Ma i nodi in questione sono tanti, questo è sicuro. Chi segue le vicende brasiliane si sarà anche stancato di leggere che in Brasile si sono scatenate le proteste per l’aumento del prezzo dei biglietti dell’autobus a San Paolo e in altre città importanti del Paese. L’aumento è di 20 centesimi di reais. Circa 10 centesimi di euro.
Non conosco perfettamente il sistema dei trasporti pubblici di tutte le città brasiliane, ma a San Paolo il biglietto costa quasi € 1,50 (3,00 reais) e normalmente permette di fare un solo viaggio. Tranne se acquisti il cosiddetto “Biglietto Unico”, una sorta di carta ricaricabile che richiede una ricarica iniziale minima di 5 viaggi, con la quale però puoi fare massimo quattro viaggi nell’arco di tre ore oppure entro due ore dal primo timbro puoi prendere anche la Metro, pagando soltanto una modica differenza di prezzo.
Allora la passeggera che non è laureata in matematica e guadagna 678 reais al mese si compra il benedetto biglietto da 3,00 reais (ora 3,20) e “sacode” fino a destinazione. Se vive in periferia ma è fortunata, ci mette meno di due ore per andare da casa al lavoro e altrettanto per tornare a casa.
Poi la passeggera in questione, sempre non laureata in matematica (anzi, non laureata affatto perché in Brasile siamo ancora pochi noi laureati e normalmente non prendiamo l’autobus), fa un salto al supermercato e scopre che il prezzo del pomodoro è salito del 150%. Chiede alla cassiera se c’è qualche errore, ma questa le dice di no. E le racconta una storia davvero incredibile: il marito, ammazzato da sicari perché lottava per avere un pezzo di terra dove poter piantare pomodori, faceva parte di quell’85% di piccoli agricoltori che mette a tavola dei brasiliani il 70% del loro cibo, ma non riusciva più ad andare avanti perché il governo aiutava soltanto i latifondisti piantatori di canna da zucchero, che è vero che rappresentavano solo il 15% delle proprietà agricole, ma occupavano quasi l’80% delle terre. Così si fa l’etanolo per le macchine, che nè la cassiera nè la nostra passeggera sono in grado di comprare. E niente più pomodori.
Allora la passeggera torna a casa con un chilo di fagioli e si accende la tv, appena comprata con la carta di credito nuova di zecca pagabile in 78 comode rate mensili (con un tasso d’interessi pari al 193% all’anno, ma questo lei non lo sa).
E cosa vede la nostra amica in TV? Una telenovela, perché i canali brasiliani trasmettono quasi solo telenovele, anche se mascherate da telegiornali. Nella telenovela-giornale l’anchor man con voce sensuale ma con aria da prete di campagna dice che domani la polizia arriverà e manderà tutti via dal quartiere, che bisogna costruire lo stadio per i mondiali. Dispiaciuta perché non potrà mai pagare i 590 dollari che la FIFA chiede per andare a vedere una partita, la passeggera va a vivere in uno dei nuovissimi palazzoni di cartongesso a 54 piani costruiti dal governo, dove scoprirà di essere dirimpettaia di tutti gli emarginati della città: i poveri, i senza tetto, i neri, gli indigeni, i tossicodipendenti, le prostitute, gentilmente sfollati in massa dai quartieri dove vivevano, perché ora bisogna ripulire la città per i mondiali di calcio.
Stanca, un bel giorno la nostra passeggera si ritrova di fronte un gruppo di matti che rivendica il trasporto gratuito per tutti. Sono quelli del Movimento Passe Livre. Che incontrano quelli di tanti altri movimenti (contro i megaeventi, dei lavoratori senza terra e senza tetto, femministi, studenteschi…) ignorati dal mainstream brasiliano e internazionale, ma che non hanno mai smesso di lottare e di dare voce alle rivendicazioni di quella gente che in Brasile è sempre rimasta inascoltata. E che ora prova ad alzare la voce.
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