Finito. A giugno sarà un libro. Non è solo la storia mai raccontata dei combattenti delle Quattro Giornate. Ho portato alla luce il lavoro chirurgico di rimozione e cancellazione con cui si è costruito il mito degli scugnizzi nella città di plebe, capitale di un Mezzogiorno in cui i partigiani diventano briganti e sanfedisti e le donne pupattole senz’anima, bigotte o prostitute.
In vista dell’otto marzo, dedico quest’anteprima a Napoli, che si appresta ad accogliere Salvini come merita e soprattutto alle donne delle classi subalterne, oltraggiate dalle quote rosa e dal femminismo di Stato, per ricordare ciò che tutti sanno e molti fingono d’ignorare: ci sono donne sfruttate – non importa la razza e il Paese di origine – e donne sfruttatrici. Donne che lottano per cambiare le cose e donne che lottano perché non cambi nulla.
Nell’elenco dei partigiani delle Quattro Giornate, Stella Emmia, ventitre anni, napoletana, sarta, modista e militante comunista, è ancora una volta il nome senza storia di chi invece un passato ce l’ha, nonostante la giovane età, e sarebbe stato utile ricordarlo, per evitare che dalla scena della Resistenza e dell’insurrezione nel Napoletano sparissero in un colpo solo le figure femminili che partecipano alla lotta con grande consapevolezza e le testimonianze del lavoro politico che precede l’insurrezione.
Dell’impegno e dell’audacia di Stella Emmia, non mancano prove, come dimostra il sintetico giudizio di Luigi Mazzella, che il 15 luglio 1946, a nome della Commissione Ministeriale per la qualifica di partigiano, così chiude la pratica della donna:
«Per informazioni assunte e dalle dichiarazioni dei testi, risulta che Emmia Stella ha preso effettivamente parte ad azioni di fuoco durante le Quattro Giornate napoletane. Per tali cose la si ritiene partigiana» .
Sono i dettagli della vicenda a consentirci, però, di seguire i militanti comunisti che si muovono nell’ombra dalla caduta del fascismo all’insurrezione, di esplorare il terreno di incontro tra popolazione e propaganda politica e individuare figure di antifascisti sconosciuti alla polizia che partecipano alla Resistenza della città e alle Quattro Giornate. Due particolari rendono interessante la domanda che Stella Emmia invia alla Commissione per chiedere la qualifica di partigiana. La militante, infatti, dopo aver accennato alla presenza tra i combattenti di un’altra donna, Maddalena Secca, come la chiama nella sua domanda, una compagna settentrionale che lascia la città subito dopo l’insurrezione, scrive di sé: «In collegamento con una cellula segreta comunista, già nel periodo di occupazione pensavo all’attacco di manifestini clandestini alle dirette dipendenze dei compagni Rippa e Mauro che comandavano la setta segreta dei comunisti» .
Anche se della militante settentrionale la donna non sa darci notizie certe e Giovanni Mauro non è un dirigente, ma un militante poco più che diciottenne, Emmia non mente: in vista di una probabile resa dei conti, di fronte al precipitare degli eventi dopo l’arresto di Mussolini, con Badoglio a presidio dei privilegi e l’occupazione tedesca a rendere tutto immensamente difficile, i comunisti, rinforzati dai compagni tornati liberi dal carcere e dal confino, hanno intensificato la loro presenza sul territorio, lavorando in due direzioni: il reclutamento e una propaganda in grado di intercettare la rabbia e la disperazione della popolazione. Giovanni Mauro e Stella Emmia, «reclute» giunte alla politica proprio in quei mesi, dimostrano che il lavoro ha dato dei frutti; sono loro, infatti, il veicolo di una propaganda che indica possibili vie di uscita – anzitutto la lotta ai nazifascisti, responsabili delle sofferenze della popolazione – e lancia parole d’ordine semplici e coinvolgenti. Nella sua testimonianza, Mauro conferma il ruolo «militare» della compagna, che ha preso parte a scontri a fuoco con i tedeschi tra Via Foria e il Museo Nazionale, provvedendo anche al rifornimento di munizioni; è Gennaro Rippa, però, perseguitato politico e dirigente locale del PCI, a ricordare l’attività clandestina della donna, che, «nel periodo dell’occupazione tedesca è stata […] fornita di manifestini con testo antitedesco ed ha curato l’affissione per il tratto di via Pessina e Salvator Rosa». Una testimonianza preziosa, sulla quale Rippa tornerà dopo decenni, ricordando il contributo dei comunisti alla Resistenza nel Napoletano:
«Nei giorni di coprifuoco dalle 20 alle 6 riuscimmo anche di sera ad attaccare ai muri del centro della città dei manifestini con la scritta “Morte ai Tedeschi”. […] Questa parola d’ordine fu sentita e applicata da tutto il popolo napoletano, dalle donne in particolare che vedevano i loro figli razziati dai tedeschi. L’adesione alla nostra azione era unanime» .
Come buona parte dei combattenti giunti all’insurrezione con un passato di militanza, anche la giovane comunista, che ha preso parte ai combattimenti, sparando assieme alla madre e al fratello da un muro che da Via San Potito guarda dall’alto il Museo Nazionale e Via Foria, esce di scena dopo la rivolta e accresce la schiera dei «senza storia», nella quale tutto sommato rientra anche la sua ignota compagna di lotta, che, però, non si chiama Secca, come ricorda Emmia, ma Secco ed è un’operaia piemontese che alle ha spalle una storia di tutto rispetto e porta nella rivolta napoletana la lezione appresa da Gramsci, un maestro, che gli operai hanno imparato a stimare e ad amare nella Torino del dopoguerra.
