Riportiamo di seguito il comunicato della delegazione di Noi Restiamo, presente a Barcellona nei giorni del referendum e dello sciopero generale.
Un intervento che vuole dare il suo contributo alla discussione in corso riguardo alle vicende inerenti al processo di indipendenza catalano.
Consigliamo anche la visione dei contributi e delle voci direttamente dalla Catalogna di #RadioCatalunyaLliure, uno spazio che vuole essere megafono quotidiano delle posizioni e del processo dei compagni della sinistra indipendentista.
http://noirestiamo.org/2017/10
Siamo appena tornati da Barcellona.
Aver vissuto questi ultimi giorni al fianco dei compagni e delle compagne catalani è stata un’esperienza incredibile, che come militanti e come persone ci ha dato moltissimo.
Vogliamo provare a fare qualche considerazione a caldo, nonostante non sia assolutamente semplice. È ancora tanta la carica nell’aver visto un popolo intero in movimento così come tanta è la rabbia e l’insofferenza contro chi (anche a sinistra…) sta strumentalizzando, storpiando o banalizzando in questi giorni le ragioni e la natura del movimento indipendentista catalano.
Per fortuna sono state fatte anche molte analisi lucide che si basano sulla realtà effettiva. Una realtà, si badi bene, con moltissime contraddizioni e ambiguità, per cui proveremo a dare il nostro contributo tramite la nostra esperienza diretta. Alcune di queste analisi, quelle che riteniamo fondamentali, le indichiamo di seguito.
Veniamo ora a noi, alla nostra esperienza sul campo.
Siamo arrivati sabato 30 settembre, il giorno prima del Referendum, e abbiamo dormito insieme ai compagni catalani nell’università occupata dal sindacato studentesco (Sepc) nei giorni precedenti. Ci siamo svegliati all’alba con la notizia che ai 200 seggi occupati se ne erano aggiunti atri 1000, occupati e protetti spontaneamente, raggiungendo così la metà dei seggi previsti in condizioni normali. Ci siamo quindi spostati per tutto il giorno tra i seggi, andando dove i compagni locali ci indicavano ci fosse più bisogno.
Ci siamo messi a disposizione di questa loro battaglia. Abbiamo visto file interminabili di persone in coda per votare sotto la pioggia, seggi protetti con tanta determinazione che nonostante le violente cariche la Policia Nacional non è riuscita a entrare. Nel ministero dell’istruzione abbiamo assistito all’arrivo di decine di camionette dentro il seggio, alla rabbia e alla reazione decisa di fronte al sequestro delle urne ma anche alla gioia nel sapere che non le avevano trovate tutte e si poteva ricominciare a votare. Con più determinazione di prima.
Abbiamo respirato la tensione e la preoccupazione mentre arrivavano le notizie dei più di 800 feriti, degli spari, delle cariche, ma ci siamo anche inebriati dell’entusiasmo popolare di ogni nuovo voto, abbiamo ascoltato gli applausi per i voti di novantenni o persone disabili, in coda nonostante i rischi. Abbiamo partecipato all’esultanza durante il conteggio dei voti al grido di “Hem votat!”.
La sera in Placa Catalunya prima e in università poi abbiamo festeggiato il risultato: l’incredibile partecipazione, la vittoria schiacciante del SI e la dichiarazione del presidente della Genaralitat a proseguire verso l’indipendenza.
Il giorno dopo, il 2 ottobre, un enorme corteo studentesco ha invaso le strade: dall’università migliaia di studenti sono scesi in piazza denunciando la stampa spagnola e la sua arroganza nel manipolare le notizie. Siamo passati davanti alle sede della polizia nazionale, dove si era formato un presidio spontaneo che poi è durato fino a tarda notte protestando contro quella che di fatto è un’occupazione para-militare.
Sfatando quella narrazione che cerca di presentare i catalani come nazionalisti e xenofobi, nelle piazze abbiamo sentito urlare migliaia di persone “els carrers seran sempre nostres” e “fora els feixistes de nostres barris” (fuori i fascisti dai nostri quartieri) ma nessun riferimento o comportamento razzista. Abbiamo parlato con un’infermiera indignata per le politiche europee di gestione dei flussi migratori, che aveva votato Si per la costruzione di una Repubblica catalana inclusiva nei confronti dei migranti che scappano da guerre e povertà.
Il 3 ottobre è stato giorno di sciopero generale, chiamato a gran voce dai sindacati di base la settimana precedente, a cui hanno poi aderito altre 40 organizzazioni sindacali e sociali.
La nostra giornata è iniziata aiutando i compagni della Sepc nel blocco di una delle arterie principali della città, e insieme a loro ci siamo poi diretti in corteo verso il centro della città. Le concentrazioni previste erano tre: quelle dei pompieri e degli studenti la mattina, e quella delle organizzazioni sindacali al pomeriggio, ma in realtà nelle strade di Barcellona si sono riversate centinaia di migliaia di persone per tutto il giorno, dando vita a decine di presidi e cortei spontanei. Una città bloccata e attraversata da un corteo permanente e diffuso, e le immagini di decine di città e cittadine catalane lo confermano. Una “vaga general” pienamente riuscita, chiamata in origine per fare pressione subito dopo l’esito del referendum e usata anche per denunciare la brutale reazione antidemocratica di Madrid.
