Quanto sta accadendo in questi giorni e accadrà nei prossimi mesi non solo in Francia ma in tutta Europa – ci riferiamo alle conseguenze che i fatti di Parigi avranno sulla dinamica dell’unificazione continentale – non può essere considerato di natura passeggera o contingente, ma a nostro modo di vedere rappresenta un volano per un ulteriore balzo in avanti di un processo di unificazione e proiezione imperialista che con tutti i suoi ritardi e contraddizioni trova proprio nella reazione alla crisi e agli attacchi esterni, per quanto amplificati dalla propaganda, un fattore di rilancio.
Non è la prima volta che un paese europeo viene colpito da attentati compiuti da organizzazioni islamiste, e sia il saldo degli attacchi alla metropolitana di Londra del 2005 che la strage alla stazione di Atocha di Madrid del 2004 con quasi 200 vittime furono assai più gravi. Eppure questa volta la risposta dell’establishment europeo è stata più generalizzata, immediata e contundente anche simbolicamente rispetto al passato.
A parte i dovuti distinguo, necessari vista la mobilitazione di milioni di cittadini francesi sull’onda emotiva suscitata dai morti di pochi giorni prima, non si può non notare che l’arrivo a Parigi dei principali capi di stato e di governo dei paesi di tutto il continente per partecipare alla cosiddetta ‘marcia contro il terrorismo’ costituisca non solo un evento di portata storica ma soprattutto, ed anche plasticamente, una micidiale rappresentazione di un imperialismo europeo giunto ad un livello di maturazione ulteriore rispetto all’imminente passato.
La presenza nella capitale francese di leader di altri paesi – compreso un Netanyahu che si è presentato nonostante il ‘no’ di Hollande – non può e non deve nascondere il fatto che il nucleo, l’essenza di quella iniziativa sia stata la rappresentazione di fronte ad amici e nemici di ciò che oggi è il processo di sviluppo di un polo imperialista europeo in campo a livello globale.
L’assenza del rappresentante del governo statunitense – di un qualsiasi rappresentante! – a quel tipo di rappresentazione così altamente simbolica segna di nuovo, plasticamente, la distanza crescente e irriducibile tra due progetti egemonici – quello statunitense e quello europeo – in competizione. E da questo punto di viste le scomposte e ridicole scuse di Obama del giorno dopo non fanno altro che manifestare la difficoltà, la confusione, l’inadeguatezza di una classe dirigente che a Washington sembra impreparata ad un’evoluzione degli equilibri internazionali che sottrae all’antica superpotenza unica il monopolio sullo scenario mondiale.
La grande partecipazione popolare ai cortei convocati nel paese domenica scorsa, improntati alla difesa della Republique e di un’unità nazionale appannaggio tradizionale della politica francese, non deve ingannare. Anche se improntata su slogan “progressisti” quella mobilitazione non ha, nel quadro che abbiamo sopra descritto, alcuna valenza di disobbedienza o rottura rispetto alle parole d’ordine scandite dagli strumenti di governo e di propaganda ufficiali. Semmai quella massa ha espresso, per ora in nuce, la potenzialità di un movimento reazionario di massa di cui il progetto imperialista europeo ha estremo bisogno in termini di legittimazione e che oggi si basa più sulla mobilitazione e sull’identificazione delle forze di centrosinistra – intimamente europeiste – che di quelle di destra, maggioritariamente “euroscettiche”. Legittimazione necessaria per giustificare un nuovo giro di vite interno in termini economici e soprattutto di diritti e libertà – indispensabile per rafforzare il polo europeo nella competizione globale con i poli concorrenti, non certo per aumentare la sicurezza dei cittadini di fronte agli attacchi esterni – ma necessaria anche a fornire un sostegno di massa alle prossime avventura belliche che la ‘grandeur’ francese e l’Unione Europea tutta intraprenderanno contro i paesi dove è presente il fondamentalismo islamico, dall’Africa centrale alla Libia all’Iraq alla Siria.
