Per una bizzarra parziale coincidenza di date sui calendari, l’anniversario della nascita del primo stato socialista al mondo e quello dell’atto iconoclastico per eccellenza che da 25 anni, raffigura la “crisi dell’Impero sovietico”, quasi si toccano. Il 7 novembre di 97 anni fa, operai, soldati e marinai davano l’assalto al Palazzo d’Inverno a Pietroburgo e nasceva il primo governo operaio e contadino al mondo, con a capo Vladimir Lenin.
Il 9 novembre del 1989 al capitale occidentale si spalancavano definitivamente le porte dell’immenso mercato esteuropeo: l’abbattimento del muro di Berlino voleva simboleggiare l’apertura della strada alla vittoria irreversibile “della democrazia sulla dittatura”: sull’abbrivo di perestrojka e glasnost, di lì a due anni, con la fine dell’Urss decretata a tavolino, il circuito aperto nel 1917 si sarebbe richiuso.
Essendo il mercato, per definizione, libero, il suo trionfo deve per forza significare, ancora per definizione, la vittoria della libertà e della democrazia sul regno buio dell’illibertà e della dittatura. Il 9 novembre 1989 doveva saldare insieme i due mondi – quello dell’economia pianificata e, quindi, dell’uomo “controllato totalitariamente dallo Stato”, da un lato e quello dell’intraprendenza individuale e, quindi, della personalità gioiosamente estrinsecantesi – rimasti pericolosamente lontani fin da quel 7 novembre 1917.
Libertà e democrazia, dunque. Lenin, festeggiando nel 1921 il quarto anniversario della Rivoluzione socialista d’Ottobre, sottolineava come questa avesse portato rapidamente a compimento i compiti democratico borghesi iniziati otto mesi prima dal governo provvisorio borghese succeduto al potere zarista con la rivoluzione di febbraio. <Noi abbiamo condotto la rivoluzione borghese democratica sino in fondo, come nessun altro. Noi procediamo con piena coscienza, fermezza e inflessibilità verso la rivoluzione socialista, sapendo che essa non è separata da una muraglia cinese dalla rivoluzione democratica borghese>.
E quale è il contenuto della rivoluzione democratico borghese? <Centocinquanta o duecentocinquant’anni fa, i capi più avanzati di tale rivoluzione hanno promesso ai popoli di liberare l’umanità dai privilegi medioevali, dall’ineguaglianza della donna, dai vantaggi concessi dallo Stato a questa o a quella religione (o all’«idea religiosa», alla « religiosità» in generale), dall’ineguaglianza delle nazioni. Hanno promesso, ma non hanno mantenuto. Non hanno potuto mantenere perché sono stati ostacolati dal «rispetto» per la «sacra proprietà privata». Per consolidare per i popoli della Russia le conquiste della rivoluzione democratico borghese, noi ci siamo spinti oltre. Le trasformazioni democratico borghesi sono un prodotto accessorio della rivoluzione proletaria, cioè socialista. La prima si trasforma nella seconda. La seconda risolve cammin facendo i problemi della prima. Il regime sovietico significa massima democrazia per gli operai e i contadini e, al tempo stesso, rottura con la democrazia borghese e comparsa di un nuovo tipo di democrazia di importanza storica mondiale, e precisamente della democrazia proletaria o dittatura del proletariato. Abbiamo il diritto di esser fieri che ci sia toccata la fortuna d’iniziare una nuova epoca della storia mondiale, l’epoca del dominio di una nuova classe, oppressa in tutti i paesi capitalisti e che dappertutto marcia verso una vita nuova, verso la vittoria sulla borghesia, verso la dittatura del proletariato, verso la liberazione dell’umanità dal giogo del capitale>.
Democrazia e dittatura, dunque, analizzate dal punto di vista di classe, marxista: <dittatura non significa necessariamente abolizione della democrazia per quella classe che esercita tale dittatura su altre classi, ma essa significa obbligatoriamente soppressione (o una molto sostanziale riduzione, che è pure un tipo di soppressione) della democrazia per quella classe su cui o contro di cui si esercita la dittatura>, scriveva Lenin nel 1918 in polemica con Kautsky.
E’ trascorso quasi un secolo da quegli avvenimenti e da quell’analisi classista. Ed è trascorso poco meno di mezzo secolo da quando in Italia si scriveva che: <Tra quegli strati decisivi delle giovani generazioni che si sono venuti orientando in senso socialista, in senso rivoluzionario, certe impostazioni democraticistiche formali, che presupponevano l’abbandono della visione marxista, classista dello Stato, hanno perduto ogni capacità di presa. L’opera di Lenin riflette sempre più nettamente, a partire dagli anni della guerra imperialistica, una esperienza non puramente russa, ma mondiale – l’esperienza dell’intero movimento rivoluzionario. Vogliamo e dobbiamo essere presenti – alla testa della classe operaia e delle masse popolari, e nel confronto e nello scontro con le altre forze politiche – in ogni luogo e in ogni momento in cui si conduca la lotta politica nel nostro paese; e con gli strumenti del marxismo teorico, seguendo l’esempio di Lenin, arricchire di continuo la conoscenza della società in cui operiamo, elevare il grado di consapevolezza del movimento di cui siamo parte e guida essenziale, rischiarare la prospettiva della nostra battaglia. E’ così che possiamo avanzare e avanzeremo sulla via della democrazia e del socialismo>. (Giorgio Napolitano, L’insegnamento di Lenin nell’esperienza e nella prospettiva del Pci. – 1970, Quaderno speciale di Rinascita dedicato al 100° anniversario della nascita di Lenin).
Appunto.
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