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“Corpi di civili di pace” e politiche imperialiste

Nel silenzio dei mass media, in questi mesi il Governo Renzi ha portato a compimento un progetto coltivato da tempo: il coinvolgimento diretto di strutture civili “di pace” all’interno delle future operazioni di guerra. Sul modello statunitense di inizi anni  ’60 del secolo scorso, si rende sistematica quella integrazione alla quale hanno lavorato precedenti governi di centro – sinistra, con l’attiva collaborazione di Centri studi universitari, OnG, Associazioni, sindacati concertativi. A chiudere il cerchio dell’operazione, che non a caso cade in un momento di alta tensione nel Mediterraneo e nell’Est Europa, raccolte di firme e campagne “pacifiste” provenienti da quello stesso mondo che in questi anni ha collaborato attivamente con i Ministeri degli Esteri, ai margini delle operazioni di “peace keeping” e “peace building” in ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libano. Il grado di maturità di un polo imperialista si misura anche dalla capacità d’integrazione ideologica, politica e militare di settori della “società civile”, corpi intermedi inservibili per la mediazione sociale “in patria”, ma potenzialmente utili come nuovi “missionari” nelle avventure coloniali prossime venture. 

Il 20 marzo 2003 il New York Times titolava in prima pagina: “La seconda potenza mondiale è scesa in piazza”. Così facendo, descriveva un grande movimento internazionale, che in oltre 600 città del mondo portò milioni di pacifisti in strada contro l’aggressione all’Iraq. Risolto il contenzioso storico con l’avversario sovietico, crollato su se stesso e sepolto sotto le macerie del muro di Berlino nel 1989, gli Stati Uniti d’America rilanciarono con forza la loro politica di potenza. Nel mondo dell’informazione, della cultura e dei movimenti altermondialisti si parlava di “Secolo americano”, di “fine della Storia”, di “moltitudini” in movimento.

Il Movimento pacifista, capace di mobilitare un così vasto numero di persone nel mondo, esprimeva e rappresentava un generalizzato senso di repulsa contro politiche aggressive che riportavano il mondo a epoche precedenti, quando il colonialismo occidentale imponeva, con le armi e l’occupazione fisica di grandi territori, la legge dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali e umane. Quel movimento trovò nel nostro paese terreno fertile, trasformandosi in un fenomeno politico di prima grandezza, che affondava le radici in una sinistra ancora vitale, reduce dalle precedenti mobilitazioni no global.

Grandi mobilitazioni che avvenivano però in un contesto di “smobilitazione ideologica”, di rifiuto pregiudiziale delle categorie interpretative che avevano guidato la sinistra di classe nella lettura della realtà e delle sue dinamiche. La lotta contro le aggressioni militari si traduceva così in un rifiuto generico e generale della violenza, a favore di un mondo senza guerre. Prevaleva cioè una visione etico/morale dell’agire individuale e collettivo, di genuino rigetto dei massacri che si stavano perpetrando, di pacifismo interclassista e  non – violento, che non analizzava i processi materiali alla base della nuova spinta alla guerra, se non in termini di ingiusta rapina delle risorse di un Sud sfruttato da sempre da parte di un Occidente ricco e mal governato. Nel nostro paese quest’atteggiamento politico/culturale fu coltivato, esaltato e fomentato da una rappresentanza politica, sindacale, di “movimento” che si preparava a entrare nei governi Prodi e nei successivi esecutivi di centro sinistra, sino ad assumere ai giorni nostri ruoli di primo rilievo a livello nazionale ed europeo.

Una rappresentanza politica di “sinistra” sospinta in alto proprio da quei movimenti, che ha attraversato il decennio che abbiamo alle spalle con alterne vicende, fatte per alcuni di rovinose cadute, per altri di strepitosi successi personali oltre che politici: La sinistra “radicale” estromessa dal Parlamento nel 2008, alcune ex pacifiste proiettate ai massimi vertici del governo italiano e della UE.

Carriere costruite sul filo del rasoio, a cavallo tra guerra e pace, nel senso letterale del termine.

