“La prossima volta che vado a una manifestazione mi porto un sasso e provo a spaccare la vetrina di una banca”: l’ annuncio non viene da un fantomatico black bloc, ma da Giorgio Cremaschi, sindacalista di lungo corso e storico dirigente della Fiom. Gli ha dato di volta il cervello? O si è forse affiliato a un club di hooligans?
La sua rabbia è esplosa dopo la manifestazione nazionale dello scorso 28 febbraio a Milano, lanciata contro jobs act e lavoro gratuito dal Forum Diritti/Lavoro, di cui Cremaschi è ora membro attivo. Così dice in una sua video riflessione:
A Milano, se il gruppo dei ‘commercialisti zoppi’ fa un convegno, e sono in trenta, ci sono almeno venti televisioni che lo riprendono (…) La nostra manifestazione, che ha percorso tutto il centro di Milano con migliaia e migliaia di persone, con i migranti in piazza in massa insieme agli altri lavoratori, tutto questo… cancellato! Vedrai che, se spacco una vetrina, di quella manifestazione se ne parla.
Nella sua vita di sindacalista al fianco dei metalmeccanici, Giorgio Cremaschi in piazza c’è sceso tante volte e sa bene che il silenzio dell’informazione può oscurare un’iniziativa fino quasi a negarne l’esistenza, anche se quella stessa iniziativa ha visto manifestare migliaia di persone, anche se quella battaglia riguarda il futuro di milioni di lavoratori. Ma adesso, secondo Cremaschi, siamo giunti ad un “regime informativo, dominato da Confindustria, dalle banche e dal Partito Democratico” – ed è difficile riuscire a dargli torto…
È un dato di fatto che oggi l’Italia è scivolata al 73esimo posto nella graduatoria della libertà di informazione e che i media nel nostro Paese continuano ad essere in mano ad un ristretto gruppo di soggetti (basta guardarne la mappa proprietaria), fra cui scarseggiano gli “editori puri”, ovvero chi opera in carta stampata, tv, radio o internet senza possedere altre primarie attività, di business o di politica – scagli la prima pietra chi è senza conflitti di interessi …
Questi pochi padroni del vapore hanno tutti “esigenze” molto simili, che direttori di testata e relativi staff si impegnano a tradurre in linee editoriali, da cui poi deriva l’informazione che ogni giorno riceviamo o meno. Con le loro scelte, i vertici delle redazioni si dimostrano non solo culturalmente e politicamente omogenei ai propri datori di lavoro, privati o governativi che siano (e chi si prenderebbe in casa un piantagrane?) ma riescono anche a “turnare” fra una direzione e un’altra: dal Corriere al Sole 24 ore, dal Sole al Tg1, o da Mediaset a La 7, da Repubblica alla Rai e così via, in una rappresentazione plastica della proverbiale scelta fra zuppa e pan bagnato – se i masterchef sono sempre gli stessi, perché aspettarsi “aria nuova in cucina”?
Di tutto questo spesso si è parlato. Vorrei però aggiungere qualcosa che viene da esperienza personale, visto che faccio l’addetta stampa di un sindacato ben poco amato dall’informazione mainstream.
Alla scuola del “NON ACCENDIAMO I RIFLETTORI”, a meno che non ci sia una testa o una vetrina spaccata, una bandiera bruciata, o almeno una scritta “cattiva” su di un muro – insomma, una qualche rappresentazione di violenza – ci va ogni nuovo arrivato fra gli operatori dell’informazione. Volente o nolente, se si sgomita per aprirsi la strada in un mestiere (ormai anche questo) super-precarizzato, quella logica via via la si fa propria – altrimenti, come direbbe un noto maître à penser dei nostri giorni: SEI FUORI!
Assetata di sangue più di un vampiro prima del sorgere dell’alba; a caccia di lacrime, anche quando gli offesi le han versate tutte, quella logica è assai più potente di qualunque diktat impartito dal megadirettore di turno attraverso la sua catena di comando. Insomma, in redazione non c’è quasi più bisogno di dire apertamente: “Di quelli ne parliamo solo se sfasciano vetrine, e se sfasciano vetrine sono dei terroristi” – la logica si è trasformata in prassi operativa.
Ma allora, cosa deve fare il mondo del lavoro per conquistarsi l’attenzione dei media?
Ho una terribile storia incisa nella mente, che incarna tutto il disperato bisogno di ricevere quella attenzione: qualche anno fa un’infermiera napoletana, Mariarca Terracciano, cominciò a togliersi 150 ml di sangue al giorno per protestare contro il mancato pagamento del salario. I media si occuparono di lei, ma di lì a poco Mariarca morì. L’attenzione ricevuta non la portò fra “i salvati” – e vorrei tanto che la lista dei “sommersi” non continuasse ad allungarsi…
“Non c’è libertà senza libertà di informazione”, conclude giustamente Cremaschi: a lui il merito di aver lanciato la provocazione senza nascondere la mano. Ma se andremo a spaccar vetrine soltanto per fare accendere su di noi quei riflettori, finiremo comunque a fare la parte dei cattivi in una brutta fiction, di cui non controlliamo la regia.
Almeno la libertà di non collaborare a quella messa in scena – almeno quella – nessuno potrà togliercela.
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