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La Fiom ottiene piazza del Popolo e fa il pieno di solidarietà

E’ stato un braccio di ferro lungo e molto duro. Vero e non recitato. Alemanno e la questura avevano detto (il primo) di non voler alcun corteo dentro il centrostorico di Roma; la seconda lo ha vietato anche fuori da questa gigantesca “zona rossa”.

Alla Fiom non restavano molte alternative, dopo averle provate tutte. Un sindacato non può davvero dare l’assalto al “palazzo d’inverno”. E quindi una manifestazione “stanziale”, sì, ma solo dopo aver fatto correre in suo sostegno tutti – ma proprio tutti – i soggetti possibili. Difficile, a questo punto, che venerdì piazza del Popolo possa contenere tutti coloro che – giustamente – hanno capito che intorno a questo braccio di ferro si gioca molto. Né più né meno che il diritto di manifestare in Italia.

Abbiamo davanti un governo fascista e morente. E in procinto di subentrare un altro governo, altrettanto fascista ma non morente. Che terrà come “conquiste” indiscutibili tutte le forzature reazionarie realizzate da Berlusconi e soci. Ma con la benedizione “democratica” di Repubblica, Il fatto e il Pd. Con Vendola a reggicoda. Ma con le chiavi della politica economica in mano a Bce e Confindustria (o chi ne farà le veci).

 

La nostra redazione così commenta:

Quello sollevato da questa vicenda è un problema molto serio. E politico. La Questura di Roma, anche stamattina, aveva confermato il divieto di corteo per la Fiom, che venerdì 21 ha convocato a Roma una manifestazione nazionale dei lavoratori Fiat e Fincantieri.

Il problema è serio perché segna un salto di qualità importante nei rapporti tra potere e opposizione sociale. La Fiom non è un’associazione studentesca, o gruppo politico di piccole dimensioni o un sindacato di base snobbato o guardato con sospetto. Non gli si può insomma attribuire lo stigma dell'”inaffidabilità”. E’ l’organizzazione di categoria dei metalmeccanici della Cgil, il nucleo fondatore della stessa Cgil, 110 anni fa. E’ un pezzo rilevante delle “istituzioni”, un pilastro dei “corpi sociali intermedi” che hanno fin qui tenuto insieme base sociale e assetto sindacale e politico di questo paese.

E’ la parte più conflittuale della Cgil, il cuore pulsante della sua “sinistra interna”. Ma è e resta la categoria industriale più importate della Cgil e dello stesso paese. Vietare una manifestazione a questa organizzazione non è una “cosa normale”. E’ una rottura dai tratti apertamente golpisti.

Da compagni, militanti e sindacalisti abbiamo più volte espresso sia solidarietà alle sue iniziative, sia critiche a certe sue prese di posizione. Qui siamo però oltre le colonne d’Ercole della “normale” lotta politico-sindacale. Che lo stato – e il fascista che è stato eletto a sindaco di Roma solo grazie al “regalo” fatto dal Pd, candidando quel baciapile di Rutelli – tenga fermo il divieto di manifestazione e corteo per la Fiom ha un significato generale che non ci può sfuggire. Significa che in questo paese – non solo a Roma, evidentemente – diventa impossibile esercitare il diritto a esprimere il proprio dissenso, garantito dalla Costituzione. Nessun altro soggetto conflittuale può più sentirsi estraneo a quel che sta succedendo. Quel divieto parla a tutti e noi. E ci interroga tanto quanto interroga la Fiom.

Cui in questo momento rivolgiamo la dovuta e piena solidarietà.

Resta in campo una domanda: come ci si muove in una situazione in cui nulla di quel che facciamo serve a cambiare l’orientamento dell’avversario? Che sia l’azienda (Marchionne lo ha ripetuto anche stamattina: “scioperare o protestare è inutile”), che sia il governo, chi ha il potere ha chiuso occhi e orecchie alle istanze sociali. In Italia come in Grecia, dove un anno e mezzo di scioperi generali e scontri di piazza assai più robusti di quelli di S. Giovanni non sono riusciti a cambiare le decisioni di un governo (socialista, per di più) che ha ormai soltanto la “troika” come referente cui dar conto.

La democrazia è a rischio perché le decisioni più importanti (la politica economica e la guerra) sono ormai fuori della portata di una stato “solo nazionale”. La “politica”, insomma, non ha più il margine operativo in cui manovrare e fare scelte “sensibili” alla domanda che sale dalla società. Vada al governo Bersani o Casini, Vendola o Fini, non cambia letteralmente nulla. E un potere “che non sente” è un potere pauroso e quindi pericoloso. Di qui nasce la logica del divieto di manifestare. Qui deve essere battuto.


