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Nazionalizzare l’Ilva? Non solo è possibile, è anche necessario

La proposta di un intervento pubblico per l’ILVA, ipotesi annunciata da Renzi in questi giorni, muove nella direzione auspicata da diversi anni dall’USB, sostenuta anche nell’incontro sull’ILVA che l’USB ha avuto con il presidente del consiglio nel mese di settembre; nel corso dell’incontro Renzi non rigettò la nostra proposta di nazionalizzare l’ILVA ed ammise che sull’ILVA vi erano due posizioni in campo, quella dell’USB e quella di Confindustria, sostenuta anche da Fim Fiom e Uilm.

Non soddisfa invece la modalità con cui il governo annuncia il possibile intervento, ossia la possibile acquisizione del sito mediante l’intervento della cassa depositi e prestiti, il suo risanamento, anche ambientale, e la sua successiva collocazione sul mercato, rendendo possibile questo intervento mediante il rafforzamento dei poteri del commissario straordinario.

L’USB ritiene invece che si debba procedere ad una vera nazionalizzazione del siderurgico di Taranto, intervento che se non si volesse effettuare mediante l’esproprio, come da noi auspicato, potrebbe essere effettuato utilizzando metologie analoghe a quelle già esistenti, sul modello della possibilità di intervento delle A.S.I. ( consorzi per lo sviluppo delle aree industriali) che consentirebbe, nei fatti, l’acquisizione a costo zero, consentendo così di poter procedere alla bonifica del sito ed al suo rilancio come industria strategica per il nostro paese, sotto il diretto controllo pubblico.Come noto l’A.S.I. può, infatti, esercitare il diritto di prelazione nell’acquisizione di stabilimenti, detrarre dal costo di acquisto il totale dei finanziamenti pubblici ricevuti dallo stabilimento in oggetto, risanarli e farli tornare ad essere produttivi.

In altre parole la nazionalizzazione sarebbe l’unico strumento che consentirebbe un intervento pubblico non oneroso per l’acquisto dell’acciaieria, mentre gli impegni di spesa potrebbero essere destinati al reale risanamento e bonifica del territorio e dello stabilimento, oltre che al mantenimento dei livelli occupazionali ed al rilancio dell’attività produttiva, garantendo così che l’ILVA non segua la tragica fine di altri strategici siti produttivi Italiani che, ceduti a privati o a multinazionali, sono stati progressivamente spolpati, svuotati di tecnologie e, infine, chiusi, con enorme danno per lo stato Italiano che ha dovuto accollarsi i costi sociali e materiali di queste chiusure che hanno lasciato sul lastrico decine di migliaia di lavoratori.

In ultimo riteniamo che l’ intervento diretto dello stato nei settori industriali e non solo, ritenuti strategici per il paese, sia l’unico modo per interrompere la lunga catena di cessazioni di attività, di spoliazione di competenze, di tecnologie, di saperi che l’onda lunga del liberismo e delle privatizzazioni ha prodotto nel nostro paese, lasciandosi dietro macerie e disoccupazione ed impoverendo il tessuto industriale che è stato la spina dorsale dell’economia Italiana.

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