, che coinvolgeva attivisti ambientali che protevano per l’inquinamento prodotto da una centrale a carbone vicino al Missouri, alcuni dei quali erano membri della nota ONG ambientale Sierra Club. I partecipanti avevano il compito di “individuare coloro che erano ‘risolutori di problemi’ e quelli che erano ‘produttori di problemi’, e il resto della popolazione sarebbe il bersaglio di operazioni informative per spostare il loro centro di gravità verso quella serie di punti di vista e valori che era lo ‘stato finale desiderato’ della strategia militare”.
Questi giochi di guerra sono coerenti con una serie di documenti di pianificazione del Pentagono che suggeriscono che la sorveglianza di massa prodotta dalla National Security Agency (NSA) sia in parte motivata dalla necessità di preparare all’impatto destabilizzante di futuri shock ambientali, energetici ed economici.
James Petras, Bartle Professor di Sociologia presso la Binghamton University di New York, concorda con le preoccupazioni del prof. Price. Gli scienziati sociali finanziati da Minerva legati a operazioni di controinsurrezione del Pentagono sono coinvolti nello “studio delle emozioni nel fomentare o reprimere i movimenti diretti ideologicamente”, ha detto, compreso il come “contrastare movimenti di base.”
Minerva è un ottimo esempio della natura profondamente gretta e autolesionista dell’ideologia militare. Peggio ancora, la mancanza di volontà dei funzionari del Dipartimento della Difesa nel rispondere alle domande più elementari è sintomatico di un semplice fatto: nella loro missione incrollabile di difendere un sistema globale sempre più impopolare, servendo gli interessi di una piccola minoranza, le agenzie di sicurezza non esitano a dipingere la maggior parte di noi come potenziali terroristi.
* Nafeez Ahmed è un giornalista specializzato in sicurezza internazionale e un accademico. È autore della Guida per l’utente nella crisi della civiltà: e come salvarla, e il prossimo thriller di fantascienza, PUNTO ZERO.
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