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Roma. Imponiamo nel dibattito la rappresentanza degli interessi popolari

La vicenda Marino tra colpi di coda e di testa e neanche tanto sotterranee rese dei conti, si è conclusa: sfiduciato dalla sua stessa maggioranza, artefice  il PD romano inevitabilmente contiguo al nazionale, che si confermano ambiti altamente sconsigliati ai non avvezzi alla “suburra della politica”. Provare, allora, a cogliere alcuni tratti politicamente essenziali, oltre la drammatizzazione  dell’epilogo imposto dai mutamenti di condotta dell’inaffidabile Marziano, può essere di una qualche utilità futura.

Il punto di partenza di ogni considerazione è naturalmente l’inchiesta denominata Mafia-Capitale che venerdi prossimo vede aprirsi il primo processo, ossia l’emergere di un sistema di gestione, non di singoli aspetti, ma dell’intera vita economica della città capitale, organicamente nelle mani di lobby affaristico-criminali capaci  di imporsi trasversalmente alle componenti politiche e al succedersi delle varie consigliature, tanto di centrodestra che di centrosinistra. Un sistema di gestione mafiosa che si compone di intrecci criminali-affaristici con addentellati nella destra neofascista, una trama di relazioni che affonda nelle vicende  mai completamente passate dalla “Banda della Magliana”.

L’immediata richiesta da parte di Ross@ di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, era evidentemente più che una generica richiesta di “rinnovamento” della politica cittadina, quanto  un appello alla sinistra sociale e politica diffusa territorialmente ad assumere una chiara e riconosciuta funzione sia nella costruzione di processi vertenziali sia di presenza/indipendenza politica capaci di contrastare il diffondersi dei tentativi di strumentalizzazione del crescente disagio sociale da parte della destra, strumentalizzazione non certo estranea al fenomeno di Mafia –Capitale . L’intenzione vera era quella di stimolare la riflessione sulle trasformazioni intervenute in campo istituzionale e prima ancora in termini economici e sociali nella dimensione metropolitana con il conseguente cambio di passo indispensabile per i nuovi percorsi della rappresentanza sociale politica degli interessi popolari.

Il ciclone Mafia-Capitale, tornando alla vicenda, produce un risultato apparentemente paradossale: il sindaco Marino già poco gradito al suo stesso partito e ancora meno  al segretario nazionale Renzi, si trova a indossare i panni del campione della legalità contro i poteri criminali che cingono l’assedio alla città. Il PD, privato dall’inchiesta di importanti riferimenti interni alla giunta,  avvia la  cosiddetta “fase due”: la stesura del bilancio comunale tutto interno alla logica del “patto di stabilità” imposto da Bruxelles, con in primo piano l’apertura alla privatizzazione di pezzi importanti del patrimonio societario ed edilizio comunale, delle aziende municipalizzate, i tagli ai servizi pubblici sociali e di assistenza; oltre al rimpasto in giunta, con l’ingresso di uomini di stretta osservanza renziana. Insomma, Marino si è trovato ad impersonare, malgrado le reali intenzioni del PD,  il ruolo del sindaco della transizione definitiva verso il modello di metropoli globale al centro degli interessi del  capitale finanziario transnazionale per le operazioni speculative nel territorio  (vedi il progetto del nuovo Stadio a Tor di Valle); per le privatizzazione delle aziende di servizio (Atac e Ama) e per la privatizzazione della gestione dei servizi a sociali e di assistenza, con al centro il modello della pseudo-cooperazione.  