Negli anni del grande movimento pacifista d’inizio secolo, poco dopo l’esecutivo D’Alema (responsabile dei bombardamenti sulla Jugoslavia nel 1999) e prima dei governi di centro sinistra, agivano tra le fila dei pacifisti di professione personaggi allora sconosciuti, divenuti oggi figure di primo piano. Parliamo di Federica Mogherini, attivista ecoordinatrice del Social Forum di Firenze nel 2004, e di Roberta Pinotti boy scout e militante dei «Blocchi non violenti» genovesi. Tutte e due presenti alla kermesse no-global di Porto Alegre del 2001.  Come sappiamo oggi la prima è Alto rappresentante della UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza (ex ministro degli Esteri del governo Renzi), la seconda è ministro della difesa nel Governo Renzi. Ci giunge notizia che l’ex nonviolenta genovese intende far partecipare l’Italia alla guerra dei droni: ha chiesto a Washington di poter armare gli MQ-9 Reaper, i droni killer Usa acquistati recentemente dall’Italia, di 14 missili «Fuoco dell’inferno»

Alla luce di questa brevissima ricostruzione storica, proprio per questo plasticamente esemplificativa della parabola di un intero ceto politico, c’è poco da sorprendersi per l’attuale disorientamento nelle aree socio/culturali che, nel decennio passato, espressero importanti livelli di mobilitazione sui temi della pace e della guerra.

Le responsabilità delle scelte politiche e personali appena ricordate non esauriscono però le ragioni dell’inabissamento e della scomparsa del movimento pacifista. Avversari altrettanto temibili hanno agito in questi anni.

Nel breve lasso di tempo di un decennio la Storia ha iniziato a correre grazie ad una crisi sistemica del capitalismo senza precedenti, accompagnata in questa volata verso l’abisso da una leadership politica, mediatica e militare impegnata a plasmare le opinioni pubbliche al nuovo corso, fatto di aggressioni militari sempre più devastanti, che stanno ridisegnando i rapporti di forza tra poli imperialisti e paesi una volta definiti “in via di sviluppo”, che oggi sono a capo di aree economiche  (BRICS) capaci di competere – sul terreno delle regole di mercato –  con i colossi d’Occidente.

In questi anni di grandi trasformazioni sono vorticosamente cambiate, e continuano a cambiare in corsa, alleanze e nemici da combattere. Da Al Qaeda si è passati all’ISIS, con un ritorno alla logica della “guerra di civiltà” e di religione che, nella propaganda, surclassa la campagna mediatica, repressiva e di guerra successiva all’attentato dell’11 settembre 2001 contro le torri gemelle.

Le recenti sollecitazioni di Papa Francesco alla “comunità internazionale” per fermare il genocidio di cristiani in Medio Oriente, le sue prese di posizione contro la Turchia nel centesimo anniversario dal massacro degli armeni, sono solo una delle cartine di tornasole che evidenzia il clima che si respira nel paese e a livello internazionale. Anche i terribili “effetti collaterali” delle aggressioni militari sono utilizzati cinicamente per mantenere alta la tensione in un’opinione pubblica già scossa dalle devastazioni economiche e sociali imposte dalla Troika europea. Parliamo degli attentati in Francia (Charlie Hebdo) e in Belgio, ma anche dei flussi migratori provenienti dalle coste libiche. Fenomeni diversi, ma con le stesse radici, usati ossessivamente dai mass media per legittimare presenti e future scelte repressive e di guerra.

In questo clima tornano a essere utili organizzazioni che hanno progressivamente adeguato la loro prassi alle esigenze d’intervento “umanitario” e di “peace keeeping” nelle innumerevoli “missioni di pace” promosse in questi anni (oltre 4.500 militari italiani impegnati in 28 operazioni internazionali). Adeguamento e “affiancamento” premiati con lauti finanziamenti, carriere politiche e parlamentari. Parliamo di OnG, sindacati concertativi, associazionismo laico e cattolico, impegnati da sempre a orientare la propria base di massa su terreni di compatibilità con lo stato di cose presenti, soprattutto quando alla guida del paese s’insediano governi di centro sinistra. Il governo Renzi, anche per la presenza in quell’esecutivo delle due “signore della pace” (Mogherini / Pinotti), è il migliore per l’incontro tra questo “consorzio” di realtà socio/culturali e le future proiezioni all’estero dell’esercito tricolore, specie in una fase nella quale si torna a parlare di “corridoi umanitari” per risolvere la crisi dei flussi migratori.

