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Due al prezzo di uno

Cala la disoccupazione secondo l’Istat e naturalmente il governo festeggia, anche se la stragrande maggioranza delle nuove assunzioni sono a termine e part time.

È bene sempre ricordare come, a causa del jobsact, anche le pochissime assunzioni a tempo indeterminato siano in realtà precarie. Perché i lavoratori non hanno la tutela dell’Articolo 18 e quindi possono essere licenziati in qualsiasi momento. Perché allora le assunzioni sono quasi tutti a scadenza prefissata? Perché molte imprese non credono alla durata della ripresa alla quale inneggia Renzi. E infatti tutte le previsioni economiche segnalano un rallentamento di essa già l’anno prossimo. E soprattutto i nuovi posti di lavoro sono in gran parte poveri e dequalificati.

In questi giorni si registra il fallimento annunciato delle Acciaierie di Piombino, svendute dal governo ad un imprenditore fantasma che si è rapidamente dileguato. Ecco, lì si stanno cancellando migliaia di posti di lavoro qualificati a tempo e salario pieno. Lo stesso avviene in Alitalia, ad Almaviva, in tutte le grandi aziende le cui crisi non si risolvono mai. Sono 166 per 200000 dipendenti le crisi insolute parcheggiate al Ministero dello Sviluppo ( si fa per dire) Economico. Poi c’è la distruzione della ricerca – oggi sono stai lasciati a casa 22 precari dell’ISPRA – i tagli alla scuola ed al lavoro pubblico, lo smantellamento dei servizi sociali.

I liberisti al governo, cioè il PD, spiegano che tutto questo è inevitabile perché il mondo cambia, finiscono i vecchi lavori e ne nascono dei nuovi. Peccato però che tutti i lavori che finiscono siano quelli di 40 ore settimanali , pagate secondo i contratti. Mentre gran parte dei nuovi impieghi sono fondati su un numero molto inferiore di ore, pagate pochi euro l’una. Qui sta il grande imbroglio: i nuovi lavori non sono altro che i vecchi lavori poveri riorganizzati, facchinaggio, pulizie, servizi privati. Saltano i posti da 1500 euro al mese e dilagano quelli da 600. Per questo mentre formalmente aumenta l’occupazione, cresce anche l’emigrazione, interna e verso l’estero, soprattutto di persone qualificate. E l’incremento dell’occupazione femminile non supera la disparità salariale e di qualifiche con gli uomini, ma al contrario l’aggrava con il supersfruttamento dei lavori sottopagati.

In conclusione i dati sulla occupazione non sono affatto il segno di un superamento della crisi sociale, ma anzi per certi versi significano un suo aggravamento. È il modello americano, che nasconde la disoccupazione di massa con milioni di poveri che lavorano, senza minimamente migliorare la loro condizione. lo stesso accade da noi, dove contemporaneamente aumentano gli occupati e coloro che vengono dichiarati ufficialmente poveri. Se l’Istat riproporzionasse gli occupati alle ore effettivamente lavorate ed al salario percepito, i 23 milioni diventerebbero molti meno.

Ma, come si sa, oggi basta un’ora di lavoro a settimana per essere considerati ufficialmente occupati, nella voce part time.

Il lavoro degrada verso la schiavitù e i governanti vantano il successo. Come l’altoparlante dei supermercati che annunzia l’offerta di due prodotti al prezzo di uno.

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