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Uscire dalla Nato si può

L’uscita dell’Italia dalla NATO è stato per decenni un obiettivo strategico per molte formazioni politiche di diverso orientamento e tipologia. Per quanto questo obiettivo fosse largamente condiviso in settori trasversali della società e delle istituzioni, non solo non è stato raggiunto, ma non è stato nemmeno mai sfiorato.

Prima della caduta del Muro di Berlino e della dissoluzione dell’Unione Sovietica, il mondo era nettamente ripartito in due Blocchi: quello socialista e quello capitalista occidentale. Questa spartizione era il frutto degli accordi di Yalta siglati dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale (Unione Sovietica, USA e Gran Bretagna). Sebbene ci siano stati diversi tentativi di percorrere delle vie “terze” rispetto a quella ripartizione, questi non sono riusciti (se non marginalmente) ad alterare gli equilibri raggiunti. 

La spiazzante schematicità dello scenario è stata maggiormente definita e rafforzata dalla cosiddetta “Guerra Fredda”, cioè dalla palese contrapposizione tra i due Blocchi, ognuno dei quali si era dotato di un’alleanza militare, il Patto di Varsavia egemonizzato dall’URSS e la NATO egemonizzata dagli USA.

In quel contesto stare in una delle due alleanze significava soprattutto scegliere in quale dei due Blocchi collocarsi (per quanto nessun Paese di ogni schieramento, forse abbia mai potuto realmente “scegliere”). Durante la Guerra Fredda, gli USA non avrebbero mai potuto accettare l’allontanamento dalla propria sfera d’influenza di un Paese strategicamente importante come l’Italia. Al contempo, molto probabilmente l’URSS non era particolarmente ansiosa di alterare gli equilibri di Yalta e un allontanamento dell’Italia dalla NATO sostenuto (più o meno direttamente) dall’URSS non è mai stato un’ipotesi verosimile. Tanto meno non sarebbe stato plausibile un allontanamento autonomo, frutto dell’autodeterminazione del popolo italiano. In quel caso gli USA sarebbero stati pronti ad intervenire militarmente, attraverso il sostegno ad un Colpo di Stato o addirittura con un’azione bellica diretta; non c’è motivo di escludere che in entrambi i casi l’URSS avrebbe preferito non rimanere coinvolta in quello scontro.

In sostanza, prima della caduta del Muro di Berlino un allontanamento dell’Italia dalla NATO sarebbe stata un’ipotesi estremamente improbabile.

Dopo la dissoluzione del Blocco Socialista e la capitolazione del Patto di Varsavia, il mondo si è radicalmente trasformato e si sono create delle condizioni teoricamente più favorevoli per la fuoriuscita dell’Italia dalla NATO. Oggi lo scenario geopolitico è ancora più articolato ed esistono dei margini di manovra potenziali ben più ampi rispetto ad alcuni anni fa.

Durante la Guerra Fredda l’abbandono dell’Alleanza da parte di uno Stato come l’Italia sarebbe stato visto dagli USA come un’inammissibile tradimento e da una parte dell’opinione pubblica come un salto nel buio, mentre oggi la cosa non avrebbe lo stesso impatto emotivo in quanto libera dal fardello ideologico frutto della contrapposizione dei Blocchi. Oltretutto la NATO non può più neanche contare sulla copertura ideologica precedente, associata alla sua funzione teoricamente difensiva e di contrapposizione all’altro blocco militare, ma è evidente ai più che si dedica a condurre guerre di rapina e a praticare ingerenze politiche, costituendo poco più di un gruppo d’interesse economico e ragionando in termini aziendalistici sulla base di analisi costi/benefici. Se gli USA si rendessero conto che ostacolare l’uscita di un Paese dalla NATO gli possa costare più dei vantaggi che la sua presenza gli garantisce, probabilmente lo lascerebbe andare.

Anche sotto il piano strategico, l’Italia apporta un contributo non essenziale alla NATO. Abbiamo delle Forze Armate che in tutto il secondo dopoguerra non si sono mai distinte per efficienza o capacità offensiva. Inoltre, il fatto che l’Italia esca dalla NATO non necessariamente potrebbe avere delle conseguenze dirette sulla presenza USA nel Mediterraneo, in quanto le basi dell’Alleanza nel nostro Paese probabilmente rimarrebbero comunque sotto il loro controllo.

Non sembra possibile pensare che gli USA siano pronti a realizzare un Golpe tradizionale in un Paese UE, ne tanto meno a tentare un intervento militare diretto. Quindi in caso di abbandono dell’Alleanza da parte di qualche Paese UE, anche lo spettro della reazione militare sembrerebbe svanito. Ovviamente, ciò non significa che non ci sarebbero reazioni, ritorsioni e rappresaglie politiche e/o economiche. 

