Mentre le sorti dello stadio della Roma, anzi, di Pallotta, e del relativo business park da 800mila e rotti metri cubi di cemento sono ancora avvolti nella nebbia, di una cosa possiamo essere certi: l’ufficio marketing di Pallotta e Parnasi non teme rivali. Bisogna ammetterlo: sono bravissimi! Tanto di cappello di fronte a chi avrebbe fatto apparire il Minculpop come un’accolita di dilettanti allo sbaraglio. Nel giro di pochi mesi sono infatti riusciti ad arruolare una fetta importante della tifoseria giallorossa, e a trasformarla in un formidabile strumento di pressione politica.
Un’arma capace di aprire falle e contraddizioni perfino nel Movimento Cinque Stelle, che pure si era presentato alle elezioni, vincendole, con un programma esplicitamente contrario alla speculazione di Tor di Valle. Parliamo di migliaia di pasdaran della Eurnova, infervorati dagli hashtag di allenatore e giocatori, che da settimane sciamano sui social ingolfando di insulti i profili di chiunque venga indicato dai media come un ostacolo al progetto “che risolleverebbe le sorti di Roma e della Roma” (leggi). Prima era toccato a Berdini, poi alla Lombardi, quindi è stata la volta della sopraintendente Margherita Eichberg (rea di voler apporre il vincolo dei Beni Culturali alle tribune dell’ex Ippodromo), e ieri è stato il turno di Virginia Raggi, contro cui si sono alzati i cori dell’Olimpico.
E, proprio sulla questione dell’ex ippodromo e del suo degrado, si è raggiunta quella che per il momento rappresenta l’apoteosi della propaganda di Pallotta & Parnasi. In questi giorni chiunque si sia interessato alla questione si sarà certamente imbattuto in migliaia di immagini e video che testimoniano l’abbandono in cui versa l’area. Fotomontaggi ironici in cui imperversano cumuli di immondizia, scocche di motorini, lavatrici, calcinacci e chi più ne ha più ne metta. Un tam tam partito dalla rete e che è stato prontamente ripreso e amplificato dai media mainstream con tanto di video (vedi) e servizi scandalizzati sulle maggiori testate giornalistiche. Di fronte a quella che viene ormai descritta come una discarica a cielo aperto, il nocciolo del ragionamento che anima questo moto di indignazione collettiva lo esprime sinteticamente sul Corriere della Sera (22/2/2017) un giornalista embedded come Luca Valdiserri: “Il progetto Parnasi/Pallotta sarà un ecomostro, come dicono gli ambientalisti, ma può peggiorare questa situazione?”
Eh già! Di fronte a questo schifo non sarebbero meglio le torri sbilenche di Daniel Libeskind? Del resto i due benefattori hanno promesso che faranno anche un bel parco attrezzato, e pure le opere di pubblica utilità, ma che volete di più? Un ragionamento, apparentemente di buon senso, che però affonda le sue radici in un pregiudizio neoliberista ormai radicato in ognuno di noi. Un riflesso pavloviano che ci induce ad associare immediatamente il degrado, l’incuria e l’abbandono a tutto ciò che è pubblico. Mentre, per contro, il privato sarebbe sinonimo di pulizia, ordine ed efficienza. A Tor di Valle questo ragionamento si scontra però con un’evidenza grossa come una casa, anzi, grossa come il 92% dell’area su cui dovrebbero sorgere lo Stadio e il Business Park. A tanto ammonta, infatti, la quota di terreni privati. Avete letto bene: privati, non pubblici! Nello specifico circa il 50% dell’area appartiene allo stesso Parnasi (546.965 mq comprati qualche anno fa a 77 euro/mq, per un totale di 42 milioni di euro), il 42% ad altri privati (circa 372.000 mq di cui il 98% appartenenti a due società facenti capo alla Holding Armellini) e solo l’8% dei terreni sono di proprietà pubblica (di cui 64mila mq occupati dalla Via del Mare). E del resto, come scrive il succitato Valdiserri, senza neanche accorgersi dell’incongruenza: “I giornalisti sono potuti entrare perché la società che cura la comunicazione dei proponenti dello stadio ha organizzato un tour dell’impianto”.
Ovvero: i proprietari dell’area hanno convocato i giornalisti, li hanno portati a vedere come gestiscono “di merda” il posto che hanno comprato per due spicci, scaricando poi magicamente le responsabilità sul Comune. Ricapitolando, Parnasi compra un terreno, lo lascia per anni in stato di abbandono e poi usa il degrado come pretesto per edificare. E tutti dietro a dirgli che ha ragione e che non si può fare altrimenti. Non c’è che dire… ‘na mandrakata
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