Una considerazione forse un po’ perbenista, ma spietata con il governo Renzi. L’abolizione della Tasi sulla casa “per tutti”, infatti, oltre che incostituzionale è criminogena.
Avalla infatti la convinzione che tutto sia appropriabile e privato, e nulla debba essere pubblico. Quindi che si possa “rubare”, in senso stretto e in senso lato, qualcosa al “pubblico” come cosa normale. Poi, è ovvio, ci sarà sempre chi ruba molto e chi pochissimo. Anche se stavolta l’entità del bottino si sa prima e non dipende all’abilità del singolo ladro, ma solo dalla sua ricchiezza immobiliare pregressa.
In fondo, Mafia Capitale è partita da questa stessa idea…
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«La Tasi sulle case di lusso produce un gettito fiscale quasi irrisorio per lo Stato: quindi si sta a fare tanta cagnara per due lire, anziché essere contenti che hanno diminuito le tasse per tanta gente». C’è tutto il disastro mentale e civile dell’Italia 2015, in questa diffusa argomentazione con cui si difende l’abolizione universale (e non modulata su patrimoni e redditi) delle imposte sulla prima casa.
Il principio che sottende questo preteso ragionamento è molto semplice: non importa se viene commessa una palese ingiustizia, l’importante è che da questa ingiustizia anche tu – proprietario di bilocale a Tor Pignattara o Gratosoglio – possa pensare di avere tratto una fettina di vantaggio personale. Così ti trasformo in complice dell’ingiustizia stessa.
Il meccanismo di coinvolgimento è un po’ ingannevole, certo: il meno abbiente già rischia di perderci – complessivamente – se lo sconto sulla sua Tasi si tradurrà in meno autobus per andare al lavoro, in ospedali più scrausi se si ammala e in scuole più scadenti per i suoi figli; ma ancor di più ci rimetterà se quegli autobus, quegli ospedali e quelle scuole perdono anche i finanziamenti derivanti dalle imposte sui più ricchi, per quanto poco gettito queste producano.
Più in generale, l’argomentazione fa leva su una presunta convenienza personale (seppur in molti casi ingannevole, come si è detto) per sdoganare la liceità morale di un atto (l’uguale trattamento fiscale di magioni milionarie e di monoloculi iperperiferici) la cui immoralità e ingiustizia è invece talmente palese da non lasciare dubbi ad alcuno.
È, quindi, il contrario esatto rispetto all’idea che la politica possa avere talvolta uno straccio di ispirazione etica, che possa fare un po’ di giustizia in questo mondo: anzi, si passa il messaggio che la politica si occupa di produrre ingiustizie, però “credimi questa ingiustizia conviene anche a te, quindi zitto e anzi sii contento”.
Per quanto spesso farlocca, questa convenienza percepita crea appunto complicità con l’ingiustizia e con chi la commette.
È la riduzione della persona a stomaco, la sua negazione come essere morale – o almeno anche con aspirazioni morali.
È insomma un modo per far vincere, dentro di noi, la nostra parte peggiore, senza che neppure ce ne accorgiamo.
da http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/
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