“Non è la Seconda Guerra Fredda, ma se vince Hillary Clinton, i primi tre mesi del prossimo anno saranno i più pericolosi da quando è crollata l’Unione Sovietica”: così Ian Bremmer, intervistato da Giuseppe Sarcina sulle pagine del Corriere della Sera.
La preoccupazione, a mio parere, non è solo fondata, direi che la si può definire addirittura eufemistica. Parlare di rischio di una nuova Guerra Fredda significa infatti non prendere atto del fatto che la Seconda Guerra Fredda è già in atto da tempo, almeno a partire dall’inizio della guerra in Ucraina che vede gli Stati Uniti e l’Europa (ancorché recalcitrante) schierati a fianco del governo fascista di Kiev. Di fatto, come denuncia senza peli sulla lingua Papa Francesco, più che a una Guerra Fredda, siamo di fronte a una vera e propria Terza Guerra Mondiale, come ha appena confermato l’annuncio di Obama di essere pronto a scatenare un attacco informatico contro la Russia, in ritorsione alle presunte interferenze degli hacker russi nelle elezioni presidenziali americane.
Se tali interferenze siano un fatto reale non lo sapremo mai, a meno che un nuovo Snowden abbandoni le fila della Cia e ci racconti come sono andate effettivamente le cose. Il dubbio è più che lecito, visto che la storia antica e recente dell’imperialismo americano è piena di “incidenti” (basti ricordare quello del Golfo del Tonchino che legittimò l’attacco al Vietnam del Nord) creati ad arte per scatenare guerre di aggressione. A prescindere da questo “particolare”, occorre ricordare che 1) l’avvio di una cyberguerra rappresenterebbe oggi – considerati gli effetti che avrebbe sulle infrastrutture del paese attaccato – un equivalente del bombardamento giapponese su Pearl Harbour, 2) che all’attacco corrisponderebbe inevitabilmente un contrattacco (come già annunciato da Putin).
Se a questo aggiungiamo l’invio di soldati della Nato (italiani compresi!) nelle Repubbliche Baltiche e gli inviti che le autorità russe rivolgono ai civili perché si preparino a un possibile conflitto nucleare, il quadro si fa ancora più fosco.
Ma perché tutto questo tintinnare di sciabole? Se è vero quanto sostengono gli economisti che hanno studiato la storia di lungo periodo del capitalismo, come Giovanni Arrighi e altri, i quali prevedevano l’esaurimento del ciclo egemonico dominato dagli Stati Uniti – una diagnosi confermata dalla crisi innescata dal processo di finanziarizzazione, dal proliferare di guerre locali provocate dal tentativo di conservare il controllo sul Medio Oriente e dall’emergere della Cina, che protende i suoi tentacoli nel mar Giallo e verso le ex repubbliche sovietiche, da cui vorrebbe far passare la sua “via della seta” – è opportuno ricordare che nel passato nessuna potenza declinante ha mai mancato di provocare guerre distruttive nel tentativo di conservare la propria egemonia, per cui gli Stati Uniti, finché mantengono la loro supremazia militare, non possono non essere tentati di “giocare d’anticipo” per sfruttare tale vantaggio.
La battuta di Bremmer suona inquietante perché si sa che la Clinton è espressione, oltre che degli interessi dei maggiori gruppi finanziari, del partito dei “falchi”, nonché fervida sostenitrice della teoria dell’esportazione della “democrazia” made in Usa con la forza delle armi.
Non stupisce quindi che goda dell’appoggio incondizionato di tutti i poteri forti occidentali, dalla finanza all’industria hi tech, dalla lobby militare industriale ai media. A stupire è piuttosto l’appoggio che le arriva dalle sinistre, non escluse certe sinistre sedicenti radicali e antagoniste, che appaiono totalmente incapaci di cogliere i rischi associati a una sua – ahimè ormai certa – vittoria, e insistono invece a indicare come “nemico principale” e più pericoloso quel Donald Trump che viceversa, propone una politica isolazionista e di disimpegno dai teatri più caldi del conflitto globale.
Questo vuol dire che bisogna sposare la sua ideologia razzista, sessista e xenofoba? Ovviamente no, ma smettiamola almeno con gli appelli a votare la Clinton per “evitare la catastrofe”.
da http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/
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