Nel condividere pienamente l’articolo su Contropiano di Sergio Cararo “Meglio populisti che morti”, vorrei portare una mia riflessione che vede nella spinta populista l’espressione politica dell’attualità, proprio in base alle riflessioni da lui fatte.
Nel “Le ragioni del populismo” di Ernesto Laclau troviamo una densa e articolata analisi delle fasi storiche nelle quali il populismo è stata una presenza costante dell’azione politica rivoluzionaria. Prende quindi in esame la rivoluzione francese, la rivoluzione russa, il peronismo e le rivoluzioni dell’America Latina.
Affronta il problema del rapporto tra il popolo e la leadership, l’importanza del capo carismatico e le diverse forme egemoniche che si costituiscono all’interno di ogni popolo, tenendo a precisare che è indispensabile tener conto della realtà sociale su cui si manifesta la spinta populista, che le istanze rappresentate sono diverse per ogni spinta populista a seconda dei diversi contesti socio economici, anche se la struttura resta in qualche modo la stessa.
Il lavoro di Laclau comunque non è di facile lettura per i riferimenti e i rimandi alla psicologia delle masse, con un eccesso di citazioni, che portano ad una frammentazione del discorso rendendolo poco fluido e dalle conclusioni affatto lineari. Purtuttavia alcuni spunti mi sono sembrati interessanti per analizzare l’attualità.
Ma in cosa consiste la spinta rivoluzionaria della ragione populista secondo Laclau? Perchè essa è indispensabile all’azione rivoluzionaria?
L’autore sostiene che in ogni periodo di trasformazione dai vecchi equilibri in quelli nuovi c’è sempre stata una fase, più o meno prolungata, caratterizzata dall’apparizione nella società di una spinta populista, quale cifra di un’esigenza politica forte che solamente nel tempo, con la costituzione della forza egemonica di una classe o gruppo, ha acquisito una valenza politica definita.
Egli però sostiene anche, che il populismo non è solamente il substrato, una sorta di necessario passaggio nel quale si manifestano insieme e con forza tutte le contraddizioni, le inadeguatezze ma al contempo tutte le aspettative, le disillusioni, aspirazioni e progetti presenti nelle società decadenti, ma è anche “un atto perfomativo dotato di una propria razionalità interna, e si chiede :la vaghezza, almeno a volte, non è forse un requisito per costruire significati politici rilevanti?” e “il populismo è davvero una fase transitoria, frutto dell’immaturità degli attori sociali o piuttosto è una dimensione costante dell’azione politica?.”
Il populismo, quindi, non rappresenterebbe l’emergere di un sentimento popolare antipolitico, tutt’altro “e una dimensione costante dell’azione politica”
L’autore cita più volte due concetti fondamentali dell’opera di Gramsci: popolo come l’insieme delle classi subalterne e il concetto di egemonia, ponendo anche delle critiche che per la funzionalità del discorso non verranno qui approfondite.
Le spinte populiste sono per loro stesse contraddittorie perchè rappresentano istanze disomogenee in quanto nei periodi di crisi economica, come quello attuale si allarga la
distanza tra l’oligarchia borghese/finanziaria e il popolo, inteso come l’insieme delle classi subalterne, é in questa distanza o “assenza” che il popolo giunge a rappresentarsi come tale. Questa auto rappresentazione si viene a formare per l’incapacità dello Stato di rappresentarlo di dare risposte alle domande poste dalla società.
In inglese il termine “demand” risulta ambiguo per i due significati che ha: un significato è richiesta, l’altro è reclamo.
È all’interno di questa ambiguità di significato che E.Laclau sviluppa un’interessante questione: li populismo viene a costituirsi nella transizione tra una richiesta e un reclamo. Se una “richiesta” viene soddisfatta il problema può dirsi risolto. Se al contrario uno Stato non risolve e se le “richieste” non risolte sono molte, e se La situazione resterà invariata nel tempo, si avrà allora un “accumulo di domande inascoltate ed una crescente incapacità del sistema istituzionale ad assorbirle in modo “differenziale” (ognuna isolata dalle altre): tra di loro si stabilirà una relazione di “equivalenza” …attraverso l’emergere di una catena equivalenziale di domande insoddisfatte. Le richieste diverranno reclami.1
Le domande che troveranno soddisfazione vengono chiamate dall’autore “domande democratiche”, quelle che non la trovano sono le domande “popolari”. Su queste domande inascoltate dal potere costituito si costruisce il popolo “come potenziale attore storico”.
Il populismo è la globalizzazione delle idee, dove è possibile asserire tutto e il contrario di tutto, è nella catena equivalenziale, che si costituisce il popolo. Le domande possono essere anche in contrasto tra loro ma l’equivalenza viene infine a costituirsi su un minimo comun denominatore. Per questo le vie politiche che il populismo può sviluppare sono diverse a seconda della capacità egemonica di una classe.
Ad oggi gli economisti, per quel che mi è dato di capire, brancolano nel buio più profondo, non ci sono soluzioni possibili di fronte ad un capitalismo in profonda agonia. Le soluzioni finanziarie, a copertura di di una crisi economica decennale, hanno spostato le società occidentali verso il rafforzamento dell’oligarchia, mettendo in grave crisi l’assetto democratico borghese e facendo precipitare i ceti medi nella povertà. La conformazione del popolo quindi allarga la sua base equivalenziale perchè le “domande democratiche” diventano “domande popolari” a cui il potere costituito non può più dare risposta avendo abdicato del tutto il welfare state.