La definizione dei filoni della privatizzazione, e il disvelarsi delle loro filiere economico-finanziarie, a cui si aggiungono le opere per il Giubileo, pongono  le condizioni per il  trasferimento di ingenti risorse del patrimonio pubblico, di quote di  ricchezza sociale nelle mani della speculazione e dell’appropriazione privata, le quali costituiscono  gli interessi forti che agiscono concretamente nella definizione dei rapporti di forza nella città. La centralità del PD nella rappresentanza politica di queste componenti del mondo affaristico-imprenditoriale, il crogiuolo di interessi e il sistema  di relazioni ed equilibri interni post Mafia-Capitale, erano e restano una questione troppo seria per essere lasciata all’inaffidabile Marino. Il “marziano” poi ci mette del proprio, nonostante la stretta vigilanza a cui è sottoposto dalla sua stessa giunta e dal prefetto Gabrielli incappando in clamorose gaffe, come il viaggio nelle Americhe al seguito del Papa ma smentito dal Papa, le spese personali con scontrini a carico delle casse comunali, artatamente gonfiate dalla stampa, che ne compromettono irreversibilmente la sostenibilità, sia pure limitata, alla guida della città.  

Un primo effetto dell’estromissione di Marino, a conferma della sua incompatibilità con il disegno   per la città di Roma, è nella decisione del Presidente del Consiglio, proprio all’indomani delle prime dimissioni del sindaco, di stanziare ben mezzo miliardo di euro per le opere del Giubileo, finanziamenti per la città  fino a quel momento lesinati con il contagocce. Un’immissione di denaro da veicolare nel circuito economico cittadino, utile per attivare interlocuzioni con il mondo degli affari e dei “prenditori”, affidato ad una cabina di regia, secondo le modalità del finanziamento per le grandi opere collaudate con l’Expo, che la pone in relazione quasi diretta, per tramite prefettizio, con il capo dell’esecutivo.

Il tentativo operato in extremis da Marino di ritirare le dimissioni, chiedendo un dibattito politico in aula che rendesse ancora più esplicite le ragioni di fondo della fine della sua permanenza alla guida del Campidoglio, non era tollerabile dal PD. L’avvio del dibattimento  del  processo Mafia-Capitale, prevista a giorni, avrebbe diffuso  l’immagine di un Marino vittima politica dello stesso sistema di governo cittadino che aveva contribuito a mantenere in auge, nella prima fase dell’inchiesta, sostenendone la legittimità politica e l’integrità morale. Evidentemente, un’immagine del genere dell’ex sindaco avrebbe rappresentato una mina vagante per i futuri equilibri politici e del sistema di governance cittadina faticosamente in via di definizione intorno all’asse politico costituito dal PD.

In uno scenario del genere la fase elettorale si presenta gravide di incognite, in cui agisce non solo il guastatore Marino ma soprattutto la crescita del consenso per il Movimento 5 stelle. Farla decantare, allora, con una  fase di “interregno” la più lunga possibile, prendendo a pretesto la gestione giubilare, per ricostruire l’immagine di una città, secondo quanto già mediaticamente sperimentato a Milano con l’Expo, che si rialza dal degrado in cui Mafia-Capitale e incapacità  di Marino l’avevano trascinata, affidandosi al tandem securitario rappresentato dal prefetto Gabrielli e dal prefetto-commissario Tronca, può rappresentare la via maestra per disinnescare i rischi elettorali.

A questo punto si pongono due questioni, in realtà intrecciate, già emerse, e su cui il giudizio dovrebbe apparire evidente: il ruolo di Marino e la reale natura della crisi in Campidoglio. Marino, sotto il profilo politico-amministrativo, è stato “l’utile idiota” nelle mani di quelle componenti politiche e amministrative che, travolte dal ciclone dell’inchiesta, nel mantenimento di un simulacro di rappresentanza istituzionale hanno potuto trarre ossigeno per venir fuori dalla sua fase più critica. Il maldestro equilibrismo politico, tutt’altro che scevro da ambizione personale, che ha caratterizzato l’intero mandato l’ha portato, in  continuità con i suoi predecessori, ad assecondare le politiche di saccheggio affaristico-speculativo del territorio e di abbandono delle periferie; lo stesso bilancio comunale con le scelte privatistiche ed i tagli al sociale, che avrebbe dovuto garantirgli la continuità della permanenza nella carica di sindaco, lo pongono in totale subalternità con gli interessi forti dominanti nella città. Pensare, allora, come talune componenti politiche lasciano intendere, ad un sostegno per una ricandidatura di Marino come rappresentanza di interessi contrapposti a quelli di cui è stato in realtà  un consapevole sostenitore, ci sembra una mistificazione inaccettabile, funzionale ad una operazione di “sopravvivenza” di ceto politico, in una logica irrealistica di condizionamento “da sinistra” del sistema di potere PD.

