Il 12 marzo nel tribunale di Temuko si è svolta la prima udienza del processo a Héctor Llaitul, portavoce della Coordinadora Arauco Malleco (CAM), organizzazione del popolo Mapuche che dagli anni ’90 rivendica e agisce per il recupero delle proprie terre usurpate e depredate dalle multinazionali (specialmente imprese forestali) che se ne sono appropriate con il benestare e con l’aiuto militare concreto dello stato cileno.
In aula è comparso ammanettato (come la Salis…ma il Cile non è autocratico, perciò nessuno se ne accorge…) ed è inoltre utile sapere che nei tribunali cileni sono ancora ammessi i cosiddetti “testimoni senza volto”, cioè testimoni accusatori che in anonimato e col volto coperto depongono contro l’imputato. Il processo doveva essere trasmesso online, ma non è stato permesso a osservatori internazionali dei diritti umani di rimanere collegati telematicamente all’udienza.
Nella sua dichiarazione il Werken (portavoce) che già in passato ha dovuto subire il carcere per circa 11 anni complessivamente in più tranche, ha riaffermato il suo ruolo e la sua posizione politica e ideologica Mapuche, facendo un breve racconto di quello che ha significato la lotta territoriale contro le imprese forestali.
Le accuse attualmente contestate a Llaitul sono fondamentalmente relative a 3 dichiarazioni fatte alla stampa nelle quali rivendica il diritto dei popoli a opporsi all’occupazione e al genocidio. Tanto basta al governo cileno, che si dichiara a favore dei Diritti Umani, per richiede 25 anni di carcere per il portavoce di queste teorie sovversive.
Anche per il diritto internazionale, il fatto che un popolo rivendichi la propria terra e se la vada a prendere, non è considerato terrorismo. Come non lo è il fatto di resistere con ogni mezzo necessario all’occupazione e allo sfruttamento di esseri umani e terre. Nel Wallmapu (territorio Mapuche che si estende tra Cile e Argentina) come in Palestina, e ovunque. Questo almeno prevedono le normative.
Ma, attualmente, pur di contrastare le giuste rivendicazioni dei popoli è diventata prassi inventare e/o punire reati inesistenti o che, in altri tempi e momenti storici, non poi tanto remoti, sono stati addirittura specificamente categorizzati nel contesto dei Diritti.
Ad esempio il Diritto all’Autodeterminazione dei popoli, che oggi si tira in ballo solo per piegarlo e riconoscerlo, con strane alchimie, solo a situazioni gestite dagli Stati in alleanza NATO, una per tutte l’Ucraina.
Altro esempio è la definizione, e la condanna relativa, degli atti che possono configurarsi come Genocidio. Sembrava acquisito questo concetto, ma oggi è invece una parola che molti hanno addirittura timore di pronunciare, in particolare se riferita al caso palestinese, alcuni per paura di ritorsioni, altri per evitare che si possa arrivare a mettere in discussione l’invasione sionista della Palestina e con essa gli equilibri voluti in Medio Oriente.
E in queste operazioni di mistificazione e ribaltamento della realtà non ci sono differenze tra Stati cosiddetti democratici, sovranisti o autocratici, tutti sono al servizio del capitale sempre più concentrato in poche mani e sempre più interessato a risolvere con la guerra le proprie insanabili contraddizioni e decadenze strutturali.
Héctor Llaitul, prima dell’udienza del 12 marzo, aveva inviato una lettera al Comitato del Diritti Umani dell’ONU per rappresentare la situazione sua e del suo popolo criminalizzati proprio per avere la pretesa di far rispettare dei Diritti ufficialmente sbandierati da tutti, ma in effetti rispettati da pochi. Ve la proponiamo qua di seguito.
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“Mi rivolgo all’Onorevole Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, nella sua 140a sessione, per porre
a sua conoscenza, una serie di azioni dello Stato del Cile contro di me e contro il Popolo Mapuche, al quale appartengo, che costituiscono flagranti violazioni dei Diritti Umani, universalmente sanciti nelle Dichiarazioni e nei Trattati Internazionali vincolanti per gli Stati e per le persone.
