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Elezioni regionali in Campania: perché non andrò a votare!

Io il 31 maggio non andrò a votare. Il motivo di questa scelta sta nell’assenza tra le liste elettorali sia di una auto-rappresentanza politica dei movimenti, delle mobilitazioni e dei conflitti sociali che da anni attraversano Napoli e la Campania sia di una rappresentanza politica qualificata e credibile che esprima le reali esigenze sociali, gli obiettivi ed i percorsi partecipativi e democratici di quelle mobilitazioni e di quei conflitti.

Ma il motivo del mio non voto è anche quello di ritenere che l’unica opposizione reale oggi al pensiero unico e neoliberista dei vari Caldoro, De Luca e Renzi non stia nè nel M5S progettualmente acefalo sui temi dell’economia e del sociale, né nella lista Vozza che nel complesso si presenta come espressione di una politica vecchia, superata e fallimentare nonostante i parziali ma ancora perdenti rinnovamenti presenti nei corpi di Sel e del Prc. L’unica opposizione oggi esistente al governo nazionale e regionale del pensiero unico è interna a quella grande area (oltre il 40%) dell’astensione che rifiuta di essere rappresentata dai partiti e/o dalle liste oggi esistenti e che, ancora priva di una soggettivazione politica, vorrebbe partecipare al governo della sua vita e del suo territorio e contribuire alla crescita di una Nuova Politica che metta le persone prima di ogni cosa ed affronti con questa priorità i temi centrali, critici e tra loro intrecciati del lavoro-reddito, dell’ambiente e della democrazia.

Dico Nuova (Politica) rispetto al modo di affrontare quelli che erano i problemi e le soluzioni che si ponevano nella seconda metà del Novecento. La finanziarizzazione dell’economia e la globalizzazione, oltre ai tanti effetti per la maggior parte negativi, hanno determinato la nascita di una nuova area di neo-lavoratori, i precari (occupati, disoccupati, semioccupati), che presentano specifici rapporti di produzione, di distribuzione e con lo Stato, molto diversi da quelli tradizionali del proletariato (proletariato che purtroppo va sempre più precarizzandosi anch’esso) e che la caratterizzerebbero come una nuova classe anche se ancora priva di soggettività politica.

La maggior parte dei precari tende a fuggire dal proprio posto di lavoro, materialmente e psicologicamente, in quanto il loro lavoro è incerto e volatile, poco pagato e spesso alienante …… in definitiva del tutto strumentale (per poter sopravvivere) e che quindi non li caratterizza. Essi trovano invece la loro identità sociale nel proprio territorio inteso sia come luogo fisico-virtuale sia come dimensione socio-culturale in cui contano i livelli dell’ambiente, della vivibilità e delle reti di relazioni.

I precari, insieme all’individuazione della loro condizione lavorativa, tendono a diventare così soggetti di una nuova identità sociale legata al territorio ed alla sua qualità. In quanto tali essi possono diventare portatori di un progetto di interesse generale volto alla conquista di un reddito stabile ed universale, alla difesa dei diritti ed alla sostenibilità ambientale, sociale e democratica del sistema economico e produttivo. Di conseguenza i precari possono anche diventare, laddove già non lo sono come singoli, soggetti di resistenza ed attori di conflitti territoriali in cui gli aspetti economici e sociali si intrecciano con quelli culturali, antropologici e simbolici.

Il superamento dell’attuale frazionamento delle diverse aree di precariato, la costruzione di una coalizione sociale intorno ad esso, la realizzazione di mobilitazioni unitarie sui versanti sociali, ambientali e democratici faciliterebbe lo sviluppo di un blocco sociale (se volete anche di una nuova classe per sè) e di un possibile diverso rapporto di forza con …….. l’1%.

Sappiamo che per far questo non basterà razionalizzare produzioni, consumi, tecnologie e processi inquinanti, scambi commerciali e mediazioni finanziarie ma occorrerà invece rovesciare un modello di società centrato sul profitto e sul dominio sulla natura. Si dovrà passare cioè da un modello basato sulle energie fossili e sullo sfruttamento e la dissoluzione delle risorse umane e naturali a un modello più equo, socio-eco-sostenibile e teso alla giustizia sociale ed alla giustizia ambientale. Non è facile! Bisogna acquisire una nuova mentalità, una diversa visione etica e sociale, una teoria economica opposta a quella dell’accumulazione e del possesso, un sistema di relazioni sociali fondato sulla solidarietà, sulla condivisione mutualistica e sulla interdipendenza, nuovi linguaggi e nuovi modi di comunicare.

E’ solo costruendo una coalizione sociale centrata sul precariato e quindi in prospettiva un nuovo blocco sociale oggettivamente consapevoli delle istanze suddette che possono nascere dal suo seno gli obiettivi, i contenuti ed i contenitori di una Nuova Sinistra che sostituisca la crescita eco-socio-sostenibile al produttivismo (sviluppismo), la categoria dei beni comuni a quelle della proprietà pubblica/privata, il potere locale delle comunità territoriali alla centralità dello Stato, la giustizia sociale ed ambientale agli interessi del padronato e della finanza internazionale, le persone al profitto come priorità della politica economica, etc.

La proposta di costruire una grossa mobilitazione sul reddito di cittadinanza, visto non come obolo caritatevole o come sostegno alla povertà, ma come un primo obiettivo da perseguire per affermare un nuovo stato sociale antiliberista e che garantisca tutti i cittadini e per tutta la vita (assistenza, sanità, previdenza, malattie, etc.), è senz’altro importante e decisiva per cominciare a costruire, intorno ad un precariato che si coscientizza, una coalizione sociale ed un blocco sociale che possono spostare a sinistra il futuro del Paese.

Napoli, 16/5/2015

da www.retedeicomunisti.org

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