Si potrebbe pensare che come prevedeva Rosa Luxembourg il capitalismo stia per collassare. Ma questo potrebbe succedere se fosse un’entità astratta una qualche forma di vivere sociale accaduto causalmente , ma non è così nella storia, la sopraffazione dell’uomo sull’uomo è sempre stato un dato, fino ai giorni nostri, e famiglie e gruppi e classi hanno costruito nel tempo un’organizzazione economica tendente a stabilizzare il loro potere , fino a che una qualche rivoluzione ha portato altri gruppi o classi a rivendicarlo e ad appropriarsene.
Ebbene si, lo spettro del populismo si aggira per l’Europa. Non da ora ma da tempo. Infatti sono in molti ad averne paura, a demonizzarlo, ma attenzione, molti di coloro che tanto lo demonizzano sventolando minacciosamente lorrore dell’antipolitica, di fatto lo lusingano, lo blandiscono e lo fomentano per mantenere l’egemonia attuale nella confusione e perdita di qualsiasi valore etico, sociale e politico. Per mantenere la disgregazione economico-politica del neoliberismo. infatti “Il populismo è un insieme di risorse disponibili per una pluralità di attori sociali”. Infatti è stato così per Berlusconi, è stato ed è ancora così per il PD, dove l’unica idea guida, ma egemonica è stata l’antiberlusconismo, con la catena equivalenziale dell’anticorruzione dietro cui si cela un perbenismo piccolo borghese, un’idea dello Stato amministrato, non ideologico, assolutamente asettico, iperburocratico ma vuoto.
Anche questo è populismo? Si, anche questo è populismo, nella misura in cui, il nostro attuale governo si definisce:democratico, eletto dal popolo tutto insieme ds e sn, antirazzista, femminista, un pò neoliberista e un pò di sinistra tende ad insinuarsi nella “ragione populista” con promesse impossibili da mantenere di un miglioramento futuro e questa a ben vedere è la deriva autoritaria e fascista del populismo. La peggiore. Nella quale la retorica non è utilizzata a sostegno delle ragioni equivalenziali ma è fine a se stessa la dove la rappresentazione simbolica ha perso il suo valore evocativo, rispetto ad un’egemonia che non riguarda più il popolo.
Ma torniamo al populismo che nel suo complesso rappresenta oggi la pancia profonda della gente come lo ha ben definito nel suo articolo S. Cararo, dove oggi le istanze equivalenziali, viste come comun denominatore, al momento mi sembrano quelle della mera sopravvivenza.
Se così è, ed è così, si pone un problema forte che è quello dell’egemonia politica, infatti nella lotta per la sopravvivenza il populismo reclama il diritto di sopravvivere e vivere. Il polo di attrazione nella rappresentazione berlusconismo/antiberlusconismo sta perdendo l’egemonia e le classi e i ceti diseredati, cercano altre rappresentazioni egemoniche che si facciano carico dei loro reclami. Da queste considerazioni il problema dell’egemonia politica della classe lavoratrice diventa urgente e centrale per attuare un processo rivoluzionario.
Il grande consenso elettorale del Movimento 5 Stelle rappresenta il tentativo di rappresentanza della attuale catena equivalenziale, ma ne possiamo registrare la fragilità egemonica per la carenza di una visione complessiva, per una mancanza di vera leadership politica.
In verità sta accadendo qualcosa di più significativo : senza toni trionfalistici, ma con consapevolezza dell’accaduto, si può affermare che il 18 e il 19 ottobre abbiamo assistito a qualcosa di più di un embrione di coscienza per il socialismo, per la connessione temporale certamente delle due date , ma soprattutto per la connessione di lotte “popolari” e dei lavoratori uniti in primis da quel termine “generale” dei due slogan portanti “sciopero generale” e “sollevazione generale”.
Il percorso è stato lungo mesi nei quali molte sono state le attività che ne hanno favorito la riuscita., non hanno rappresentato una fiammata spontaneista, ma il risultato di assemblee, occupazioni di spazi comuni azioni dimostrative, come quelle nei supermercati, la lotta alla casa che nell’ultimo periodo era stata caratterizzata da numerose occupazioni.
In breve c’è stata una connessione tra lotte diverse di realtà diverse tra loro. Lo sciopero del 18 indetta dai sindacati di base ha rappresentato l’indignazione del mondo del lavoro, ma è stato anche il motore ed ha fornito un grande contributo organizzativo e politico allora possiamo dire che la funzione sindacale si sta completando con la consapevolezza di poter avere il ruolo politico che le compete. Concludo con le parole di Gramsci che riflette sul ruolo politico del sindacato : Perchè la lotta sindacale diventi un fattore rivoluzionario, occorre che il proletariato l’accompagni con la lotta politica.cioè che il proletariato abbia coscienza di essere il protagonista che investe tutte le questioni più vitali dell’organizzazione sociale, cioè abbia coscienza di lottare per il socialismo.
L’egemonia può nascere solamente da questa funzione politica del sindacato che al momento interrogandosi sulla sua reale rappresentatività del mondo del lavoro frammentato e precario ha anche aperto le porte alla complessità delle istanze sociali con il sindacato metropolitano.
Se il rapporto tra intellettuali e popolo-nazione, tra dirigenti e diretti – tra governanti e governati – è dato da una adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e quindi sapere (non meccanicamente, ma in modo vivente), solo allora il rapporto è di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementi individuali tra governati e governanti, tra diretti e dirigenti, cioè si realizza la vita di insieme che solo è la forza sociale; si crea il “blocco storico”. (3) La strada intrapresa non sarà facile mi sembra però quella giusta.
1 Ernesto Laclau
2 E.Laclau citazione da surel pag 168
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