Oggi in Europa la NATO non gode di grande popolarità. Viene vista come un vecchio residuato bellico arrugginito e sgangherato. In molti si chiedono a cosa possa servire tenere in piedi un simile (costosissimo) apparato dopo la fine della Guerra Fredda. A questo interrogativo la principale risposta è quella di dotare le potenze occidentali di uno strumento per le loro guerre imperialistiche di rapina. Ma ciò fa esplodere una delle più insostenibili contraddizioni in seno alla NATO: sempre più spesso i vari membri litigano per la spartizione del bottino. USA e UK se ne garantiscono costantemente le parti più ricche e questo genera l’insofferenza di molti partner, prima tra tutti la Francia.

In molti dei Paesi aderenti alla NATO è in atto un acceso dibattito sulla possibilità di abbandonare l’Alleanza e in alcuni questa posizione potrebbe a breve divenire maggioritaria.

Oggi in Italia sono molte le forze politiche che (almeno a parole) vogliono uscire dalla NATO, accanto alle tradizionali se ne aggiungono di nuove: tutto il Movimento, la quasi totalità della Sinistra, quasi tutti i pacifisti, alcuni marginali settori dei partiti di Governo, alcune componenti dei partiti generati dal MSI, quasi tutti i movimenti neo-fascisti, una consistente parte del M5S e la Lega Nord. Seppur nessuna di queste forze (o loro possibili coalizioni) possa in alcun modo essere egemone, si nota che una larghissima parte dell’Italia sarebbe pronta, da subito, ad uscire dalla NATO. Ovviamente, le citate forze politiche sono tra loro incompatibili, pertanto è da escludere (con buona pace di molti) ogni possibilità di costruire un movimento unitario anti-NATO. Questo non significa però che le forze progressiste non si debbano organizzare per costruire un proprio percorso di lotta.

 

Oggi la NATO è in una grave crisi di prestigio e mostra agli occhi del mondo tutta la sua debolezza sia per le numerose sconfitte sul piano militare, sia per motivi economici e anche per motivi politici. Questo è il momento giusto per andarsene. La NATO, con tutti i problemi che ha, potrebbe non mettersi ad ostacolare con eccessiva risolutezza l’uscita di un partner come l’Italia. Anche perché, viene pur sempre considerata un alleato cialtrone, vigliacco e inaffidabile.

Da più di 10 anni le Forze della NATO collezionano sconfitte militari e sono dovute scappare “con la coda tra le gambe” da molti dei Paesi che hanno invaso.

Inoltre la NATO, (malamente indirizzata dagli USA), all’alba del nuovo millennio era convinta di aver creato un gap tecnologico insormontabile tra il suo armamento e la capacità bellica di chiunque altro. Si sentiva pronta ad aprire nuovi conflitti ultra tecnologici nei quali avrebbe potuto impiegare nuove sofisticatissime armi e un numero ridotto di soldati. In realtà, questa tecnologia ancora non è al grado di maturazione millantata dagli USA, ma soprattutto il gap tecnologico è stato ampiamente recuperato da diversi Paesi tra cui (anche se solo per alcune tecnologie) Cina, Russia e Iran.

La crisi economica che ha investito i Paesi occidentali si è inevitabilmente ripercossa anche sulla NATO. Gli Stati sono particolarmente fiaccati e stanno cercando “respiro” provando a tagliare il più possibile sulla spesa pubblica. Inevitabilmente, talvolta questi tagli possono (seppur in misura ridotta) riguardare anche la spesa militare. La corsa alle nuove tecnologie belliche, le avventure neo-coloniali, un esercito di remuneratissimi professionisti, ecc, rappresentano dei costi difficili da sostenere in un momento di crisi economica così profonda. In Italia qualche taglio è stato fatto, ma si è trattato per lo più di operazioni di maquillage.

Tuttavia la NATO è seriamente preoccupata per questa propensione ai tagli della spesa militare dei Governi partner. A questo si deve aggiungere che gli Stati destinano una percentuale del proprio PIL alla spesa militare, ma la crisi ha fatto seriamente diminuire il valore assoluto del PIL, perciò la quota variabile destinata agli armamenti si è inevitabilmente compressa. Per fronteggiare queste riduzioni di spesa, la NATO sta chiedendo ai propri partner di aumentare la percentuale di PIL destinata agli armamenti. In Europa, in molti ritengono la richiesta quantomeno inopportuna dato che arriva in un periodo in cui si taglia senza scrupolo e raziocinio sul welfare, istruzione, ricerca, protezione ambientale, ecc. Questa insofferenza è anche alimentata dal fatto che gli USA sfruttano impunemente la propria egemonia in sede NATO per imporre ai partner alcuni acquisti quantomeno sconvenienti. L’esempio più noto e lampante è relativo agli F-35, dei costosissimi aerei dalle controverse qualità tecniche.