La crisi politica al comune di Roma, ed è la seconda questione, va interpretata quale momento del più generale riassetto istituzionale, interno alla fine del modello di relazioni fondato sulla mediazione sociale, tipico del welfare. La gestione della vita cittadina abbandona progressivamente  le caratteristiche di governo delle contraddizioni per assumere sempre più le sembianze della governance autoritaria tipica delle aziende. Le grandi scelte strategiche sulla città, sul modello di sviluppo della stessa, sono sempre più al di fuori della portata della politica tradizionalmente intesa per diventare appannaggio esclusivo degli interessi di valorizzazione mercantile e privatistica del territorio, dalle grandi opere/eventi, alle privatizzazioni aziendali e dei servizi al cittadino. Allora la crisi del comune  di Roma assume caratteristiche “materiali” e contenuti sociali ben oltre il riflesso mediatico della vicenda Marino.

Quella che stiamo osservando è ovviamente  una tendenza, sia pure ormai consolidata,  non priva di contraddizioni, a partire dalla questione degli interessi popolari, intesa come maggioranza della popolazione cittadina,  inevitabilmente conculcati,  rimossi, scaraventati al di fuori delle mediazioni e consegnati al mercato, il quale per sua logica interna – il profitto privato – non può assicurare alcuna certezza o interesse collettivo.

Impedire che quella che si preannuncia come una lunga campagna elettorale, si trasformi nella passerella di candidati impegnati ad ingraziarsi il sostegno degli interessi dominanti per la carica di sindaco, facendo emergere il drammatico quadro di contraddizioni che affliggono la città, è possibile promuovendo iniziativa politica su contenuti e valori socialmente alternativi e antagonisti al loro modello di città.  

La Carovana delle Periferie, aggregazione sociale e politica,  che con un’azione costante ormai da mesi investe il territorio metropolitano con coordinate vertenze territoriali e settoriali; protagonista della campagna per le dimissioni di Marino, che il 2 ottobre ha mobilitato, contestualmente allo sciopero generale dei lavoratori del trasporto pubblico contro la privatizzazione, le realtà sociali e quelle della sinistra diffusa,  fornendo così una rappresentazione ampia e qualificata del livello di organizzazione del conflitto sociale cittadino, ha dimostrato di rappresentare un’esperienza di organizzazione importante nel processo di connessione delle vertenze e della loro rappresentazione.

La funzione originaria della Carovana, argine al tentativo della destra di egemonizzare il malessere sociale dei settori popolari della città, si è concretamente dispiegata in  una articolazione del proprio intervento, territorio, casa, lavoro, reddito, ecc, che lascia intravedere parti consistenti di programma sociale  in aperta contraddizione con scelte che sono alla base delle proposte di governo oligarchico della città, privatizzazioni in testa.

Costruirsi gli spazi per una presenza attiva degli interessi popolari anche nella vicenda elettorale, che non equivale ad assumere necessariamente forme di partecipazione diretta, vuol dire utilizzarne le opportunità  per interloquire con settori sempre più ampi di classe, promuovendo il conflitto sociale come unico vero fondamento per la rappresentanza. La vicenda elettorale, se correttamente affrontata. può rappresentare dunque un momento importante di verifica e di crescita di un’opzione organizzativa capace di confrontarsi con la complessità metropolitana della composizione di classe, con la complessità dei suoi territori e delle sue richieste inascoltate.

Quello che abbiamo di fronte è un percorso che mira  alla ricostruzione della soggettività politica, sociale e culturale della classe, destinato a confrontarsi con una crescente divaricazione degli interessi di classe in conflitto e che per compiersi ha bisogno di misurarsi concretamente fase dopo fase con la materialità delle relazioni sociali. Individuare le opportunità che si presentano diventa allora una condizione necessaria alla sua realizzazione.

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