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Francesco Piccioni ROMA
La piazzaIn vista dello sciopero e manifestazione di Fiat e Fincantieri, il sindacato non si arrende. Tensioni con Alemanno e la questura
«Tutti a Roma con la Fiom»
Landini: «Non si può vietare ai lavoratori di manifestare». Appello a tutte le forze democratiche

ROMA
Quando tutto precipita, può sembrare che le cose avvengano per caso. Ma è un errore. Se il problema della Fiat e dell’attacco al contratto nazionale si sommano all’attacco alla democrazia – nella forma della libertà di manifestare; e se tutto questo avviene per un corteo dei metalmeccanici, in una città governata da un ex neofascista che va in giro con la celtica al collo… il caso non esiste.
Maurizio Landini, segretario della Fiom Cgil in un momento tra i più difficili della storia del sindcato, mantiene un tono molto calmo mentre ripercorre le tappe che hanno portato a un divieto mai visto prima in Italia. «La scorsa settimana avevamo chiesto il permesso per un corteo da piazza Esedra a Santi Apostoli, e non era stato sollevato alcun problema. Dopo gli incidenti di sabato il quadro è cambiato. Il Comune ha deciso che non si potevano tenere cortei nel primo municipio. A quel punto abbiamo proposto un altro percorso, da piazza Partigiani a Bocca della Verità passando per il Circo Massimo; che ci sembrava tenesse conto dei “problemi di ordine pubblico”».
Ma «anche questa non è stata autorizzata dal sindaco, che ha indicato – con un’apposita lettera – sette piazze disponibili per una manifestazione “stanziale”, perché i cortei si potevano fare solo fuori dal primo municipio». A quel punto la Fiom ha chiesto il via libera da piazzale Flaminio a viale Mazzini, sotto la sede Rai; oppure da piazzale dei Partigiani a piazza Schuster, fuori dalla gigantesca «zona rossa» arbitrariamente tracciata da Alemanno. «Abbiamo scoperto che anche fuori da quest’area non è possibile fare cortei, per scelta della questura».
Ma «troviamo inaccettabile che l’effetto di episodi di violenza, che condanniamo, sia che lavoratori con già le lettere di licenziamento, come in Irisbus, o in cassa o che stanno occupando stabilimenti di Fincantieri, non possano manifestare pacificamente. Questo dovrebbe interrogare tutte le forze democratiche di questo paese, e preoccuparle per una risposta che mette in discussione diritti costituzionali».
La Fiom calcola in almeno 90 pullman la partecipazione da fuori Roma del gruppo Fiat e Fincantieri, cui vanno aggiunti tutti i metalmeccanici del Lazio. «Facciamo un atto di responsabilità. Chiediamo noi di fare la manifestazione in piazza del Popolo per far parlare le ragioni e le rivendicazioni di quei lavoratori; e ci rivolgiamo a tutte le forze sociali e della cultura della nostra città di dar forza alle ragioni dei lavoratori e della democrazia, per fare di Roma una “città aperta”». E visto che Maroni pensa di poter permettere di manifestare «solo a chi ha un patrimonio, chiederemo un euro per la democrazia, per sostenere i lavoratori fino a quando non si raggiunge un risultato».
Le dichiarazioni di Marchionne, del resto, confermano una volontà di abbandonare il paese. «Un piano “fabbrica Italia” non esiste, Fiat fa quello che vuole senza che un governo gli chieda conto del suo modo di stare in questo paese». Discorso simile per Fincantieri, «che è anche pubblica».
La denuncia della «strumentalizzazione da parte del governo di un fatto grave» è molto forte. Così come la centralità delle ragioni di chi oggi «è in sciopero da 100 giorni, oppure lavora al massimo 15 giorni al mese».
La prima domanda è scontata: «cosa farete se vi diranno ancora no?». Secca e calma la risposta: «Occuperemo piazza del Popolo. È o no una delle sette piazze indicate dal sindaco come libere? Se non fosse possibile nemmeno lì, troverei che siamo di fronte a un problema ancora più grave».
Poi, dopo la riunione in questura e una dichiarazione di Alemanno che si rimetteva alle decisioni della questura, arriva il «sì» che scioglieva la tensione intorno a un appuntamento. La questura e il sindaco la gestiscono subito come una vittoria «non ci sarà alcun corteo». Ma intanto alla Fiom arrivano centinaia di attestati di solidarietà: forze politiche, sindacali, studenti di ogni ordine e grado. E persino dai «sindacati complici» che hanno firmato fin qui gli accordi separati che hanno reso possibile un braccio di ferro del genere. Ci sono piccoli «passi indietro» che producono una ripresa del cammino. La Fiom sembra essere riuscita nello scopo. Ma il problema del diritto a manifestare – indipendentemente dal patrimonio o dal «gradimento» riscosso presso il potere, resta aperto.

