Nell’articolo di Nique la Police sulla crisi fiscale di Livorno c’è un interessante accenno alla flat tax. In questi giorni in molte trasmissioni, alla radio e alla TV, si è cominciato a promuovere più o meno sottilmente questo meccanismo, che consiste, lo ricordiamo, nell’introduzione di un’aliquota unica per l’imposta sul reddito.
Per il momento non è ancora un diluvio mediatico, che probabilmente ci sarà in futuro, ma una pioggerellina fitta fitta con la quale si cerca di rendere familiare questo termine al grande pubblico e associarlo, in maniera anche un po’ puerile, a dei concetti positivi, come una presunta “semplificazione” delle procedure o la riduzione dell’evasione fiscale. Certo, se si mettesse un’aliquota unica all’1 per mille è chiaro che la gente non si darebbe nemmeno la pena di evadere… Oppure si potrebbero togliere le tasse del tutto, così eliminiamo definitivamente l’evasione.
Alla radio è stato possibile ascoltare una trasmissione sul “miracolo albanese” dove si sosteneva che uno dei pilastri di questo presunto miracolo (per le mafie forse), oltre all’estrema semplificazione burocratica per cui sarebbe possibile aprire un’impresa in un solo giorno, è proprio la flat tax.
In Europa, la flat tax è stata introdotta nei Paesi dell’ex blocco dell’est, mentre nell’Europa Occidentale attualmente è presente solo in Grecia. In poche parole, la troviamo laddove il neoliberismo selvaggio ha fatto terra bruciata ed è stata eliminata qualsiasi parvenza di Stato sociale.
Nel nostro ordinamento la tassazione progressiva è considerata talmente fondamentale da essere prevista addirittura nella costituzione (art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”). Perché progressività? Per una ragione molto semplice, cioè che le classi meno abbienti spendono la maggior parte del loro reddito per soddisfare i loro bisogni fondamentali, quindi qualsiasi quota di reddito gli venga tolta questa viene sottratta ai bisogni fondamentali. Mentre se si toglie anche il 50% ai ricchi, questo 50% viene tolto a consumi voluttuari o ad investimenti (per lo più nel settore finanziario). Quindi un’aliquota unica è il solito meccanismo alla Robin Hood alla rovescia: si toglie ai poveri per dare ai ricchi.
Non a caso la flat tax è stata inventata nel 1956 dal guru del neoliberismo Milton Friedman (nella foto con Pinochet, uno dei suoi seguaci più illustri), che considerava qualsiasi forma di intervento statale in economia, come i sussidi per i disoccupati, il controllo dei prezzi o una politica fiscale redistributiva, come un crimine contro quel meccanismo perfetto che sarebbe “la mano invisibile del mercato”.
La flat tax rappresenta la definitiva rinuncia ad utilizzare la politica fiscale come strumento di redistribuzione del reddito verso il basso, e basta leggere Wikipedia per comprovare che “va ad esclusivo vantaggio di quella parte di popolazione che eccede le aliquote massime di reddito. Di fatto, oltre il 90% della popolazione pagherebbe le stesse tasse che paga con un sistema progressivo, e chi ha un reddito basso o medio basso, pagherebbe più tasse di quanto non ne pagherebbe con un sistema progressivo”. È altrettanto chiaro che per lo Stato le entrate fiscali si ridurrebbero in modo sensibile, venendo a mancare buona parte del prelievo sui patrimoni più cospicui. Di conseguenza ci sarebbe poi anche la necessitò di ridurre altrettanto sensibilmente la spesa pubblica.
La tassazione progressiva fa parte di una concezione solidaristica della società per cui la proprietà privata non è di per sé un diritto divino acquisito dai ricchi ma viene tutelata nella misura in cui è motore di sviluppo dell’intera società. In altre parole, io Stato ti permetto di arricchirti ma in cambio parte del tuo reddito dev’essere utilizzato per fini di utilità sociale. Una concezione che non è solo frutto del famoso patto tra partiti e tra classi che sottintende alla Costituzione italiana, ma che ritroviamo anche nei Paesi nord-europei dove prevale una visione calvinista (ecco perché in quei Paesi da sempre il sistema fiscale è particolarmente improntato alla progressività).
Ma quali forze politiche in Italia promuovono la flat tax? Oltre a Berlusconi, che ne ha sempre parlato ma non l’ha mai applicata, forse per evitare che la riduzione delle entrate fiscali aggravasse il problema del debito pubblico, oggi in prima linea in questa battaglia c’è Matteo Salvini, quello che difende le classi popolari italiane contro la sinistra imborghesita e quei cattivoni degli immigrati.
La flat tax quindi è palesemente un’arma letale contro le classi meno abbienti, ma è prevedibile che la parte peggiore del popolino italiota, che ha nel suo DNA una concezione individualistica alla “io speriamo che me la cavo” e un’avversione antropologica per tutto ciò che è pubblico, possa sostenere questa proposta. E chissenefrega se poi per fare una TAC ci sono tempi d’attesa di tre anni. Una bella assicurazione privata e via.
La soluzione semmai sarebbe una riforma fiscale che imponesse di pagare le tasse anche a chi non è dipendente o pensionato, riforma senza la quale il sistema italiano, dove i ceti a reddito fisso si fanno carico dell’intero gettito fiscale dello Stato, sarà sempre uno dei più iniqui al mondo, ed è incredibile che tra discorsi a vanvera sull’euro e proposte (anche del sindacato) di agevolazioni alle imprese per “creare posti di lavoro” immaginari nessuno si faccia portatore di quella che sarebbe l’unica proposta seria per ridurre le disuguaglianze sociali.
da Senzasoste
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