Nata ad Airasca, un paesino a sud-ovest di Torino, verso Pinerolo, il 18 luglio 1902, da braccianti socialisti passati poi ai comunisti, la donna è andata a vivere a Torino con la famiglia nel 1908, quando il padre ha trovato lavoro alla Superga, ed è entrata in fabbrica – un cotonificio della Val di Susa – nel 1924, a soli 12 anni. Poco più che adolescente, ha partecipato alle manifestazioni contro la guerra nel 1917 e ha scoperto il sindacato e la militanza, sicché la crisi e le dure condizioni di lavoro del dopoguerra ne hanno fatto ben presto una donna pronta a lottare, che nel 1920 si va formando nella Torino di Gramsci, è in prima linea negli scioperi per le otto ore e l’aumento salariale, ha maturato una coscienza di classe e ha un obiettivo preciso: creare una società socialista.
Nel 1926, quando la battaglia a viso aperto con il fascismo è diventata impossibile, la donna è entrata nel movimento comunista clandestino e ha fatto la sua parte fino al 1930, quando è emigrata in Francia. Lì, la passione politica e la ricchezza degli stimoli di un’autentica internazionale dell’antifascismo, ne hanno fatto una dirigente in grado di svolgere compiti delicati e rischiosi. Coraggiosa e intraprendente, Maddalena Secco ha assunto così l’incarico di «corriere» e ha tenuto i collegamenti tra il PCI clandestino che si è lasciato alle spalle e il «Centro estero» del partito. Fino al 1933 ha lavorato tra la Francia e l’Italia, poi il partito l’ha inviata in Russia, dove ha frequentato per due anni la scuola leninista. Entrata nel Comitato Centrale del partito, nel 1937 è stata arrestata a Genova con il marito Luigi Grassi, dirigente del PCI e il 18 gennaio 1938 il Tribunale Speciale l’ha condannata a 10 anni e 8 mesi di reclusione. E’ stata così sepolta nel carcere femminile di Trani fino al 9 settembre 1943, quando è tornata libera in un Paese diviso in due dall’armistizio.
Per quale motivo sia venuta a Napoli, dove l’abbiamo incontrata, impegnata nel rischioso lavoro di propaganda antinazista, non è facile dire, né i compagni di partito ce l’hanno mai raccontato. Probabilmente, senza la testimonianza della comunista napoletana, non avremmo mai saputo che Maddalena Secco è stata una combattente delle Quattro Giornate, poi è tornata in Puglia, chiamata nel Comitato Direttivo del PCI di Cerignola, dove è diventata responsabile del lavoro femminile regionale. Non si tratta di dettagli banali o di notizie di poco rilievo. La presenza della donna in città, il ruolo che ha avuto nel PCI, il livello stesso della sua partecipazione sono tasselli importanti nel mosaico che disegna il volto politico della Resistenza nel Napoletano e delle Quattro Giornate. Ciò, tanto più che la presenza di Maddalena Secco nella città partenopea non si esaurisce con le Quattro Giornate. Nel 1944, infatti, Togliatti, che evidentemente conosce la sua tempra, la chiama a far parte della segreteria del Comitato federale provinciale del PCI di Napoli. In questo ruolo la troviamo l’1 ottobre del 1944 a Piedimonte d’Alife, mentre parla alla popolazione, in occasione del primo anniversario delle Quattro Giornate, durante «una grande manifestazione di fraternità tra il nostro esercito e il popolo», presenti Maurizio Valenzi per il CLN, Mario Palermo per il Governo e i soldati della Divisione Legnano del Corpo Italiano di Liberazione, che aveano già avuto il loro battesimo del fuoco, scontrandosi con i nazisti a Mignano Montelungo, sul fronte di Cassino. La incontriamo di nuovo tempo dopo a Caserta, dove rappresenta le donne italiane alla «Conferenza di organizzazione di tutte le sezioni site oltre il Volturno, con l’invito anche alle sezioni della zona di Caserta» . Nel gennaio 1945, poi, la compagna di Stella Emmia è tra i componenti del Comitato Direttivo della CGIL di Napoli, che ha liquidato il sindacato «rosso». A giugno, infine, subito dopo la fine della guerra, riparte per il suo Nord e si sistema a Torino, dove entra a far parte del Comitato federale locale e assume la responsabilità del lavoro femminile del Pci, denunciando con forza le disparità di condizione lavorativa che dividono le donne dagli uomini e battendosi per l’indennità di maternità e l’equiparazione salariale. Nel 1947 è segretaria regionale del Centro di Solidarietà Democratica, presieduto da Umberto Terracini e lotta per farne uno strumento efficace di difesa e assistenza. Nel 1949 Maddalena Secco lascia Torino e di lei si sa solo che è morta nel 1956 in un incidente aereo in Austria, dove si trova con il marito, che è dirigente della Federazione Sindacale Mondiale.
Sono trascorsi oltre sessant’anni e nessuno ha mai trovato modo di ricordare le due donne. Eppure Stella Emmia e Maddalena Secco, sono due partigiane, una napoletana e l’altra torinese, che hanno combattuto assieme per i diritti sociali. Contro il potere maschile, certo, ma anche contro il capitalismo che è il principale nemico. Stella e Maddalena sapevano bene che ovunque nel mondo ci sono donne sfruttate e donne sfruttatrici. Se fossero ancora tra noi, l’8 marzo sarebbero con le immigrate contro le Marcegaglia e l’11 marzo Salvini non avrebbe il coraggio di venire a Napoli.
da https://giuseppearagno.wordpress.com
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