Il PCI aderisce e partecipa alla manifestazione di sabato 25 marzo, a Roma, “Contro la Ue, l’euro e la Nato” convocata dalla Piattaforma Sociale Eurostop, dai Movimenti e Territori per il No Sociale e dagli Studenti in Lotta. Il PCI si impegna con i propri militanti e con le proprie bandiere, alla riuscita della manifestazione, nell’obiettivo di far crescere un senso comune di massa consapevole, radicalmente critico e volto alla lotta contro l’Unione europea, contro l’euro e contro la NATO.
Ma per quali motivi politici il PCI è in campo e punta ad una unitaria accumulazione di forze? E’ una domanda non retorica, che dobbiamo assolutamente porci; dobbiamo cioè politicizzare la manifestazione del 25 marzo, specie di fronte al tentativo in corso di emarginarne i motivi politici al fine – squallido – di mettere al centro della discussione e dell’attenzione dei media “le questioni di ordine pubblico”. I compagni e le compagne del PCI che saranno alla manifestazione porranno le questioni politiche e si impegneranno affinché non vi siano strumentalizzazioni da parte dei media e di altri soggetti e, assieme a ciò, vigileranno affinché il corteo mantenga la propria forza politica, che è quella di una grande manifestazione pacifica e di massa, com’è nelle intenzioni di tutti i suoi organizzatori.
Dunque, le questioni politiche. In questo 2017 cadono tre grandi anniversari “europei”: è il 60° dei Trattati Europei ( Roma,1958); è il 25° del Trattato di Maastricht (1992); è il 15° dell’Euro. Tempo di bilanci. Innanzitutto, quello sociale.
Nei 28 Paesi dell’Ue si contano ormai 30 milioni di disoccupati, circa 12 milioni in più della fase precedente il Trattato di Maastricht; in percentuale il 20% di disoccupazione , ma con una ripartizione, tra Paese e Paese, che parla da sola: in Grecia i disoccupati sono il 51%, in Spagna il 45%, in Italia e Croazia il 30%, in Germania il 7%. A dimostrazione di come la Germania, in stile imperialista, abbia utilizzato per i propri interessi i processi economici dell’Ue. Nelle nuove legislazioni del lavoro imposte dall’Ue ai Paesi aderenti vi è poi tutto lo spirito iper liberista di Maastricht: il jobs- act in Italia, la “loi de travail” in Francia, le nuove legislazioni in Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna ci dicono chiaramente qual è il soggetto sociale verso il quale è puntato il mirino dell’Ue al fine di favorire un nuovo processo di accumulazione capitalistica sovranazionale: il lavoro, le classi lavoratrici. D’altra parte basta ricordare, tra l’intero ginepraio di direttive contro il lavoro emesse dall’Ue, le “tre raccomandazioni” della Commissione Europea del 2015:
1-l’allineamento dei salari alla produttività mediante la flessibilizzazione dei salari alle condizioni economiche generali (le cosiddette compatibilità);
2-la decentralizzazione del sistema di contrattazione salariale, spostandolo dal livello nazionale a quello aziendale, e quindi superando i contratti nazionali di lavoro;
3- revisione del salario minimo, nel senso di una sua riduzione rispetto a una data percentuale del livello retributivo medio. Richieste della Commissione Europea prontamente raccolte, a cominciare, in Italia, dal governo Renzi.
Un’altra cartina di tornasole è l’attacco dell’Ue allo stato sociale dei Paesi aderenti: si è calcolato che il welfare generale medio nei Paesi più deboli dell’Ue si è ridotto, dal 2002 ad oggi, di circa il 35%. In Italia, solo negli anni 90, sono state privatizzate società manifatturiere e di servizi per 110 miliardi di euro. Nella sanità pubblica italiana il passaggio dalla “USL” ( Unità Sanitaria Locale) alla “ASL” ( Azienda Sanitaria Locale) non è stato un puro fatto semantico: la suddivisione della Sanità pubblica in aziende regionali dirette da manager e aventi come primo obiettivo la parità di bilancio ha ratificato la più grande vittoria liberista del’Ue e, assieme a ciò, la cancellazione del segno forse più importante – assieme alla scuola pubblica – della nuova civiltà italiana: appunto, l’assistenza sanitaria pubblica generale.
Vi è poi il prodotto politico dell’Ue: in un continente che aveva visto, nel secondo dopoguerra, lo svilupparsi di un senso comune sovranazionale che andava da posizioni socialdemocratiche avanzate di massa a posizioni comuniste e anticapitaliste anch’esse di massa, si è giunti, oggi, all’inquietante proliferare delle destre populiste, reazionarie, razziste e neofasciste. Come a dire: la classe dominante dell’Ue, su scala continentale, si è fatta cultura dominante e ciò anche per la grande responsabilità delle forze socialiste e socialdemocratiche che, indossando gli abiti di Maastricht, hanno venduto la loro stessa anima, divenendo gli agenti stessi del progetto liberista continentale. Il PD, in Italia, ha svolto e svolge questo ruolo, divenendo il partito stesso dell’Ue nel nostro Paese, il Partito della BCE, di Berlino e della NATO. E ci sono molti, anche a sinistra, che individuano ancora questo PD come possibile alleato per l’alternativa in Italia!