Il popolo catalano ci sta dando in questi giorni una grande lezione di dignità e coraggio. Ci sta dimostrando che è vero che sono i popoli a scrivere la storia, che quando un popolo prende coscienza di sé e del potere che ha non si può fermare.
Una generazione intera si sta formando con la consapevolezza che non solo lottare è giusto e necessario ma che si può anche pensare di vincere.
A noi, giovani militanti di un’organizzazione comunista, aver potuto partecipare a questa manifestazione di forza popolare ha dato ancora più determinazione nel continuare la nostra battaglia per la costruzione di un movimento di classe antagonista nel nostro paese.
Sappiamo bene che la composizione del movimento indipendentista catalano è eterogenea, che abbraccia interessi di classi diverse e che offre soluzioni politiche differenti, che esprime più o meno radicalità in una rottura politica e sociale. Sappiamo anche che all’oggi la sinistra è solo una delle componenti di questo largo fronte, ma siamo coscienti anche che quello che si sta svolgendo in Catalunya è un processo reale che apre spazi di rottura: per questo bisogna schierarsi e appoggiarlo chiaramente.
Non bisogna dimenticare il ruolo che le organizzazioni della sinistra indipendentista hanno avuto e stanno avendo nella costruzione di questo percorso: le posizioni della sinistra infatti negli ultimi anni si sono rafforzate, anche grazie all’acuirsi della crisi, e si sono radicalizzate, riuscendo a giocare un ruolo sempre più centrale nel processo che oggi sta esplodendo. Abbiamo avuto dimostrazione di questo in prima persona durante la manifestazione della sinistra indipendentista nel giorno della Diada, all’inizio di settembre, cui abbiamo partecipato per il secondo anno consecutivo e in cui abbiamo visto il corteo raddoppiare da un anno all’altro.
Le organizzazioni di classe hanno avuto la capacità di coniugare le rivendicazioni di tipo identitario con quelle sociali, contro le politiche di austerità applicate dallo Stato spagnolo ma imposte dall’UE.
È questa anche un’opportunità per mettere a fuoco chi sono gli effettivi nemici e i loro complici.
I nemici sono lo stato spagnolo e l’Unione europea, che si sono rivelati esattamente per quello che sono: l’uno reprimendo con ferocia il diritto democratico di voto di un paese e l’altra giustificando tanta brutalità nascondendosi dietro la legalità di una costituzione, quella spagnola, scritta durante il passaggio di transizione alla “democrazia” ma che in realtà è la diretta dimostrazione della continuità con il regime franchista.
Complici sono quei pezzi di sinistra che si schierano solo contro la repressione senza esprimersi sul resto, che riducono il problema a una “mala gestione” da parte di Rajoy, che sono i tifosi dell’ultimo minuto o quelli che -per paura o incapacità di analisi- finiscono per difendere lo status quo, l’unione a tutti i costi dello Stato spagnolo e di un’UE che poco ha a che fare con i popoli e tanto con gli interessi economici dei mercati. Complici sono quei settori che giudicano con dogmatismo, fuori dalla realtà, e finiscono per banalizzare la complessità di una situazione che sicuramente non è omogenea ma che offre un’opportunità di rottura fondamentale.
“Fem historia” è stata una delle parole d’ordine della campagna referendaria ed è effettivamente quello che il processo indipendentista catalano rappresenta: un’opportunità storica, non solo per la Catalogna ma per tutti i movimenti di classe europei.
La partita non è conclusa e assisteremo nei prossimi tempi a una lotta di egemonia anche dentro il movimento indipendentista catalano, che è -lo ripetiamo ancora una volta- composito e rappresenta gli interessi sia delle classi popolari che della piccola e media borghesia (ed è bene ricordarlo sempre: non della grande borghesia catalana, che è contraria all’indipendenza). Tuttavia la sinistra antieuropeista ha la possibilità di uscirne rafforzata, anche grazie alle dichiarazioni dell’UE che considera la questione catalana come un “problema interno ” e che farà entrare in contraddizione tutti quei pezzi di società civile e quelle organizzazioni politiche che speravano in un appoggio da parte dell’Unione Europea.
La loro battaglia è anche la nostra.
Come Noi Restiamo, aderenti alla piattaforma sociale Eurostop, non possiamo che vedere positivamente questa possibilità concreta di rottura dello Stato spagnolo, che non può che rafforzare anche la nostra ipotesi di rottura dell’Unione Europea.
La storia si è messa in moto e non si arresta.
Noi sappiamo da che parte stare: al lato del popolo catalano.
Endavant, poble català!
Visca Catalunya lliure i indipendent!
Noi Restiamo
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