YUCAXIT, YONXIT, YOLOEXIT. Trovare la giusta abbreviazione tra tutte quelle possibili per identificare un “Caso Giovanile per l’Uscita” o una “Uscita dei Giovani di Sinistra” può essere sorprendentemente complesso. Di fatto, è molto più complicato che spiegare i benefici di una uscita dalla UE a un pubblico di giovani.
C’è un sentimento soverchiante che pervade la maggior parte dei giovani nei confronti l’Unione Europea: è un offuscante romanticismo che suggerisce che un continente unificato sotto gli auspici della UE e della sua bandiera blu debba necessariamente essere una buona cosa. Questo è forse il principale ostacolo in una discussione sugli effetti positivi di una Brexit.
L’infatuazione della nostra generazione per la UE deriva da una fuorviante nozione romantica che ogni organizzazione “continentale” – che sia la NATO o la UE – debba essere “internazionalista”, predicando solidarietà e mutua coesistenza tra i suoi popoli.
Fino a tempi recenti, con l’ascesa di Corbyn alla leadership del Labour Party, i politici progressisti sono stati talmente lontani dal dibattito pubblico che la nostra generazione confidava, piuttosto invano, in una visione di una UE sociale, che ci guardava con uno sguardo in qualche modo positivo, sebbene vago e fuorviante.
La gioventù Britannica è invaghita di questa falsa visione di una UE senza frontiere e del libero mercato. Un recente sondaggio effettuato da Opinium ha trovato che il 53% dei giovani (dai 18 ai 34 anni) ha opinioni favorevoli verso Bruxelles, contro il 29% che voterà per uscire dalle UE.
Fondamentalmente, la UE consegue la sua accettabilità sociale e culturale presso i giovani democratici e presso il pensiero liberale e progressista, proclamando l’idea che Unione Europea ed Europa siano la medesima cosa.
È d’obbligo ricordare che l’Europa è composta da un insieme di nazioni che senza alcun dubbio condividono forti legami storici, geografici e sociali. Questo non significa però che queste nazioni debbano essere unite in una deformata unione economica che ha un crescente bisogno di un’ulteriore unione politica per sopravvivere.
La rappresentatività simbolica dell’Europa sulla scena globale non dovrebbe essere quella di un’organizzazione non democratica che lavora al comando dei 30.000 lobbysti che circondano Bruxelles.
Nè un’Europa illuminata dovrebbe imporre austerità e meccanismi fiscali e legali correttivi ai paesi che non vogliano sottostare all’austerità, come invece esige il Trattato Finanziario Europeo.
Per portare un esempio recente di umiliazione imposta di routine da Bruxelles, l’Unione Europea ha minacciato di sanzionare la Spagna con una multa di più di 2,1 miliardi di euro per la sua incapacità di mantenere basso il suo deficit. In risposta, il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha stilato una lettera al presidente della Commissione Europea, Jean Claude Junker, implorando un rinvio temporaneo e promettendo ulteriori tagli ai servizi pubblici nel caso in cui il suo partito vada a vincere le prossime elezioni. L’ironia della questione è naturalmente nel fatto che il governo del Partito Popolare Spagnolo è stato uno scolaro modello dell’austerità europea.
Ciò che è chiarissimo è che ogni taglio ulteriore alle riforme del mercato del lavoro si ripercuoterà principalmente sui giovani spagnoli, i quali secondo le ultime stime contano una percentuale di disoccupazione pari al 46.5% per la popolazione sotto ai 25 anni.
I valori condivisi in Europa – se davvero dovessimo accettarne l’esistenza – non sono sicuramente quegli stessi valori di austerità e di interventi attuati con mano pesante negli affari economici degli stati sovrani.
Se i giovani progressisti realmente vogliono concretizzare la loro visione romantica di un’Europa che metta la solidarietà al centro delle sue funzioni ed incoraggi la crescita, gli investimenti nei servizi pubblici e nel mercato del lavoro, devono accettare la fine dell’Unione Europea.
La maggior parte dei giovani, in particolare progressisti, magari è d’accordo con la maggior parte delle argomentazioni euroscettiche, ma è ancora orientata a votare per restare nella UE, argomentando la possibilità di riformare l’UE e tutte le istituzioni che la compongono. Una ipotesi appetibile forse, ma non c’è stato nessun impegno per spiegare al pubblico come questa riforma dovrebbe essere fatta, e se esista un qualsiasi meccanismo per attuare un cambiamento a livello di UE.