Sono Héctor Llaitul Carrillanca, portavoce (werken) del Coordinamento Arauco Malleco, un’organizzazione composta da persone appartenenti al Popolo Nazione Mapuche, un popolo originario di questa zona del sud del mondo, storicamente vittima di incessanti persecuzioni da parte dello Stato del Cile. Faccio parte di un movimento Mapuche autonomista che è stato perseguitato per motivi politici e culturali nel quadro della criminalizzazione della nostra lotta in rivendicazione del territorio usurpato e attualmente occupato principalmente da imprese forestali, investimenti al servizio di interessi privati.
La lotta del popolo Mapuche si basa sull’esercizio del diritto alla libera autodeterminazione
dei popoli, in base al quale rivendichiamo territori ancestrali che ci sono stati sottratti illegalmente e illegittimamente da coloni e grandi imprese dedite allo sfruttamento di queste terre, con politiche
estrattiviste che minacciano la nostra visione del mondo. Tutto questo sotto la protezione e la tutela delle istituzioni dello Stato del Cile, che ha criminalizzato la nostra lotta per l’autonomia e il recupero territoriale attraverso l’applicazione di una legislazione d’eccezione come, ad esempio, la legge 12.927 sulla Sicurezza dello Stato e la legge 18.314 sulle condotte terroriste.
Per più di 30 anni sono stato perseguitato politicamente per il solo fatto di essere Mapuche e dirigente di un’organizzazione di tipo Mapuche autonomista, un’organizzazione che lotta per l’emancipazione e i diritti territoriali e culturali del nostro Popolo Nazione e che, a sua volta, denuncia gli abusi da parte delle imprese forestali che depredano e devastano il territorio ancestrale che noi chiamiamo Wallmapu.
Insomma, abbiamo denunciato lo Stato del Cile perché si mette al servizio degli interessi economici imprenditoriali, ignorando il significato culturale e identitario che hanno la terra e la natura.
Per noi Mapuche.
Nel contesto della persecuzione, ho trascorso più di 11 anni in prigione in modo ingiusto e arbitrario in più occasioni. Sono stato processato dalla giurisdizione penale militare e sono stato criminalizzato attribuendomi la responsabilità penale di terrorista.
Sono stato processato due volte per uno stesso fatto, violando il principio del Non bis in idem, e in altri processi sono stato giudicato con l’utilizzo di testimoni senza volto o con identità riservata.
Sono stati manipolati, e usati contro di me, sistemi probatori propri della legge antiterrorismo, in modo nascosto per giudicarmi e attribuirmi responsabilità in altre cause.
Dovete sapere che per l’applicazione abusiva della legge antiterrorismo ho denunciato lo Stato del Cile davanti alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani (IACHR) denuncia che è in corso ed è registrata con il numero 13.536, e si fonda sulla violazione delle norme del giusto processo e la violazione del principio di legalità per la costruzione aperta dei reati di terrorismo.
Tuttavia, non sono mai stato condannato in funzione di detta legge, ma è stata utilizzata questa normativa antiterrorismo per abusare dei sistemi probatori eccezionali stabiliti da questa legge, il che costituisce una violazione del diritto alla difesa e della presunzione di innocenza.
Sono stato anche vittima di operazioni di intelligence da parte di agenti dello Stato, che hanno organizzato, con le strutture del potere civile, come il Ministero degli Interni, e la polizia dei Carabineros, un montaggio tecnologico per attribuirmi responsabilità penali in crimini gravi secondo la legge sulla sicurezza dello Stato, la legge antiterrorismo e il codice penale.
Uno di questi casi è diventato famoso come Operazione Uragano. Manovra che mi ha privato ancora una volta della libertà, finché la Corte Suprema non ha stabilito l’illegalità dell’operato del potere civile e della polizia in uniforme, che si sono avvalsi arbitrariamente ed abusivamente delle istituzioni dello Stato che, tutelate dall’azione dei Procuratori del Pubblico Ministero, hanno cercato di attribuirmi responsabilità penali inesistente. Il caso Huracan è stato un montaggio rozzo che ha messo in imbarazzo lo Stato del Cile.
