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Perchè si può votare Cinquestelle

Il voto del 5 giugno non può essere definito soddisfacente per la sinistra, che conferma uno zoccolo duro del cinque per cento oltre il quale oggi sembra non riesca ad andare. L’eccezione significativa è Napoli, e ci tornerò più avanti. Mentre il risultato di Cagliari non costituisce una eccezione, basandosi sulla alleanza tra sinistra e Pd, improponibile se proiettata su scala nazionale. I casi più evidenti sono quelli di Roma e Torino, con candidati noti e largamente condivisi come Fassina e Airaudo.

Sarebbe ingeneroso imputare loro colpe specifiche: questi due risultati non fanno che confermare un dato non locale e non solo momentaneo. Né altre liste “più di sinistra” o “più di movimento” possono vantare risultati significativi, anzi. Alcune riflessioni e alcune ipotesi non scontate dunque si impongono.

I 5s sono gli unici a uscire vincitori dal voto, e il secondo turno, comunque vada, non cambierà il fatto che essi sono oggi il primo partito in Italia, o possono diventarlo. I 5s prosciugano al momento l’area della protesta: lo si è detto e ripetuto, si è tentato e sperato di annullare o aggirare questo fatto, ma nonostante la zona di insofferenza per il renzismo si allarghi nel paese, la sinistra non intercetta lo scontento e sono solo loro a trarne giovamento. Intanto annotiamo che il movimento fondato da Grillo ottiene oggi il suo lusinghiero risultato introducendo forse a sorpresa un elemento in controtendenza con la personalizzazione della politica largamente diffusa: chi conosceva Virginia Raggi o Chiara Appendino prima che iniziasse la campagna per le comunali? È un fatto su cui riflettere. Esso indica che vi è un movimento di popolo che si esprime attraverso perfetti sconosciuti, tanta è forte la insofferenza per la classe politica. Con tanti saluti alla “democrazia del leader”.

Un altro risultato importante che va riconosciuto ai pentastellati è il fatto che essi hanno fatto saltare il letto di Procuste a cui ci ha condannato nel 2008 il democratico Veltroni, cercando di amputare le “eccedenze”, come il celebre bandito della mitologia greca. Certo, tra le eccedenze c’era anche e soprattutto la sinistra, e Veltroni è riuscito per il momento nell’intento. Ma inaspettatamente altri soggetti sono usciti dal sottosuolo e hanno gridato il loro no. C’è chi dice no a una idea di democrazia “occidentale” a uso e consumo delle élites, dunque. In vista del prossimo referendum questo è un dato decisivo, per difendere la Costituzione e poi anche per affossare quell’Italicum che è la peggiore legge maggioritaria che abbia mai visto questo paese, peggiore della legge del fascista Acerbo del 1924 e della “legge truffa” del 1953. Questo fronte di lotta, di difesa della democrazia, resta quello fondamentale e va ricordato sempre, anche quando si vota per le comunali, poiché la difesa della democrazia è più importante dei treni in orario e delle strade pulite, che pure sono obiettivi a cui non rinunciare.

Rileggendo quanto ho scritto, mi accorgo di aver usato termini (“classe politica”, “élite”) propri di quella teoria elitista che era sì una teoria reazionaria, ma con la quale già Antonio Gramsci aveva capito che si doveva fare i conti, anche se certo con l’intenzione di superarla, introducendo uno scarto democratico, una possibilità reale di autogoverno, non prevista da quella storia vista dagli elitisti come sempre uguale a se stessa. È contro una classe politica eternamente solidale nella difesa del privilegio e dell’imbroglio, che sono per Gaetano Mosca la vera essenza del parlamentarismo trasformistico, che il popolo del sottosuolo si è ribellato.

È contro la legge della “circolazione delle élite” (le élites invecchiano e inevitabilmente vengono sostituite da élites più giovani, ma nulla cambia nella sostanza) di cui parla Vilfredo Pareto, che agiscono senza saperlo i peones che si ribellano nelle urne o nelle strade. È anche contro la “legge ferrea della oligarchia” operante persino nei partiti sedicenti di sinistra, legge denunciata dall’ex-militante della Spd di inizio ’900 Robert Michels, che il popolo dei 5s ha riempito le piazze, anche rispondendo a parole d’ordine demagogiche, alla famosa “antipolitica”, che certo però non è nata sotto i cavoli.

