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Renzi gioca alla play station, il paese no

I commenti che vengono fatti dalla stampa mainstream sono tutti incentrati sui risultati percentuali delle diverse forze politiche, di chi oggi può essere una alternativa a Renzi, quanti rischi corre il governo, etc. Il dato che invece ancora una volta si impone come centrale è la crescita potente dell’astensione. Non si è raggiunto il 37% delle elezioni Emiliane del 2014 ma ormai si naviga attorno al 50% se si calcolano schede nulle e bianche. Non è una cosa da poco per un paese che nel suo DNA ha sempre avuto un’alta partecipazione alle scadenze elettorali, spesso ancora più alta in quelle locali.

Qui si pone un problema che ha un carattere storico e che riguarda la rappresentanza politica e l’egemonia delle classi dominanti; è, infatti, il sistema politico che non funziona più in rapporto alla direzione che sta prendendo lo sviluppo, o il sottosviluppo, del paese dove se la manifestazione concreta del malessere è quella relativa alla “politica” in realtà questo nasce dalla dimensione strutturale del paese e della sua collocazione nella Unione Europea. Non la rabbia contro i politici ed i partiti ma è una condizione sociale di fondo che sta determinando i comportamenti politici del paese.

D’altra parte è il comportamento stesso delle forze politiche che manifesta questo stato delle cose. Per entrare nel merito dei risultati elettorali la valutazione principale va data sulle scelte del segretario del PD il quale da quando è divenuto tale non fa altro che rottamare e rompere i ponti con tutti; lo ha fatto con il vecchio gruppo dirigente del partito, lo ha fatto con Berlusconi, con il quale aveva stabilito il “misterioso” patto del Nazzareno, lo ha fatto con la magistratura, lo ha fatto anche con una parte importante della intellettualità borghese di questo paese. Qui ci riferiamo a Scalfari, che da mesi lo attacca dalle pagine domenicali di Repubblica, ed all’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli che ha detto esplicitamente in televisione che Renzi è un caudillo affiliato alla Massoneria.

Prima di valutare gli effetti di questa politica renziana va fatto un passo indietro alle primarie del PD nel 2013 dove vinse Renzi; in quell’occasione si affermò un dato politico-culturale, ovvero la base del PD, erede diretta di quella del PCI e non solo, ha pensato che bisognava comunque vincere a prescindere dai contenuti e dai programmi. Bisognava insomma avere volti nuovi che rompessero con il tatticismo esasperato del vecchio gruppo dirigente, furono questi i motivi che portarono alla vittoria del caudillo. Ma furono motivi che nascevano dal degrado politico ma soprattutto culturale di un blocco sociale che ha segnato la storia degli ultimi decenni e che ha sistematicamente ricondotto, con il voto dato ai diversi centro sinistra, le sorti del paese laddove volevano i poteri costituenti dell’Unione Europea.   

Renzi è esattamente la rappresentazione di quella condizione politico culturale ed ha portato alle estreme conseguenze quell’approccio che diceva basta con le mezze misure, che il guado andava superato ed andava superato di slancio con il decisionismo craxiano che Renzi ha dimostrato di avere. Gli esiti di questa scelta si cominciano a vedere ad appena un anno dall’insediamento del governo, e quello più evidente è la disgregazione della stessa base sociale del PD, quella base sociale che partecipò al voto con circa tre milioni di persone eleggendo questo stesso segretario.   

I comportamenti individuali non possono essere mai staccati dalle condizioni in cui agiscono e queste sono le condizioni della politica e della rappresentanza nel nostro paese. Il calcistico 5 a 2 che viene rivendicato dai giovanotti del PD è perciò un modo di nascondere le dinamiche reali che hanno portato quel partito a perdere in questa tornata elettorale circa un milione e mezzo di voti. Questo dato è il frutto delle scelte sul Jobs Act, della rottura anche con la CGIL, su input diretto dell’amico Marchionne e della Confindustria, dello scontro con i lavoratori della Scuola insomma di una politica liberista concepita con arroganza ed al servizio dei “poteri forti” italiani, che hanno sempre vissuto da parassiti sullo Stato Italiano ma che non hanno mai riscosso grande successo elettorale tra le masse.

Qui si apre un nuovo capitolo tutto da capire legato alla possibilità della nascita di una nuova forza politica riformista a sinistra del PD che funga da catalizzatore per le forze culturali, sociali, sindacali rese  orfane dalla politica renziana, insomma di una sinistra di governo, come dice Civati, attrattiva anche per i rottami della sinistra ex antagonista naufragata e frammentata miseramente anche in questa occasione.

Anche le prospettive del governo non appaiono rosee in quanto il mancato sfondamento elettorale a destra di Renzi sta determinando una nuova aggregazione del Centrodestra attorno alla figura di Salvini, pompato fortemente dalla stampa in funzione anti M5S, che sta già producendo preoccupazioni serie nei centristi dell’NCD. Questi, infatti, si vedono praticamente fuori dall’ambito di questo nuovo Centrodestra e non è escluso che per rientrarci possano portare su un piatto d’argento la testa di Renzi, come Renzi ha fatto con Letta e come è nelle migliori tradizioni di questa indecente classe politica rampante.    

Questa tornata è stata anche una verifica per il M5S il quale da una parte ha ottenuto buoni risultati in elezioni, quelle locali, non favorevoli a loro ma hanno anche perso dalle europee circa 900.000 voti. Il dato che si impone in questo caso è quello della stabilizzazione e della definizione più chiara di una opposizione che comunque esiste e con la quale è necessario fare i conti. Anche perché si sta misurando su terreni importanti come quello del reddito di cittadinanza e quello della funzione negativa dell’euro e dell’Unione Europea.

Sulla sinistra ex antagonista abbiamo già detto, ma non possiamo qui non denunciare l’indecente comportamento avuto direttamente dal PRC e da SEL nelle elezioni campane che hanno affossato una possibilità di partecipazione elettorale trasparentemente di sinistra e di classe arrogandosi il diritto alla rappresentanza e arrivando con la loro lista “sinistra al lavoro” all’eccezionale risultato del 2,19%. A questo punto sono evidenti sia la loro disperazione che il loro ineludibile destino di confluire nella sinistra di governo auspicata da Civati.  

Ma ancora una volta vale la pena di fare un’opera di “astrazione” sulle vicende elettorali.

L’indecenza della classe politica italiana è il prodotto diretto di una crisi di egemonia che nasce dalla sconnessione tra le condizioni strutturali e la possibilità concreta della politica di motivare, giustificare queste condizioni agli occhi delle masse. Questo non avviene solo per il nostro paese ma la stessa Germania per essere diretta ha bisogno di un governo di unità nazionale.

In uno sviluppo dove è l’economia capitalistica che detta legge è chiaro che la politica non può che entrare in crisi, non fungere più da potente cerniera ideologica come avveniva in passato ed i “politici” oggi sono feticci da bruciare ad ogni cambiamento. E’ successo con Berlusconi, con Monti l’europeista, con Letta ed ora sembra poter avvenire anche per Renzi, ma non bisogna stare “sereni” perché una alternativa la si trova sempre.

Tale condizione è chiaro che tende ad aprire spazi a nuove ipotesi politiche, a nuove formazioni; perciò questo spazio deve essere coperto anche dal movimento di classe, dalla sinistra più coerente, dai comunisti per non far crescere un movimento reazionario di massa di cui la Lega di Salvini è un esempio evidente.

 

Rete dei Comunisti

 

 

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