In questo momento mi ritrovo nuovamente privato della libertà e, questa volta, solo per aver espresso le mie idee e quelle della mia organizzazione, per la difesa della nostra visione ancestrale del mondo come popolo originario. Ciò che ne deduco è che io sono trattato, e il popolo Mapuche è trattato, come il nemico interno, ed è per questa ragione che nel Wallmapu si applica una politica repressiva militarizzata mediante l’azione delle forze armate, concentrando, in detto territorio, stati d’eccezione costituzionale che, per la loro forma ricorrente e reiterata, non hanno nulla di eccezionale e consentono, piuttosto, la violazione dei diritti essenziali mediante la repressione portata avanti dai militari contro le comunità mapuche composte da donne, bambini e civili disarmati, in una logica di scontro e di guerra.
Nel processo portato attualmente avanti contro di me, sono accusato per cinque fatti, tre dei quali corrispondono a presunti crimini contro la legge di sicurezza dello Stato, fondamentalmente per aver manifestato idee sulla nostra lotta territoriale e politica, per aver identificato nelle imprese forestali i nemici diretti e storici del Wallmapu.
Nei due fatti rimanenti, ritengo ancora una volta che si tratti di montaggi, in cui, ancora una volta, si utilizzano contro di me testimoni con identità riservate (testimoni senza volto). Testimoni che sarebbero la prova principale, per la quale rischio una condanna a più di 25 anni di carcere.
Va anche notato che la mia situazione non dipende esclusivamente dal potere giudiziario, ma piuttosto che l’attuale governo ne è direttamente responsabile, poiché il caso è stato avviato su una denuncia del Ministero degli Interni sotto il mandato di Sebastian Piñera, ed è stato ampliata dall’attuale governo di Gabriel Boric. Un punto rilevante, poiché se la denuncia venisse ritirata, l’azione penale si estinguerebbe, poiché il caso verrebbe archiviato rispetto ai reati della Legge sulla Sicurezza dello Stato.
È in queste circostanze che mi trovo nuovamente incarcerato, sottoposto alla misura cautelare più gravosa come il carcere preventivo. Sono in carcere da quasi 2 anni senza che nei miei confronti sia stata pronunciata una condanna penale, il che ha trasformato questa privazione della libertà in illegale e illegittima. Questo fenomeno procedurale repressivo si estende anche ad un gruppo di altri Mapuche appartenenti al mio popolo, privati della libertà e che oggi rivendicano il loro status di prigionieri politici, perché sono tutti vittime della stessa azione politica repressiva e militarizzata imposta dallo Stato del Cile e che certamente si è intensificata con il governo attuale di Boric.
Infine, voglio segnalare che la repressione esercitata sui membri delle comunità Mapuche detenuti si estende ai regimi carcerari che ci vengono applicati, con totale ignoranza e disprezzo di diritti sanciti, come quelli della Convenzione 169 dell’ILO sui Popoli Indigeni e Tribali. Nel nostro carcere, infatti, non si tiene conto delle nostre caratteristiche culturali, economiche e sociali, né viene data preferenza a tipologie di sanzioni diverse dalla reclusione comune.
Pertanto, il sistema carcerario che ci viene applicato costituisce un trattamento inumano e degradante.
A causa di questa situazione ci siamo trovati nella necessità di effettuare uno sciopero della fame rivendicando la condizione di PRIGIONIERI POLITICI MAPUCHE, una misura drastica che in alcuni casi si è prolungata per più di 90 giorni, e che ha avuto come conseguenza gravi danni alla salute e all’integrità fisica e che sicuramente ci lascerà delle sequele.
Riteniamo che lo sciopero della fame sia una protesta legittima per esigere il rispetto del diritto internazionale relativamente ai diritti umani, e per questa ragione chiedo la comprensione e l’intervento di questo Onorevole Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite affinché possa intervenire con i suoi buoni uffici e contribuire alla soluzione di questi conflitti storici.
Héctor Llaitul Carrillanca”
https://youtu.be/AoGGQK9TsNk?si=XepfHPotQ5YiwwlC
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