Populismo, si dirà. Certo. Ma non tutti i populismi sono uguali. Vi sono populismi di destra e di sinistra. Vi è il populismo della Le Pen e il populismo di Podemos, ad esempio: hanno segni, cifre, orizzonti del tutto opposti. Se votassi in Spagna voterei per Izquierda Unida, senza dubbio. Ma sono molto contento che questo fronte di sinistra (nel quale da molti anni sono anche i comunisti) sia oggi alleato con Podemos nella coalizione elettorale Unidos Podemos, una sfida politica che ha per posta il governo del paese iberico. (E ripeto en passant che anche in Italia l’idea di una “izquierda unida”, di un “frente amplio” come quello che ha governato l’Uruguay per tanti anni, non era – e continua a non essere – affatto peregrina per la sinistra).

Populista è anche De Magistris, si dice. E infatti aggira i partiti e instaura un contatto diretto col suo popolo. E attacca frontalmente il peggior populismo esistente, quello di Palazzo Chigi, che non sfonda anche per il servaggio che esibisce verso i vari potentati economico-finanziari. A Napoli De Magistris vince: è l’unico caso in cui la sinistra vince. Quando il sindaco di Napoli iniziò la sua avventura politica, fece notare in una intervista i due ritratti che aveva alle spalle nel suo ufficio: Che Guevara ed Enrico Berlinguer, il Berlinguer che andava in barca a vela scrutando l’orizzonte, affrontando a inizio anni ’80 – aggiungo –, dopo la brutta parentesi della “solidarietà nazionale”, il mare aperto del “rinnovamento della politica”, della questione morale, del ritorno alle lotte e ai movimenti. De Magistris non è né Che Guevara, né Berlinguer, per carità. Ma l’indicazione simbolica, benché parzialmente sincretica, era forte, e non è mai stata rinnegata. Piaccia o no, se ne vedono i frutti.

Dunque, è possibile una alleanza tra la sinistra e un partito populista, per far saltare il tappo delle élites al potere? Forse sì. Ma ve ne sono le condizioni in Italia? No, oggi no. Possiamo però provare a costruirle. Iniziando da queste elezioni comunali. Che indicazioni di voto dare per i ballottaggi alle compagne e ai compagni, a questo cinque per cento che ancora ostinatamente si raccoglie intorno alle bandiere rosse della sinistra? Nessuna indicazione, tutti liberi di disperdersi tra astensione, voto masochista al Pd, voto in ordine sparso ai 5s? Sarebbe solo la non scelta di chi ha paura di dividersi. Bisognerebbe invece, con coraggio, fare un passo: offrire apertamente questi voti ai candidati 5s. In cambio di cosa? Non di posti o di potere, certo.

In cambio di gesti simbolici e politici (la collocazione a Strasburgo, ad esempio) che facciano intendere, a noi e a tutti, che i 5s sono o vogliono essere, per dirne una, antifascisti e antirazzisti. La sinistra è nata due secoli fa per abolire il privilegio, per distribuire democraticamente potere e risorse: ci dicano se questo ci unisce o ci divide. Sarebbe, in caso di risposta positiva, un riconoscimento reciproco.

I 5s credo non accetterebbero, oggi, come non ha in un primo tempo accettato Podemos in Spagna l’offerta di alleanza di Izquierda Unida. Beninteso, Podemos e 5s sono diversi. Ma la cocciutaggine dei fatti è la stessa, e opera potentemente in Italia come in Spagna. Non aspettiamo di subire gli aventi: prepariamoli.

Anche molte compagne e molti compagni della sinistra che oggi giudicherebbero questa alleanza improponibile dovrebbero pian piano iniziare a pensarne la fattibilità e l’opportunità. Da qui potrebbe partire un discorso nuovo per la sinistra in Italia.

  • Guido Liguori è docente di storia del pensiero politico contemporaneo all’università della Calabaria e uno dei messimi studiosi di Gramsci. Una lunga militanza nel PCI e poi nel PRC. Questo intervento è stato pubblicato oggi, 11 giugno, su Il Manifesto.