Vediamo come.

Il decreto attuativo inserito nell’ultima Legge di Stabilità apre la strada alla sperimentazione dei Corpi Civili di Pace Firmato dai Ministri Poletti e Gentiloni il 30 gennaio 2015 e presentato a Palazzo Chigi il 2 febbraio 2015, alla presenza del succitato Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Bobba (Sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle politiche giovanili e al servizio civile nazionale) e Mario Giro (Sottosegretario al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale). Un primo contingente di 500 volontari è già pronto per la sperimentazione, gestito dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.

Un progetto che non parte da zero. Il primo importante momento di “promozione” di questo progetto fu nel 2007, quando durante il secondo governo Prodi l’allora viceministra degli Esteri Patrizia Sentinelli (PRC) convocò il Tavolo Interventi Civili di Pace (per vedere quali realtà fanno parte di questo Tavolo cliccate su http://www.interventicivilidipace.org/wp/tavolo-icp/ ).

In questi ultimi mesi abbiamo avuto modo di seguire la campagna “Un’altra Difesa è possibile!” (http://www.difesacivilenonviolenta.org/). Condita con la solita retorica non violenta, non armata e iper umanitarista, la campagna intende molto più prosaicamente connettersi con i su menzionati provvedimenti governativi. Basta andare alla proposta di legge http://www.difesacivilenonviolenta.org/la-proposta-di-legge/  per capire l’operazione. All’Art 1 – comma 1 immancabile il riferimenti all’articolo 11 della Costituzione, rafforzato però dal richiamo all’articolo 52, che parla invece dell’adempimento del dovere di “difesa della Patria”. Un accostamento che da solo rende l’idea del cambiamento di clima che s’intende interpretare e coadiuvare, anche se riflette una miopia politica evidente, data la subalternità delle “patrie” ai diktat dell’Unione Europea e della sua Troika.

Infine, basta scorrere di poche righe per trovare al comma 2 i  “Corpi Civili di Pace”…!  “la cui sperimentazione – prosegue il comma –  è inserita nella Legge 27 dicembre 2013, n. 147 che prevede l’istituzione di un contingente da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto….

Per capire i legami tra questo mondo e i decreti attuativi dell’esecutivo Renzi occorre andare a vedere il video della firma del su citato decreto attuativo: https://www.youtube.com/watch?v=M_blvP2lGCo

Al minuto 3.55 del video, il Ministro Poletti dichiara che “La presidenza italiana durante il semestre europeo ha fortemente spinto l’idea del servizio civile europeo”, per cui è facile intendere come l’iniziativa che sta portando avanti la campagna  sia in piena compatibilità con i Ministeri presenti in conferenza stampa, compreso quello degli Esteri e di tutto il Governo Renzi.

Al min. 39.16 del video, Luisa del Turco del Tavolo Interventi Civili di Pace (sopra citati), si felicita del risultato ottenuto grazie alla sinergia col Ministero degli Esteri, ricordando che le associazioni che si occupano di peace building (come appunto il Tavolo Interventi Civili di Pace), sono nate proprio da un’iniziativa del Ministero degli Esteri. Oggi questi progetti trovano una forma concreta all’interno della programmazione ministeriale, e un finanziamento di 9 milioni di euro nella Legge di Stabilità.