Nel cosiddetto fiscal-compact s’addensa tutto lo spirito antidemocratico e antisociale dell’Ue; esso è legge costituzionale dal 20 aprile del 2012 e il 20 dicembre dello stesso anno i suoi 21 articoli vengono celermente votati al Senato. Attraverso il fiscal-compact l’Ue s’introduce in modo quasi golpista nella Costituzione italiana nata dalla lotta di Liberazione e conseguentemente segnata da un forte spirito democratico e sociale. Col fiscal-compact si ratifica, per via costituzionale, l’obbligo del pareggio di bilancio, un obbligo che richiede 500 miliardi l’anno di tagli sociali per vent’anni: una dittatura economico-politica alla “Chicago boys”, la scuola degli economisti liberisti di Chicago che dagli anni 70 si offrì come base politico-teorica ai colpi di stato di stampo fascista in tutta l’ America Latina. Con la “costituzionalizzazione” del fiscal-compact, oltretutto, finisce ogni possibilità di sviluppo di tipo keynesiano-socialdemocratico, che vede proprio nel debito pubblico una leva centrale per gli investimenti e la crescita economica. Anche da ciò occorre partire per comprendere come il PD – che fa suo il fiscal-compact – non abbia più nulla a che fare nemmeno con una forza lontanamente socialdemocratica, ma solo liberista. Liberista nel governo centrale come nei territori, nei Comuni, nelle Regioni.
Il punto centrale, dunque, è che l’Ue è oggi il nemico principale dei popoli europei, il punto di partenza dell’attacco al lavoro, ai diritti, alla democrazia e allo stato sociale dei Paesi ad essa aderenti. Il Trattato di Maastricht – il vero e proprio manifesto liberista europeo – viene firmato il 7 febbraio del 1992, circa due mesi dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Sappiamo che dopo la scomparsa dell’URSS dilagano nel mondo le logiche dell’imperialismo e del capitalismo, logiche economiche e militari. Le guerre e le spoliazioni dei popoli, per mano delle forze imperialiste, improvvisamente si moltiplicano e si estendono sul piano planetario. La diga sovietica è saltata e il soldato imperialista digrigna i denti e imbraccia il fucile. Checché ne dicano intellettuali marxisti come Rossana Rossanda, poco interessati alla caduta dell’URSS.
Ma come si presenta il mondo, dopo tale caduta? Vi sono due poli imperialisti da tempo consolidati ( USA e Giappone) e un polo imperialista in costruzione: l’Ue. Oltre ciò va nascendo storicamente l’esperienza dei BRICS , che si offriranno ai popoli del pianeta come alternativa ai poli imperialisti.
In questa dinamica e in questo quadro risiede gran parte della verità storica sull’Ue. Nel senso che anche il grande capitale transnazionale europeo ha assolutamente bisogno, per partecipare alla conquista dei mercati internazionali e competere con USA, Giappone e poi i BRICS, di favorire un proprio, nuovo processo di accumulazione capitalistica ( dal carattere anche originario), ha bisogno di abbattere il costo delle proprie merci e per cogliere questi due, grandi obiettivi ha necessità di cancellare l’Europa del welfare, dei diritti, dei salari e delle Costituzioni antifasciste nata nel secondo dopoguerra. Nasce così l’Europa di Maastricht, l’Ue liberista forgiata direttamente dal grande capitale sovranazionale europeo.
L’Ue non era all’ordine del giorno della storia: troppo lontane tra di loro le nazioni europee, troppo lontane le economie, le culture, le lingue; troppo lontani tra loro i diversi rapporti internazionali che i vari Paesi intrecciavano nel mondo. Quando il Trattato di Maastricht viene firmato non vi è nessun propulsore storico che spinge oggettivamente i Paesi europei ad unirsi; l’unico propulsore è quello del grande capitale transnazionale, che vuole trarre dall’intera classe lavoratrice europea un plus valore molto più alto del precedente, collocandola stabilmente su di un nuovo ed inferiore mercato del lavoro. E questo è il senso ultimo del jobs-act del PD, ad esempio.