 

In questa fase ci si trova in un contesto particolarmente propizio per avviare un percorso d’uscita dalla NATO anche in virtù dell’attuale scenario politico internazionale. L’Alleanza è oltremodo indebolita, i conflitti interni la stanno divorando, si presenta come  traballante e sfilacciata e mostra delle gravi criticità o contraddizioni sorte in almeno cinque differenti scenari: Libia, Kurdistan, Palestina, Ucraina e Cecenia.

In Libia è successo un fatto tanto grave quanto inedito: alcuni membri dell’Alleanza (Francia e UK), senza l’autorizzazione degli USA, hanno sferrato un attacco ad un Paese (la Libia) alleato strategico di un altro membro dell’Alleanza (l’Italia). Ciò non solo ha leso gli interessi nazionali italiani, ma anche per la prima volta messo in discussione l’egemonia USA.

Per fermare l’avanzata del cosiddetto “Stato Islamico” (ISIS) senza però rimanere coinvolti in un conflitto che non avrebbero potuto gestire, i Paesi della NATO hanno delegato ai curdi la guerra. Ciò si è tradotto nell’invio di consistenti forniture di armamenti a differenti formazioni curde. La Turchia (che è il secondo esercito dell’Alleanza per numerosità) non ha preso di buon grado questa scelta, in quanto è perfettamente cosciente che dopo la cacciata dell’ISIS (con cui mostra molte connivenze), quelle armi serviranno pure a liberare il Kurdistan turco.

Nel 2014 alcuni Paesi occidentali (tra cui alcuni NATO) hanno avviato l’iter per il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina. Ciò ha fatto infuriare il Governo israeliano, che nell’attuare le proprie rappresaglie finirà per sfilacciare ulteriormente la tenuta dell’Alleanza. Per differenti motivi Israele è per la NATO di fondamentale importanza: per la sua capacità d’influenza sul Governo USA, per il proprio contributo allo sviluppo delle tecnologie belliche, per la sua collocazione strategica, ecc.

In Ucraina gli USA hanno sostenuto un golpe che ha innescato una grave crisi con la Russia e che potrebbe avere delle conseguenze disastrose per l’intera umanità. Molti paesi NATO, (per interessi economici o talvolta anche per buon senso), cercano di  riportare a più miti consigli Obama, che però continua follemente a “gettare benzina sul fuoco”. Molti osservatori sospettano che il riaccendersi dello scontro in Cecenia sia stato innescato dagli USA, con il fine di aprire un secondo fronte su cui impegnare l’esercito russo. Però il sostegno alle milizie cecene non è tollerato dall’opinione pubblica occidentale, o almeno da quella parte che non finge di aver dimenticato il massacro di bambini nella scuola di Beslan. Ancora una volta, la NATO ha commissionato il “lavoro sporco” alle peggiori specie di criminali, esattamente come aveva fatto in: Afganistan, Yugoslavia, Siria, Ucraina, ecc. Senza però imparare la lezione più importante, cioè che questi criminali prima o poi gli si sarebbero rivoltati contro.

 

Ora la NATO è nella sua fase di maggiore debolezza. Ci troviamo di fronte all’ultima occasione per uscirne, già tra qualche mese potrebbe essere troppo tardi. La NATO è oltremodo provata, ma si sta riorganizzando e sta per trovare maggior vigore nel nuovo ruolo che gli verrà affidato: essere il braccio armato del TTIP. A quel punto, tutte le contraddizioni che la dilaniano verranno accantonate (seppur non rimosse) in nome dei colossali interessi economici che scaturiranno da quel misteriosissimo accordo.

Se si perdesse questa occasione, probabilmente rimarremmo sotto il giogo americano per tanti altri decenni.

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1 Commento


  • paolo

    Quale sarebbe dunque il primo passo da fare? Un referendum, un accordo politico tra i rappresntanti di governo e opposizione? Siamo sicuri che forze economiche presenti dal dopoguerra ad oggi , parlo di Inghilterra e Francia oltre che America del resto da sempre braccio armato della corona inglese, non si traducano e comandino una vera occupazione del suolo con governanti stranieri a presiedere sul popolo, scalzando i burattini italiani solo nel nome? Ringrazio anticipatamente per la risposta.

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