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Vladimir Luxuria e la copertura del silenzio. Una lettera da Istanbul

Vladimir Luxuria è stata liberata. Dopo aver passato qualche ora in gattabuia per aver esposto un cartello “Essere gay è ok”, sulle piste di sci di Sochi in Russia, ora è libera. E tutti siamo felici e contenti che lo sia. Dal ministro Emma Bonino, passando per Nichi Vendola, allargando per le associazioni LGBT, fino al mio gatto castrato che oggi ha avuto doppia razione di croccantini. Allegria! Ma per una storia a lieto fine molte altre, invece, non lo sono. Storie d’italiani dimenticati all’estero, sequestrati o imprigionati. Storie di persone che non fanno notizia. Se avrete la pazienza di leggermi vi voglio raccontare una storia che parte con il primo atto di consapevolezza: la nascita.

Che vivevo in un mondo perverso e diabolico me ne ero reso conto subito, fin dal primo giorno. Quando qualcuno mi aveva preso contro la mia volontà, estirpato da un universo caldo e gelatinoso, e come premio alla mia resistenza mi aveva esposto nudo al pubblico ludibrio a testa in giù suonandomi una fragorosa sculacciata. La mia esperienza su questa terra, dunque, è cominciata con una violenza. E poi con un pianto. Liberatorio? No, di dolore.

Peccato. Peccato per le premesse. Poiché mia madre e mio padre, per avermi, un tempo si amavano. O almeno si sarebbero dovuti amare. Già, io sono uno di quei bizzarri esperimenti della natura che potremmo chiamare “concepimento diretto”. Un procedimento che, pare, non va più di moda. Ma del resto se le piante in vitro hanno un coefficiente di resistenza più alto di quelle in natura e in laboratorio sono nate diverse razze di cani, forse, anche per gli esseri umani sarà così. Non è l’uomo il migliore amico del cane?

Addio amore. Addio trombare, scopare, fottere. Scusate. Addio coccole, tenerezze, baci. Addio… ma che addio? Gli esseri umani continueranno a fare quello che hanno fatto per millenni: procreare. Che sciocco! Magari cambierà la forma ma la sostanza resterà. Ai tempi dell’amore 3.0 ci faremo di pippe (manuali e mentali), abbracceremo il nirvana del non-pensiero unificato e alla prima occasione utile crederemo all’amore eterno. Almeno con un click, fino a quando la connessione tiene.

Ma chi l’ha detto, poi, che sono una donna e un uomo gli esseri deputati a dare la vita a un, macomesichiamano?, bambino. Dev’essere una cazzata scritta sulle vecchie enciclopedie. In effetti, basta una donna e un seme. Che poi questo seme viene, proprio, dall’uomo è una verità sulla quale gli antropologi stanno ancora cercando di fare luce. È nato prima il seme o la gallina? E a cosa pensava Kurt Cobain quando ha scritto In Utero?

Misteri. Com’è un mistero come mai chi prima ha voluto dare la vita poi se ne disinteressi. Padri che se ne vanno, il più delle volte; donne che se ne vanno, il meno. Già, quando la coppia scoppia. La questione è che i bambini, a differenza dei genitori, non se ne vanno. Restano. Come esperienza di vita incancellabile, nel bene e nel male.

Un mio amico si è separato da poco. Ha due splendide bambine, frutto di quello che un tempo è stato amore. Il mio amico vive a Roma e fa l’architetto. Sopravvive con 1000 euro al mese, quando entrano, metà li dà in alimenti e metà in tasse. È fortunato: da quando si è separato è tornato a vivere con i suoi genitori, alla tenera età di quarant’anni, ha una casa dove dormire e sognare una vita diversa. Ma più che sogni sono incubi. Gli incubi della sconfitta, della solitudine, dell’amarezza. Per questo il mio amico dorme poco e cerca di trovarsi un nuovo lavoro. Un nuovo amore. Una nuova vita? Non è facile. Non è facile perché ha deciso di rimanere accanto alle figlie e perché questo cordone ombelicale lo trattiene da possibili scelte.

Possibilità. Scelte. Come quella di Vladimir Luxuria – eccoci finalmente! – di andare a Sochi ed esporre un cartello: “Essere gay è ok”. Ha fatto bene? Ha fatto male? L’importante, a mio avviso, è che così si parla di cosa significa essere gay. O almeno così dovrebbe essere poiché la retorica del puritanesimo è sempre lì che ci aspetta a portata di click. Io, però, vorrei partire da quest’ultima storia per raccontarne un’altra, magari un po’ meno ovvia. 

Ecco, io mi chiedo come mai per Padre Paolo e Giovanni Lo Porto – tanto per fare due nomi – non ci sia la stessa attenzione e indignazione. Domande. Valgono forse di meno? O forse è perché non sono stati rapiti in una “democratica” olimpiade invernale che la notizia non vale? Il fatto di essere andati a lavorare, uno in Siria e l’altro in Pakistan, squalifica la loro storia? Ma il lavoro non doveva nobilitare l’uomo? E il mio amico in Italia, e gli altri italiani squalificati, valgono? Dicono che l’erba e la protesta del vicino sono sempre più verdi…

La verità è che se non ci fosse stata Geppi Cucciari gli italiani della storia di Rossella Urru avrebbero continuato a fare volentieri a meno. Ed è solo grazie alla copertura mediatica di un personaggio mediatico come Vladimir Luxuria che abbiamo saputo, immediatamente, che è stata liberata. Non solo, sappiamo anche che oggi è libera di scorrazzare per le piste da sci. E questo mi fa pensare ancora. Cioè. Va bene che la Russia non vincerà la medaglia d’oro per l’integrazione LGBT, vanno bene le piste da sci, ma non sarebbe meglio parlare anche di quell’attivista italiano di Greenpeace, Christian D’Alessandro? Fortunato chi conosce la storia.

In più. Oltre ai sequestrati, sono più di tremila i detenuti italiani all’estero. Sono storie strane che nessuno conosce. Molto difficili da reperire, davvero. Fare combinazioni del tipo: italiani estero + detenuti, detenuti italiani + estero, italiani rapiti + estero… comporta un QI molto elevato, credetemi. Credetemi anche quando vi dico che sono contento che Vladimir Luxuria è stata liberata, ma non sono contento per niente per tutto quello che avvolge ancora il silenzio delle altre storie. Storie che parlano non solo di diritti LGBT, ma anche di quelli. Storie di dolore universale, primi vagiti di vite spezzate. Storie che magari qualcuno ha – già – scritto ma nessuno legge.

Non è che dove non arrivano le telecamere le cose non succedono, anzi. Vivendo in Turchia io questa storia la conosco benissimo. Anzi, l’ho scritta.

Luca Tincalla- da Istanbul

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