In Gran Bretagna, esistono modi stabiliti per protestare contro le ingiustizie e cambiare le cose – e non solo attraverso le urne elettorali. A livello delle strade e delle piazze vi sono punti nevralgici tangibili per eventi politici e manifestazioni, siano essi i municipi, Downing Street o Westminster. Chi protesta può marciare o riunirsi in spazi che non sono solo simbolici del potere, ma sono i luoghi dove il potere risiede. La capacità di esprimersi e aggregarsi in o intorno agli spazi dei nostri politici è un aspetto fondamentale di una democrazia funzionante, ed è largamente rispettato in Gran Bretagna.
Le istituzioni della UE, invece, sono in gran parte circondate dal mistero, anche tra le supposte classi istruite. Le differenze tra il Consiglio Europeo, l’Unione Europea e la Banca Centrale Europea sono intricate, e procurerebbero un bel mal di testa all’attivista che decidesse di lamentarsi o protestare. Questo senza menzionare la scarsa praticità di organizzare una dimostrazione a, o prendere un treno per, Bruxelles. O era Strasburgo?
In generale, i cittadini britannici sono tra i meno informati sulla UE. Un sondaggio del 2015 ha mostrato che solo il 25% era in grado di rispondere correttamente a tre domande basiche sulla UE, mentre i partecipanti più giovani rispondevano anche peggio. Ma il fatto interessante di questo sondaggio è che non siamo soli – la maggior parte dei giovani europei rimane relativamente ignorante rispetto al funzionamento della UE.
La questione sulla nostra possibilità di avere accesso al potere ci porta alla domande se noi possiamo rendere la UE non solo più responsabile, ma anche più democratica.
Per esempio, la popolazione britannica potrebbe eliminare il braccio correttivo del Patto di Stabilità, che penalizza i Paesi per perseguire ciò che è ritenuto essere un eccessivo deficit di bilancio? Potremmo rigettare il Trattato di Lisbona, tenendo sempre a mente che altri Paesi hanno già tentato di rifiutare i trattati della UE tramite referendum popolari, solo per sentirsi dire di tornare a votare? La privatizzazione dei servizi pubblici, spinta dalla UE, potrebbe essere rovesciata da un governo Corbyn? E il veto di un elettorato sovrano potrebbe fermare una decisione economica partorita dalla Commissione Europea o dalla Banca Centrale Europea? È decisamente improbabile.
Spesso aspiriamo ad un cambiamento, e a volte può sembrarci sfuggente. Questo referendum ci fornisce un’opportunità per la possibilità molto reale di un cambiamento positivo. È sconcertante vedere che una grande parte della sinistra abbia un’improvvisa e impulsiva reazione volta al mantenimento dello status quo. Naturalmente dobbiamo considerare le briciole della “politiche sociali” fornite dalla UE, ma viene da chiedersi se non ci sia un problema più profondo in gioco: un conservatorismo ben piazzato nel cuore di quella middle-class inglese che pretende di essere radicale.
Senza alcun dubbio, un cambiamento progressista sarà un processo difficile e terribile, che potrebbe anche essere accompagnato da una rinascita dell’estrema destra. Ma la conservazione dello status quo è il metodo più controproducente per trattare a lungo termine lo scontento popolare dell’estrema destra.
Il campo della sinistra che vuole rimanere nella UE accetta come inevitabili le pecche della UE, ma dice di poterle cambiare. Ma nel caso in cui il voto sia per rimanere, è improbabile che gli stessi attivisti che hanno sostenuto entusiasticamente “Un’Altra Europa” rimarranno fermi sulle loro posizioni, sperando di raggiungere questa visione di una UE progressista.
Per coloro che sono interessati al futuro della Grecia, della Spagna, del Portogallo o dell’Irlanda, un voto per la Brexit rappresenterebbe realmente un grande stimolo per quelle nazioni economicamente sottomesse, offrendo loro il coraggio a lungo termine per impegnarsi ad abbandonare la UE e raggiungere un loro futuro indipendente. E soprattutto, questo sarebbe un passo avanti per tutta la gioventù europea.
Una Brexit guidata dai giovani potrebbe giocare il ruolo iniziale nello smantellamento della UE, e senza questa disintegrazione qualsiasi speranza di progresso sociale potrebbe allontanarsi ulteriormente.
Viviamo una volta sola: per la causa dei giovani, vota per l’uscita! o come direi io, YOLOEXIT.
Julian Jones
Titolo originale: “Spieghiamo le ragioni per una YOLOEXIT – “Young left wing exit””
http://www.huffingtonpost.co.uk/julian-jones/eu-referendum-brexit_b_10373732.html
Traduzione a cura di Angela Zaccheroni
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