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3 Commenti


  • Giacomo Turci

    Sul Manifesto, ma non è una novità, all’analisi di classe e all’autonomia politica del movimento operaio si preferisce questa robaccia infarcita di citazioni di reazionari. Andiamo tutti a votare i rampolli della borghesia Raggi e Appendino!
    Agli sfruttati una “sinistra” capitolarda e riformista non serve. E il movimento operaio non può certo (ri)partire basandosi sulla collaborazione coi politici borghesi, populisti “di sinistra” o “di destra” che siano.
    Poi nella vita si può fare tutto, ma si eviti di infangare il nome del comunismo, se possibile.

    http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=5064


  • Donato Antoniello

    Il discorso non fa una piega, dice Gianni, ma i 5stelle non sono in grado di capirlo nemmeno se glielo spiega Luciano Vasapollo in persona


  • Francisco

    Ospitare endorsement per i 5 stelle in una testata che si dice comunista non è cosa terribile, anzi… è bene che ne esca un dibattitto, quel che non è accettabile è che rispetto ad altri articoli che rappresentano politiche antitetiche ai comunisti la “spiegazione” di cosa siano i grillini e il movimento viene lasciata ai soli commentatori, e questo ovviamente pone il giornale su una posizione alquanto discutibile, nel senso che se passa è andata, altrimenti pazienza, ci si riprova.
    Qui si va dalla banalità del male al male della banalizzazione.
    Cominciamo dal fatto che bisognerebbe smetterla con questa propaganda del m5s che presenta i suoi politici, aspiranti o già all’opera, come innocenti sconosciuti, quindi privi di “colpe” e degni di fiducia illimitata.
    Allora la Boschi e la Madia chi le conosceva prima? Ma da comunisti politicizzati possiamo credere che siano pulzelle che a un tratto dalla vita quotidiana diventano ministree competenti? Ma qualcuno sa cosa è e fa un ministro? Nella migliore delle ipotesi è una persona con retroterra culturale e di conoscenza del suo magistero all’altezza di pensare, programmare e decidere, e lì il soggeto diventa ben riconoscibile, da Tremonti a Padoan e altri la constatazione è ovvia… nella peggiore delle ipotesi invece abbiamo dei prestanome dietro i quali i sono i ghost writer, eminenze grige e comunque tutto ciò e chi è immerso nel potere, in questo caso poi navighiamo nel buio.
    Tenere sullo stesso piano, ruolo incluso, Boschi, Madia, Raggi e Appendino è la prima cosa da mettere in agenda, perché una “bugia” ripetuta at libitum diventa verità prima o poi.
    Quindi, che se la vendano loro sta bufala ci può stare, ma che dei “comunisti” si preoccupino pure di vendergiela, oltretutto in casa propria, la cosa suona malamente.
    La seconda bufala che furbescamente si cerca di vendere, è il loro populismo… e certo piacerebbe che i grillini fossero populisti, cosa che da sinistra dovemmo necessariamente leggere in chiave positiva, e la storia lo conferma, ma il m5s è puro QUALUNQUISMO, con quel che ne consegue per l’aspetto reazionario, e sinceramente concorrere a questo colossale equivoco non lo trovo affatto sano. Se vogliamo spararla grossa, e manco tanto però, dal Piano di RInascita Democratica di Gelli il m5s ha mutuato indisturbato gran parte non solo del programma, ma s’è prodigato in una lotta forsennata contro tutto ciò che riguarda i diritti dei lavoratori, l’antisindacalismo tout court, la privatizzazione di beni comuni (fanno ridere quando parlano di certe cose mentre su territorio sono totalmente assenti) et…
    Glisso sulla inevitabile confusione che si vuol creare tirando in ballo De Magistris, Podemos, Tsipras e limitrofi, distanti tutti anni luce dal m5s, deboli sì, anche perché lasciati soli a gestire un possibile futuro di mediazione, ma questa è un’altra storia… ma che ancora non sia chiaro che il m5s è il figlio prediletto di questo sistema è veramente un grosso problema.

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