No, non è stato facile costruire le due giornate di lotta del 18 e del 19 ottobre, ma ci siamo riusciti. Chi ha avuto la fortuna di attraversare queste 48 ore ha visto crescere i fiori di semi gettati anni fa, ha visto intrecciarsi percorsi che stavano maturandosi da anni ed ha avuto modo di comprendere il dislocarsi di una capacità di organizzazione politica della piazza in grado di tenere insieme le differenze in un obiettivo comune. Chi c’era ha visto le strade di Roma attraversate da un blocco sociale che lotta contro la crisi e non è disposto a delegare nulla ai parolai di turno. Il fatto che ieri il Sindaco di Roma Marino sia stato “amorevolmente” allontanato dalla piazza al grido “non abbiamo governi amici” segna una rottura definitiva con l’idea di rappresentanza e “accordicchi” tra movimenti sociali e quello che rimane del centrosinistra. C’è in campo una soggettività meticcia, un proletariato “euromediterraneo” che la crisi accomuna per linguaggi e condizione che ha preso forma in queste giornate. Si potrebbe dire inoltre che il week end romano sia stata una prova tecnica di confederazione di pratiche sociali, una prova che apre una pista di lavoro dentro il conflitto sociale tra sindacati di base e soggettività sociali più o meno organizzate. Non sarà semplice mettere insieme una composizione sociale e politica come quella che abbiamo visto scendere in strada, esistono però soggettività e attivisti sociali in grado di poter svolgere questo ruolo di connessione. Questo è il primo punto che queste manifestazioni hanno affermato, e non è poca cosa. Chi scrive pensa e lavora da anni per dire che le organizzazioni sociali e politiche debbano cambiare pelle, socializzare le loro pratiche per rispondere concretamente ai bisogni del blocco sociale che la crisi sta sedimentando verso il basso. Queste giornate dimostrano che è sempre più necessario lavorare in questa direzione. E’ lavoro lungo e difficile, ma è un lavoro necessario. L’attacco che muove il capitale investe tutti gli aspetti di vita, ed è su questi aspetti che complessivamente occorre sviluppare risposte concrete negli spazi che lo Stato sta abbandonando. La dimensione della precarietà oggi non si aggredisce più semplicemente nel luogo di lavoro quanto nel territorio, ovvero nella capacità di esercitare forme di contrattazione che incidono nelle condizioni di vita dell’individuo. La vera sfida per il futuro è quindi confederare le varie forme di iniziativa sociale su questi terreni in una dinamica mutualistica e conflittuale. C’è un “Comune sociale” da costruire territorio per territorio che occorre mettere al centro da subito in questo spazio di riflessione che aprono queste giornate, ovvero l’idea che le pratiche di autorganizzazione territoriale possano federarsi e sviluppare propri istituti di welfare dal basso mentre lottano per difendere quel che resta dello stato sociale residuale mettendo insieme garantiti e non garantiti. Cos’è in fin dei conti l’esperienza metropolitana delle occupazioni di case di Roma se non un processo che va in questa direzione? Che siano case del popolo o centri sociali, Gruppi di acquisto contro il carovita o case occupate, poco importa, quello che conta è la loro capacità di essere credibili ed efficaci nelle forme di resistenza sociale. L’attacco che muove il capitale investe inoltre la democrazia nei luoghi di lavoro e nei territori, si esplicita riconfigurando lo Stato e le sue funzioni, rende gli enti locali “gabellieri” gerarchizzando intere aree produttive tra centro e periferia. Il tutto avviene senza mediazioni, non c’è più nemmeno la finzione simbolica a cui la propaganda di Repubblica.it ci ha abituato in questi anni. Per questo i movimenti entrano in campo rifiutando ogni elemento di rappresentanza. Le due giornate di Roma hanno il pregio di rispondere in maniera determinata a tutto questo e costringono il Governo a concedere un tavolo di confronto sul tema della casa e delle grandi opere ad un movimento sociale che non ha paura di far sentire la rabbia davanti alle porte dei suoi palazzi. In questo spazio di convergenza che si è determinato, la credibilità si acquista alla luce del sole, nelle pratiche di resistenza sociale e nella capacità di costruire e renderle efficaci rispetto ai bisogni sociali quotidiani. La ristrutturazione capitalista sta determinando le condizioni per determinare nei territori una resistenza diffusa in grado di convergere su piattaforme comuni in ambito nazionale. Questa dinamica incontra la disponibilità al conflitto sociale di fette consistenti di popolazione, figure sociali che prima stavano alla finestra entrano in questi processi. Ciò vuol dire che la manifestazione di sabato è solo l’inizio di una probabile dinamica di mobilitazione sociale che non parte più dal livello etico-politico come è per esempio avvenuto per i primi movimenti no global degli anni 90, ma dai bisogni sociali reali e dalle condizioni di vita del popolo della crisi. Non è quindi che l’inizio, ed è stato proprio un bell’inizio!
*direttivo R@P, Rete per l’@utorganizzazione Popolare
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