D’altronde non è la prima volta che assistiamo in questo continente, e in particolar modo in contesti di forte crisi economica e sociale, alla scesa in campo di movimenti reazionari di massa. Accadde con l’adesione di massa nelle società europee al colonialismo e agli interventi imperialisti dei rispettivi governi in giro per il mondo a cavallo tra il IXX e il XX secolo, e poi ancora con l’interventismo italiano allo scoppio del Primo Conflitto Mondiale, ed in seguito con l’affermazione dei regimi fascisti e nazisti in Italia, Germania e altri paesi.
Grave e foriera di nefaste conseguenze è, a nostro avviso, la partecipazione ideologica e materiale di gran parte della sinistra francese – in particolare del Partito Comunista – ai cortei che hanno sfilato nelle città d’oltralpe all’indomani degli attentati dimostrando un’inaccettabile subalternità non solo della sinistra liberale e socialdemocratica ma anche di alcune forze di quella presuntamente alternativa che non ha saputo e voluto distinguersi dal coro generale di legittimazione di processi, poteri e leader che anzi vanno messi sul banco degli imputati come corresponsabili di una guerra e di una destabilizzazione che sparse dall’Unione Europea in numerosi territori del globo non possono che tornare prima o poi a casa. Per fare un paragone storico, visto il comune quadro di crisi del capitale che investe il continente e il mondo intero, un tale subalternità delle sinistre alle priorità del proprio imperialismo non può che richiamare alla mente la sciagurata scelta da parte dei partiti socialisti di concedere ‘i crediti di guerra’, cioè di schierarsi dalla parte delle proprie borghesie permettendo quell’immane massacro di cui l’anno scorso abbiamo celebrato il centenario. Se allora era la “difesa della patria” il valore che i socialisti collaborazionisti misero al di sopra di ogni altra valutazione di classe o internazionalista, oggi l’elemento che permette la saldatura di alcune sinistre con il blocco costituito dai partiti dominanti è la difesa di una patria più grande – il progetto imperialista europeo – rappresentata da un punto di vista eurocentrico come baluardo dei “nostri valori”, delle “nostre libertà”, della “nostra civiltà”.
Va notato che l’isolamento del Front National da parte del cosiddetto fronte costituzionale francese rappresenta esattamente il contrario di quanto vorrebbe dipingere. Il Front National a livello interno e le destre apertamente populiste, razziste e fasciste non vengono escluse da altre forze che ne combattono il messaggio e la natura, ma esattamente al contrario da governi e realtà che ne adottano argomenti e pulsioni togliendo di fatto spazio politico ai vari Salvini o Le Pen di turno.
Di fronte a questo quadro come Rete dei Comunisti non possiamo che riaffermare la necessità di approfondire e allargare i ragionamenti e le denunce a proposito dell’involuzione di un quadro di crisi sistemica e di competizione globale che tende alla guerra e a proposito della natura imperialista dell’Unione Europea. Occorre rilanciare e subito la mobilitazione contro il rafforzamento della Nato e gli interventi militari che i governi europei utilizzeranno in Africa e in Medio Oriente per imporre i propri interessi.
Oggi dobbiamo essere consci del fatto che le organizzazioni jihadiste ed estremiste islamiche altro non rappresentano che l’espressione armata delle mire egemoniche e imperialiste di un “polo islamico” che a partire dalle petromonarchie arabe lancia la sua sfida agli altri poli e soggetti in campo a livello globale. Oltre che, per concludere, del fatto che una sinistra degna di questo nome non può non dare priorità al contrasto dell’imperialismo di “casa propria” impedendo che i cervelli dei compagni e delle compagne vadano all’ammasso di una ‘union sacrée’ che non ci rappresenta e che anzi è un formidabile strumento dell’avversario di classe.
Rete dei Comunisti – www.retedeicomunisti.org
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