Sebbene si preveda che il risultato ufficiale venga annunciato dalla Commissione elettorale centrale soltanto venerdì prossimo, lo scrutinio già ora del 99% e rotti delle schede consente di considerare definitivo il conteggio dei voti alla nuova Duma di Stato. Russia Unita, col 54,2% dei voti, si aggiudica 343 deputati su 450; il PCFR, col 13,4%, 42 seggi; al LDPR vanno 39 seggi, avendo ottenuto il 13,2% dei consensi. 23 deputati per Russia Giusta, che ha raccolto il 6,2% dei voti.
“Le elezioni al parlamento sono state di fatto un referendum sulla fiducia al presidente”, scrivono oggi le vedomosti.ru; “il consenso è consenso proprio perché non prevede discussioni, ma solo unità di fronte alla minaccia esterna”. Sembra che in quest'ultima frase possa genericamente riassumersi l'esito del voto di domenica scorsa in Russia. Amici e conoscenti che hanno deciso di non andare a votare, hanno detto che, di fronte al dilemma di appoggiare pienamente la politica estera presidenziale o bocciare senza appello il corso interno del Governo, hanno preferito rimanere a casa. Difficile dire se sia stato così per tutto quel 52% di russi (ma è stato il 74% a Piter e il 71% a Mosca, contro il 16% di non partecipanti in Cecenia o il 20% in Kabardino-Balkarija) che non hanno partecipato al voto; in ogni caso, le stesse vedomosti.ru notano come il 54% di Russia Unita rappresenti solo il 26% del corpo elettorale complessivo: quattro punti in meno rispetto al 2011, allorché al partito presidenziale erano però andati “soltanto” 238 seggi.
Sin dall'avvio della campagna elettorale, l'opposizione comunista aveva denunciato l'anticipazione del voto, inizialmente previsto a dicembre, obiettando che nel periodo estivo il centro di gravità dell'agitazione politica sarebbe stato concentrato quasi esclusivamente su temi di politica estera: sembra che proprio su questo contasse Russia Unita. Ma è comunque difficile imputare soltanto a fattori “temporali” e ai pur numerosissimi “giri di giostra” degli “elettori di professione”, il distacco abissale che oggi separa, alla Duma, il partito presidenziale dal PCFR o dal LDPR. L'apatia generale, a differenza di quanto sostenuto dagli osservatori cosiddetti ”antisistema” – un aggettivo con cui, sia in Occidente, sia nei circoli filooccidentali russi, si è soliti caratterizzare esclusivamente l'opposizione liberale e “democratica” – non ha certo penalizzato solamente “l'opposizione liberale e la classe media cittadina” che, secondo vedomosti.ru, “sono rimaste prive di rappresentanza parlamentare e, nell'attuale situazione, dovranno trovare un'idea alternativa allo slogan “Russia senza Putin”. La scarsa affluenza ha castigato in larga parte, e forse molto di più, anche la politica per molti versi “bifronte” dei comunisti di Gennadij Zjuganov.
Quei russi che domenica scorsa sono rimasti a casa, hanno anche espresso con ciò stesso un rifiuto proprio delle politiche liberali – con buona pace di chi piange sull'assenza in parlamento di figure favorevoli a liberalizzazioni ancor più sfrenate rispetto alle attuali, privatizzazioni estese anche ai settori fondamentali del paese, genuflessioni a iosa a UE e USA, aumenti tariffari, tagli a sanità e istruzione che surclassino quelli condotti dal governo Medvedev – portate avanti oggi da ministri e oligarchi di sicura fede eltsiniana. Per certi aspetti, probabilmente non sono lontane dal vero nemmeno le vedomosti.ru, quando parlano di “classe media cittadina” priva di rappresentanza: il voto a favore di Russia Unita è anche un voto alla simbiosi tra grande capitale e alte sfere statali, con agganci sovranazionali, mentre pare rimanere un po' a bocca asciutta quella parte di Russia (una percentuale di poco superiore a quella costituita dall'oligarchia energetico-finanziaria) del piccolo business, più legato all'imprenditoria nazionale. Quantunque non del tutto a bocca asciutta. Perché?
Il Partito Comunista Operaio di Russia riporta i risultati di un breve sondaggio condotto da “Fontanka.ru” sui candidati di Piter alla Duma di Stato e all'assemblea elettiva cittadina. Ora, secondo i dati diffusi dal Comitato statale per le statistiche, i redditi reali dei russi, ad agosto, erano scesi del 8,3% rispetto al 2015; la caduta tra gennaio e agosto 2016 è stata del 5,8% e il salario medio era di 34.095 rubli (ma secondo le stime del PCFR, 7 persone su 10 hanno un salario di 15.000 rubli) al mese, calato del 1% rispetto a un anno fa. Ebbene, a fronte di tale situazione, i candidati di Russia Unita a Piter per la Duma di Stato dichiarano un reddito medio di 16 milioni annui (il reddito comprende gli introiti dell'intero nucleo familiare. Ma alcuni arrivano a 48 milioni), oltre a proprietà immobiliari anche all'estero; i candidati dello stesso partito all'assemblea cittadina, dichiarano una media di 2,8 milioni annui. Un candidato medio del PCFR, insieme alla famiglia, ha un reddito di 2,5 milioni, un appartamento, quattro case, un'auto; ma, il reddito complessivo degli otto candidati del partito è di 45 milioni di rubli. Gli introiti medi del candidato del LDPR a Piter sono di 1,5 milioni, due appartamenti, un appezzamento di terra e un'auto. Il candidato di Crescita (il partito degli imprenditori) guadagna 26 milioni l'anno, ha tre appartamenti e almeno una villa all'estero. Il candidato di Jabloko (la formazione dell'inossidabile eltsiniano Grigorij Javlinskij) dichiara “appena” 2 milioni, un appartamento e un'auto. Ancora più misero il candidato medio di Parnas (la formazione capeggiata dall'ex premier Mikhail Kasjanov), che dichiara “solo” 900mila rubli, vive in un solo appartamento e può disporre appena di 1/3 di auto. Stesso reddito medio per i candidati di Patria. Molto più alti i redditi dei Patrioti di Russia: 6 milioni, un appartamento e un'auto. “Poveri” appaiono i candidati dei Verdi, che dichiarano in media 500mila rubli annui, ma hanno in compenso due appartamenti, un pezzo di terra e due auto. In coda, i Comunisti di Russia, con 200mila rubli e un appartamento.
Più modesti i redditi dei candidati per gli stessi partiti all'assemblea cittadina di Piter, anche se, in ogni caso, ben al disopra della media nazionale ufficiale di 34mila rubli; anche il candidato di Rot Front dichiara 290mila rubli, dispone di 0,3 auto e vivacchia in 0,7 appartamenti.
Per quanto la cosa suoni abbastanza di “populismo” a buon mercato e, tralasciando ogni analisi di classe, rivolga sulla sola “casta” politica l'attenzione delle ricerche, tali indicatori non hanno probabilmente lasciato indifferenti gli elettori russi. Soprattutto quei 57 milioni (secondo il leader LDPR Vladimir Žirinovskij) o due terzi (secondo il capo del PCFR Gennadij Zjuganov) del corpo elettorale complessivo che hanno deciso di rimanere a casa.
Fabrizio Poggi
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