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Fiom e Cgil, Sel e Pd. Dolori dopo i golpe dei craxiani

La risposta, a quanto pare, è sì.

Stiamo parlando della manifestazione nazionale della Fiom a Roma, sabato 18. Un successo a metà, sul piano numerico e su quello sindacal-politico. In piazza – vuoi per i reali problemi economici del sindacato dei metalmeccanici (licenziamenti e cassa integrazione riducono il gettito delle quote di iscrizione, e la Cgil ha da tempo chiuso i rubinetti nei confronti di Landini & co.) – non c’erano i 100.000 dichiarati, ma soprattutto delegati delle fabbriche; insomma “i quadri”. In linguaggio sindacale, si dice una manifestazione “di tenuta”, identitaria, per stringere le fila in un passaggio difficile. Necessaria per non farsi eliminare dopo essere stati stretti all’angolo e provare la ripartenza.

Politicamente la Fiom ha dimostrato di essere stata lasciata oggi abbastanza sola da quello che era il suo mondo di riferimento. Non c’erano i partiti del centrosinistra parlamentare (il Pd presentava solo il dissidente Sergio Cofferati e l’ex “giovane turco” Matteo Orfini; qualcosa di più Sel, che deve allargare lo spazione scenico su cui accreditarsi ora come “opposizione” dopo aver concorso a demonizzare, dividere e sconquassare l’opposizione – diciamo così – “radical-parlamentare”). C’era poco o nulla del promesso “aiuto fraterno” di altre categorie Cgil (pensionati e scuola, in primo luogo). Nn c’erano gli studenti, “i movimenti”, quella quota di antagonismo sociale che aveva fatto grande l’analoga manifestazione del 16 ottobre 2011.

Ma allora c’era Berlusconi a palazzo Chigi, e chiunque nel desiderava la caduta saliva su ogni carro di contestazione fosse di passaggio.

Oggi c’è il Pd che governa insieme Berlusconi ma si prende, da solo, tutti i pesci in faccia che – giustamente – vengono tirati a chi governa applicando i diktat della Troika (Bce, Ue, Fmi). Mentre il Cavaliere si atteggia a capo dell’opposizione “sociale” (quanto sia falso, si è visto a Brescia). E quindi tutto l’universo piddino ha lavorato alacremente per isolare i metalmeccanici, a cominciare da quella segreteria confederale della Cgil che aveva già convocato il Direttivo Nazionale per approvare l’”accordo sulla rappresentanza” che sembrava già raggiunto. Confindustria ha deciso di alzare il prezzo e non se n’è fatto per ora nulla, ma il quadro non è cambiato (semmai ulteriormente peggiorato).

Allora perché tanto “nervosismo” in casa Pd? L’espressione è stata usata da Vendola, non da noi, ma il capitombolo di Guglielmo Epifani, sul palco di Avellino, nelle stesse ore, è sembrata la fotografia di uno stato d’animo. Quel che ha detto lì Epifani contro la Fiom e Sel dovrebbe essere ormai noto, ma lo riassumiamo brevemente: «Non mi piace la sinistra che scappa di fronte alle difficoltà»; «Ieri mi è pesato non stare in piazza, vengo da quella storia, sono cinquant’anni che sto in piazza e lo ero anche ieri con Ignazio Marino» (ma non è davvero la stessa cosa…); «Non mi piaceva che durante il governo Prodi c’erano ministri che andavano in piazza e sfilavano contro il governo. Pretendo serietà e diamo serietà».

Da un socialista craxiamo non ti puoi aspettare altro. E bisognerebbe fare uno studio apposito sulla straordinaria longevità politica di un gruppazzo di seguaci di un leader dalla credibilità annientata, morto in esilio, e di un partito praticamente sciolto per assenza di utilità sociale. Epifani, Camusso, Cicchitto, Amato, Brunetta, Sacconi, Tremonti, Cazzola, ecc. Una sfilza di iscritti a vita alle cariche più alte, trasversali a qualsiasi schieramento politico, refrattario a qualsiasi ricostruzione biografica e persino all’assenza di un consenso personale. Galleggiatori senza ideali, ciechi esecutori di progetti altrui, devastatori dell’immaginario e della cultura politica.

Proprio per questo la domanda resta. Perché? Hanno vinto, in qualche modo dominano senza troppi di rischi di cadere rovinosamente…

Ci sembra di poter dire che c’è in effetti un problema. Piccolo, non irrisolvibile, ma anche l’unico che – se non risolto – può metterne in forse la sola funzione che questo gruppazzo (la sua ala di “centrosinistra) ancora riesce a svolgere: quella di freno mortifero per una “normale” conflittualità sindacale.