da “il manifesto” del 20 ottobre 2011
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Gilda Maussier ROMA
Solidarietà/ADESIONI CONTRO LA REPRESSIONE
Dagli studenti ad Acrobax Landini domani fa il pieno

ROMA
Landini sarà contento di sapere che il suo appello a «manifestare accanto ai lavoratori di Fiat e Fincantieri» domani a Roma, come «miglior risposta a chi con la violenza vuole impedire le manifestazioni», è stata già accolta da quasi tutte le anime del movimento che hanno partecipato al corteo di sabato scorso. Anche da quelle meno attese. Come Acrobax, il centro sociale romano che è stato additato tra i responsabili dei riot che hanno sconvolto la città regalando splendidamente un nuovo “stato d’emergenza” al ministro Maroni e al sindaco Alemanno.
Sì, ci saranno pure loro. E in una piazza che si riempirà anche per protestare «contro i divieti e le restrizioni imposte agli spazi di libertà e democrazia», sarà difficile negare a chicchessia il diritto di partecipare. Anche perché i militanti di Acrobax – che mentre andiamo in stampa stanno completando una lettera aperta alla Fiom a cui esprimono la loro «piena solidarietà» – rigettano «completamente l’accusa del ministro Maroni» (che li ha additati come la cabina di regia degli scontri), il quale «soffia sul fuoco della paura e punta solo alla riduzione delle libertà di tutti e tutte». Ed è proprio «per rovesciare la dinamica dello stato d’eccezione e difendere la libertà di dissenso e di manifestazione, parteciperemo – promettono – a tutte le manifestazioni che vengono vietate o che stanno subendo restrizioni e repressione. A cominciare da quelle della Fiom e dei No Tav. E lo faremo a viso aperto».
Come un boomerang di ritorno, sarà dunque proprio il giro di vite con cui Maroni e Alemanno pensavano di “raffreddare” l’autunno già bollente, a portare in piazza domani migliaia di persone, più spaventate dalla violenta repressione delle istituzioni che dalla cieca furia di qualche centinaio di casseurs. Certamente le energie sono poche e per i movimenti non romani non sarà possibile mobilitarsi a pieno di nuovo. «Se potessimo, se ne avessimo le forze, ci saremmo. La Fiom ha tutta la nostra solidarietà», affermano per esempio i milanesi della rete di San Precario, movimento in cui confluisce anche Acrobax.
Più scontata – anche se spesso con le stesse motivazioni – è invece l’adesione di molte delle sigle che abbiamo visto sfilare durante la manifestazione del 15 ottobre. Ci sarà l’Arci e il Forum dei movimenti per l’acqua che sta anche preparando per il 26 novembre una manifestazione nazionale a Roma «per chiedere il rispetto dell’esito referendario». E ci saranno quasi tutte le componenti studentesche, dalla Rete della conoscenza, Uds, Atenei in rivolta, Unicommon, e altre.
«Al fianco dei lavoratori Fiat, Fincantieri e Magneti marelli» ci saranno anche quasi tutti i centri sociali di Roma e non solo. Dal movimento di Action e Esc, al Tpo di Bologna, sono in molti ad annunciare la loro presenza. Sono coloro che condividono con la Fiom lotte e orizzonti politici contigui se non comuni. «Ci saremmo stati a prescindere dagli esiti di sabato scorso e dall’evoluzione autoritaria cui abbiamo assistito – spiega il consigliere comunale capitolino di Action, Andrea Alzetta -ma tanto più non possiamo mancare ora, dopo la svolta autoritaria impressa da Alemanno e invocata da Maroni». E dopo la manifestazione con la Fiom, «nelle forme e modalità che decideranno loro», i centri sociali romani si riuniranno di nuovo – tutti insieme, nessuno escluso – sabato pomeriggio all’ex cinema Palazzo di San Lorenzo per un’assemblea pubblica. Si «riprendono la parola», dicono, dopo l’afasia provocata dalla follia di sabato. E per ritrovare uno spazio dove ricostruire, da «indignati», il «conflitto». Quello vero.
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1 Commento


  • maddechè

    forte davvero Landini: prima si arrabbia che vuole manifestare, che loro non sono blackbloc, (addirittura Airaudo, inopinatamente, dichiara che comunque il CORTEO si farà, autorizzato o meno), poi, considerato che piazza del popolo è una fra quelle in cui si può stare, ma ‘fermi’ (e magari zitti), il nostro minaccia ‘ci prenderemo piazza del popolo!!’…veramente te l’hanno già data.
    però se ci mette un po’ di grinta -forse- riuscirà a far digerire ai lavoratori che il corteo a roma lo fanno col cazzo!

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