Ecco il testo della conferenza stampa tenutasi a Roma il 29 gennaio 2015 http://www.gioventuserviziocivilenazionale.gov.it/dgscn-news/2015/1/corpi-civili-di-pace.aspx)

Sappiamo che le basi associative di queste organizzazioni sono fatte da tante persone in buona fede, spinte da motivazioni più che encomiabili, così come è risaputo che in zone di guerra non ci si va senza la “protezione” dei militari, ultimo anello della catena di comando al vertice della quale ci sono le decisioni di politica estera del governo in carica. Una contraddizione che salta agli occhi, e che in questi mesi ha creato non pochi dubbi tra chi doveva andare a convincere il passante ad aderire e firmare per la campagna “un’altra difesa è possibile”.

Di ben altra pasta sono fatti i leader e i quadri intermedi di quel network di “professionisti della pace”, impegnati in questi giorni a far approvare ordini del giorno e delibere in vari consigli comunali a sostegno della loro campagna, trovando non a caso totale e incondizionata approvazione bipartisan tra i consiglieri comunali e le Giunte di centro – destra – “sinistra”.

L’operazione ci pare evidente: riempire di “contenuti” le leggi quadro del governo Renzi, con “decreti attuativi” in salsa pacifista, al fine di intruppare quel poco che rimane del movimento pacifista all’interno delle politiche estere di un esecutivo intento a trovare, in ambito europeo e NATO, la forma migliore per riprendersi le agognate coste libiche, evitando i quotidiani rischi corsi dai pozzi petroliferi in mano all’ENI.

Uno scenario complesso, quello libico, forse ancor più di altri, per la molteplicità d’interessi che si muovono dietro le quinte della rappresentazione fantastica raccontataci quotidianamente da mass media oramai totalmente al servizio delle strategie di guerra dei singoli paesi, delle multinazionali del petrolio, di alleanze politiche e economiche che aggregano interi continenti, Unione Europea in primis. 

In quello scenario la funzione dei “corpi civili di pace” potrebbe essere molto importante, data la moltitudine di disperati che da quelle coste si muove per fuggire da rapine e guerre, a cercare miglior vita dopo aver superato la prova mortale del mare.

In questi mesi gli eventi bellici in corso hanno riacceso il dibattito all’interno di aree politiche da sempre sensibili alla lotta contro la guerra. La campagna No guerra No NATO e le iniziative “Guerra alla guerra” promosse dalla Rete dei Comunisti hanno destato l’interesse di migliaia di compagni, di organizzazioni politiche, sindacali, di movimento, intenzionate a riprendere la mobilitazione contro il bellicismo dei paesi imperialisti, che sta riportando l’umanità sull’orlo di esplosioni potenzialmente incontrollabili.

Occorre che nel lavoro di ricomposizione di un movimento contro la guerra all’altezza della sfida i militanti nowar abbiano chiaro, ancor più di ieri, di quali e quanti siano gli strumenti a disposizione dell’avversario, soprattutto nelle retrovie del conflitto, dove siamo chiamati a combattere. I “corpi civili di pace” sono parte integrante degli strumenti di guerra che l’imperialismo occidentale si è dato, a partire dai “peace corps” statunitensi istituiti dal democratico John F. Kennedy nel marzo 1961.  

Oggi in Italia il progetto renziano dei “corpi civili di pace” impone alle aree socio/culturali di riferimento del PD un passaggio senza ritorno, che chiude una storia d’infiltrazione, condizionamento e paralisi nei movimenti determinatisi negli anni scorsi contro militarismo e guerra. I burocrati del pacifismo professionale s’intruppano così nelle carovane imperialiste e coloniali, pronte a muoversi di nuovo verso i territori di riconquista. Un passaggio delicato, che implica un altissimo livello di mistificazione ideologica, al fine di “conquistare i cuori e le menti” di tante persone disorientate dalla quotidiana guerra mediatica sui temi di politica estera.  

Le caratteristiche della prossima guerra non sono le stesse di quella precedente.

Per combatterla occorre che i sinceri pacifisti, gli antimilitaristi, gli antimperialisti e i comunisti affinino le loro capacità di riconoscere e denunciare i “professionisti della pace”, ancora più pericolosi degli eserciti in armi, perché addestrati a parlare la “lingua dei giusti” in mezzo alla nostra gente.

*Rete dei Comunisti – Pisa

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