Contrariamente agli Stati Uniti d’America, che si uniscono concretamente nella loro lunga lotta unitaria contro l’imperialismo inglese e su questa lotta constatano che l’unità nord americana è all’ordine del giorno nella storia, gli Stati e i popoli europei si vedono costretti ad una unità forzata, violenta e fittizia, tutta costruita sul terreno del liberismo antisociale e antidemocratico. E come i processi di integrazione economica sovranazionale dell’Ue sono tutti segnati dalla violenza progettuale liberista (trattati di Maastricht e Lisbona, piattaforme alla “Chicago Boys”; l’instaurazione della moneta unica – l’Euro -, quale fonte primaria del congelamento sovranazionale del valore reale dei salari e della formazione della miseria di massa su scala continentale; il ruolo di gendarme economico imperialista affidato alla BCE, “filiale” della stessa Deutsche Bank, la Banca Nazionale Tedesca; l’assenza, scientemente voluta, di una politica fiscale comune), così i progetti di costruzione dei centri istituzionali dell’Ue sono tutti scientemente diretti allo svuotamento di potere di tali centri, trasformati in feticci democratici volti a consegnare il potere reale al grande capitale transnazionale. Privo di senso, infatti, è il Parlamento europeo, impossibilitato a legiferare; privo di senso è il Consiglio europeo, deputato al solo “indirizzo politico generale”. Il potere risiede solamente nella Commissione europea, costituita da 28 rappresentanti dei 28 Paesi dell’Ue, tutti i “delegati” liberisti delle politiche nazionali subordinate a Maastricht e al grande capitale europeo. Ed è, infatti, nella Commissione europea che prendono corpo le famigerate normative della dittatura liberista dell’Ue: la cosiddetta “procedura d’infrazione” e il “braccio correttivo”, strumenti da Inquisizione cattolica con i quali la Commissione europea può duramente punire gli Stati ( in verità i popoli) di quei Paesi che “non sono in regola con i conti” e che non si piegano pienamente ai dettati di Maastricht e della BCE.
E’ poi chiaro che mano a mano che l’Ue va costituendosi come polo neo imperialista, essa tende, sul campo, a completare la propria forma imperialista dotandosi di una forza militare. Il PCI è nettamente contrario all’esercito europeo, sia per il ruolo militare oggettivamente aggressivo a cui sarebbe chiamato quale esercito di un polo neo imperialista; sia per le spese che ricadrebbero sui popoli e sui lavoratori dell’Ue; sia perché questo esercito cadrebbe, come le dinamiche attuali stanno chiaramente dimostrando, sotto il dominio della NATO. North Atlantic Treaty Organization – Organizzazione del trattato nord atlantico per la quale il PCI ha una sola parola d’ordine: fuori l’Italia dalla NATO, fuori la NATO dall’Italia.
E’ del tutto evidente che un’Unione europea cosiffatta non è riformabile, che il movimento operaio complessivo dell’Ue, le forze comuniste, antimperialiste, anticapitaliste, della sinistra di classe e del movimento sindacale di classe debbono mettere a fuoco un progetto di lotta volto all’uscita dall’Ue e dall’euro attraverso la configurazione di una strategia di più vasto respiro che punti a liberare i popoli e gli Stati dell’Ue dai vincoli ferrei – politici, economici, militari – imposti dalla stessa Ue per ricollocarli – popoli e Stati – sui fronti internazionali di carattere antimperialista, solidarista e internazionalista. Ed è del tutto evidente che un tale, ambizioso quanto necessario progetto, non possa prendere corpo che nelle lotte che le forze comuniste, anticapitaliste e di classe europee debbono organizzare su scala sovranazionale. Di fronte all’avvenuta unità del capitale transnazionale europeo è ormai ora che il movimento operaio complessivo dell’Ue si unisca e si organizzi in una lotta sovranazionale, all’altezza dei tempi e dello scontro di classe contemporaneo. Questo, peraltro, è stato il senso ultimo, il progetto che ha ispirato il grande convegno che il PCI ha organizzato lo scorso 25 febbraio a Roma con i partiti comunisti d’Europa.
Il PCI è consapevole che mai come in questa fase storica i nemici principali della pace mondiale e dei popoli del mondo sono, e rimangono, l’imperialismo USA e il suo braccio armato: la NATO. I comunisti sanno che mai come ora la tentacolare potenza USA va allargando il proprio sguardo di guerra e dominio in ogni angolo del pianeta, rafforzando innanzitutto la propria presenza militare aggressiva ai confini russi e cinesi. Il tandem statuale, economico, politico e militare, cioè, che oggi rappresenta la spina dorsale dei Paesi BRICS, il fronte su cui si appoggia in questa fase storica la resistenza e la lotta antimperialista internazionale.
In Europa i comunisti sono alle prese con un nuovo polo imperialista in formazione: l’Ue. Per tutti questi motivi la manifestazione di sabato 25 marzo a Roma ( contro l’Ue, contro l’euro, contro la NATO) è un appuntamento importante. Una tappa della lotta generale che deve riuscire e per la quale tutto il PCI, tutte le compagne e i compagni sono chiamati a dare il loro contributo concreto di militanza.
* presidente C.C. PCI; ** segreteria nazionale PCI; responsabile Dipartimento Esteri
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