Il problema si chiama “governo della Cgil”. La gestione dei primi due segretari generali “socialisti” (e craxiani) è stata dal punto di vista borghese assolutamente eccezionale. Tutto il sistema di tutle normative, salariali, contrattuali del lavoro – conquistate negli anni ’60-’70 e “difeso arretrando” fino all’inizio del nuovo millennio – è stato smantellato senza che il più grande sindacato italiano muovese un muscolo. Potremmo fare il paragone con Spagna, Portogallo, Grecia, Francia. Ma il più impietoso è con l’ormai dimenticata “trincea per l’art. 18” che portò, sotto Cofferati (certo non il più “rivoluzionario” dei segretari della Cgil), tre milioni di persone in piazza. Eppure, possiamo dirlo, allora c’era in ballo molto meno di quel che è andato poi perduto per sempre.

Ma gli ex Pci, nella Cgil, sono scomparsi? E che cosa fanno?

Non fanno molto, in genere. Ma forse ora hanno deciso che non si può concedere un secondo mandato di quattro anni a una “socialista craxiana” come Camusso. Sommando il periodo di Epifani, sarebbero sedici anni. Un’era geologica, in cui quella che era un’infima minoranza governa, rovesciandolo come un preservativo, un sindacato con 5,5 milioni di iscirtti che “socialisti” non son mai stati.

L’ultima mossa disperata elaborata da questa antica maggioranza perduta sembra dunque essere la candidatura di Maurizio Landini a segretario generale della Cgil. Il congresso si terrà nella prossima primavera, ma i giochi sono iniziati già da tempo.

Landini (e il suo maestro, Gianni Rinaldini) hanno ridotto di molto gli interventi polemici contro la Camusso, negli ultimi tempi. Sono “rientrati nella maggioranza”, almeno formalmente, lasciando alla sola Rete28Aprile di Giorgio Cremaschi il ruolo del bastian contrario.

È una scelta sciagurata sul piano della conflittualità sociale a breve termine, perché smette di rappresentare una “sponda” – sia pure più immaginaria che reale – per i conflitti che continuamente sorgono fuori dal campo del “rappresentato”. Basti ricordare a che ruolo la Fiom ha svolto da Pomigliano in poi, schierandosi a fianco di cento lotte, a parire da quella simbolicamente più vivace: il movimento NoTav. Si chiama riconoscimento e legittimazione, un ostacolo rispetto a ogni tentativo di criminalizzazione.

Ma sul versante opposto – maggioranza Cgil e Pd – questa “conversione” è vista come un pericolo. Nulla di rivoluzionario, lo ripetiamo; ma persino un briciolo di conflittualità “a là Cofferati” è lì vista come un qualcosa da seppellire insieme ai resti del Novecento. Ironia della storia, era stato proprio Cofferati a parlare per primo di “sindacato a-conflittuale” come suo obiettivo…

La residua popolarità di Landini in larghi settori della Cgil, e soprattutto dei delegati sui posti di lavoro, anche in categorie diverse dai metalmeccanici (dove gode di una maggioranza superiore al 70%), depurata dalla componente “identitaria” negativa – essere relegato al ruolo di “minoranza interna”, quasi ideologica, scassapalle ma in fondo confinabile, quindi inoffensiva – può in effetti cambiare di molto gli equilibri interni a Corso Italia. Magari non rovesciarli (i metodi con cui Camusso sta “epurando” i non-fedelissimi avrebbero riscosso l’approvazione di Videla), ma anche un 60/40 obbligherebbe la segreteria confederale ad agire in modo meno autoritario e solitario di oggi.

Una partita complessa, in cui i Cofferati e i Vendola vedono la possibilità di recuperare fiato e ruolo per i prossimi anni. Altrimenti sono finiti. Una partita in cui anche Landini e i metalmeccanici Cgil si giocano tutto. Ma è una partita che – almeno per un anno – inchioda ogni movimento di lotta alla solitudine, esponendolo alla sempre meno nascosta tentazione della soluzione puramente repressiva. E senza alcuna certezza che poi, tra un anno e più, il quadro dello scontro sociale possa mutare in meglio. L’accordo sulla “rappresentanza”, in questo senso, rischia di diventare una lapide che solo una forza terribile, da “biennio rosso”, potrà poi rimuovere.

È infine una partita più politica che sindacale. Più interna a centrosinistra che non al rapporto tra lavoro e sistema delle imprese. Una partita, insomma, dove anche la eventuale “vittoria” sarà molto probabilmente un pugno di mosche.

Perché? Un altro anno (e più) di nuove “riforme strutturali” secondo le indicazioni della Troika non lasceranno di questo paese pietra su pietra. La sofferenza sociale non può davvero più attendere che si risolvano gli equilibri interni a una rappresentanza diventata marginale e inutile. Tra un anno e mezzo, per dirla chiara, che a comandare nella Cgil sia ancora la craxiana Camusso o il “rosso reggiano” Landini, per fare da supporto sociale a un Renzi o a un Vendola, non interesserà più nessuno.

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