Manifestare sabato scorso 19 ottobre a Roma, è stata per noi una boccata d’ossigeno.
Scendere per le strade della Capitale insieme ai movimenti per il diritto alla casa, ai migranti, agli altri territori in lotta, ai precari, agli studenti ai disoccupati, ci ha ridato coraggio e la consapevolezza che se si lotta insieme dal basso per i propri diritti possiamo farcela.
Ci è sembrato di poter finalmente riprendere le fila di quel linguaggio comune delle lotte, che va ricercato e praticato costantemente per non essere dimenticato.
Per questo per noi, è stato fondamentale esserci ed arrivare col corteo fino alla fine del percorso facendo breccia in porta Pia, e conquistare così una vittoria politica comune che serva a ricostruire la sintassi dei movimenti e delle riappropriazioni dal basso.
Di questo il governo e il potere che sta determinando ogni giorno di più la macelleria sociale in corso aveva paura, mentre ora una volta in più, si prova a fare il gioco della divisione tra buoni e cattivi che non accettiamo, esprimendo solidarietà ai sei fermati.
Paura che chi governa ha mostrato esplicitamente con l’allarmismo costruito nei giorni precedenti alla manifestazione tramite i principali media nazionali, gli ostacoli posti da Trenitalia che ha lasciato a piedi centinaia di attivisti nelle stazioni di mezza Italia, i blocchi di Polizia posti presso tutti i caselli della capitale e nelle città di partenza dei manifestanti.
Non si voleva che il popolo, quello reale, autoconvocato e senza rappresentanze di partiti parlamentari, invadesse le strade della capitale dimostrando che un’altra maniera di fare politica è (ancora) possibile.
La rabbia e la dignità nei volti dei migranti che dopo la strage di Lampedusa sfidando le minacce repressive reclamano diritti basilari direttamente sulle strade, d’altronde, sono lontane anni luce dalle beghe del Governo Letta, gli accordi Bipartisan e le vicissitudini di Berlusconi.
Parlano invece di quello che sta accadendo davvero nel Paese reale dove fette sempre più consistenti di popolazione non arrivano più a fine mese e vengono sfrattate.
Parlano della mancanza di reddito e della distruzione sistematica di ogni diritto che si pensava acquisito, come per esempio la ricostruzione di una città distrutta dal terremoto.
In quale Paese viviamo, dovremmo chiederci, se ad esempio, invece di ricostruire un capoluogo di regione come L’Aquila e prevenire altri disastri si preferisce spendere i soldi per costruire un’opera inutile e dannosa come la Tav?
Dopo aver partecipato alla manifestazione oggi riportiamo a L’Aquila una grossa energia che speriamo subito di riversare e trasmettere su questo territorio martoriato, stanco ma ancora in lotta. Un territorio abbandonato da un Governo che dopo mille promesse destina nella legge di stabilità zero euro per la ricostruzione.
Per questo siamo andati insieme a tutti gli altri ad assediare il Ministero dell’economia, la Cassa depositi e Prestiti, il Ministero delle opere pubbliche senza aspettare le manifestazioni di cui parla il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente.
Siamo andati senza di lui per rivendicare dal basso il diritto di tutti ad una casa, un reddito e ad una città ricostruita.
Solo così, insieme ai movimenti, si può vincere anche la battaglia per la ricostruzione del nostro territorio e non aspettando fantomatiche manifestazioni indette dalle istituzioni cittadine che pensano di poter isolare L’Aquila dalle altre questioni sociali che affliggono la popolazione italiana ed Europea.
Solo unendo la nostra, alle altre lotte in questo movimento che sta compiendo i primi passi proprio a partire dalla manifestazione romana, potremmo evitare il rischio che il nostro territorio si spopoli e muoia lentamente sacrificato sull’altare dell’austerity. Rischio che ben hanno compreso gli studenti medi aquilani che per questo la settimana scorsa hanno occupato le scuole e proseguono la loro protesta. Solo così, unendo la nostra voce a quella degli altri, possiamo riuscire a farci ascoltare e conquistare, con le nostre forze, risultati insperati fino a ieri.
Il nostro infatti è un territorio in cui alla crisi, all’assenza di lavoro e di reddito, si aggiunge il fardello di un abitare assurdo che produce segregazione sociale, disuguaglianze ed un enorme consumo di suolo, ma che ci farà battere fino alla vittoria per avere diritto a spazi d’aggregazione in cui poter decidere delle nostre vite; diritto a recuperare zone danneggiate dal terremoto ed abbandonate per convertirle ad un uso sociale condiviso invece di lasciarle in mano alla speculazione; diritto ad avere un centro storico ricostruito e vissuto con una periferia nelle sua prossimità e non dispersa lungo chilometri in cui è impossibile vivere.
Per questo continueremo a lottare insieme a tutti i movimenti in Italia e in Europa nonostante ci troviamo a fronteggiare più di settanta denunce recapitateci tutte nel 2010 quando con i nostri corpi ci siamo opposti al modello di distruzione della città che vuole completare quello che ha fatto il terremoto e di cui ora iniziamo a vivere le drammatiche conseguenze.
Ma non è finita. Da sabato scorso siamo di nuovo certi che in Italia è possibile ricostruire insieme un’alternativa politica reale capace di autorganizzarsi e determinare dal basso condizioni migliori che rispondano ai bisogni di ognuno.
Per avere il diritto ad una ricostruzione giusta, in tempi plausibili è necessario lottare per i diritti di tutti.
Siamo i precari, i migranti, i disoccupati, i cassaintegrati, i terremotati, i no tav, gli studenti che scendono in piazza uniti.
Così possiamo farcela.
Da oggi tutti ci sentiamo meno soli. Anche all’Aquila. Avanti così.
INFO e CONTATTI
caseMatte Collemaggio, Ex Ospedale Psichiatrico
L’Aquila
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