Nella vicenda in corso tra le massime istituzioni dello Stato, Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio e il partito di maggioranza relativa PD, si presenta un aspetto riferito alla dinamica politica non sufficientemente messo in chiaro nel dibattito mediatico in corso.
Premesso che la “vicenda Banche” è stata a lungo ignorata o presentata riduttivamente proprio dal concerto mediatico che oggi fa grancassa, mentre si tratta di questione gravissima che si trascina da tempo (molto acuita nell’ultimo ventennio, quello delle grandi concentrazioni e del massiccio trasferimento avvenuto a livello globale dall’economia produttiva all’economia finanziaria) e che è stata coperta da tutti fino all’inverosimile. Chiamando quindi a responsabilità generali e specifiche che non sono state sufficientemente accertate e, di conseguenza, perseguite.
La questione pone a tutti una domanda di fondo.
Si tratta di questo: si può ancora credere nel rispetto delle competenze e delle prerogative istituzionali previste dalla Costituzione e dalla Legge?
Sono ancora valide le determinazioni di funzione e di ruolo tra Parlamento, Governo, Presidenza della Repubblica?
Se non ci crede più allora basta, va bene e si può chiudere a questo punto.
Invece, se ci si crede ancora, sarà bene tenere a mente alcuni punti fermi.
Il ruolo dei partiti, e soprattutto quello dei capi partito è ancora validamente espresso all’interno dell’articolo 49 della Costituzione Repubblicana: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale [cfr. artt. 18, 98 c. 3, XII c. 1].
Mentre così può essere riassunto il ruolo del Parlamento: “La Costituzione italiana, stabilisce che la sovranità appartiene al popolo, cioè a tutti i cittadini, che la esercitano nelle forme e nei limiti che la Costituzione stessa indica. Una delle più importanti forme di espressione della sovranità popolare è l’elezione del Parlamento.
Il Parlamento è composto dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica che hanno eguali compiti e poteri (per questo si parla di bicameralismo “paritario” essendo differente la platea elettorale e la formula di elezione dei senatori).
Il Parlamento è un’Istituzione centrale nel nostro sistema costituzionale. Esso, infatti, approva le leggi, indirizza e controlla l’attività del Governo, svolge attività d’inchiesta su materie di pubblico interesse, concede e revoca la fiducia al Governo; inoltre il Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, elegge il Presidente della Repubblica; infine il Parlamento in seduta comune elegge una parte dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del Consiglio superiore della magistratura.”.
E quello della Presidenza della Repubblica?: il presidente della Repubblica italiana rappresenta l’unità nazionale ed è il garante della Costituzione; è inoltre a capo del Consiglio superiore della magistratura (Csm), ha il comando delle Forze armate e presidente il Consiglio supremo di difesa. All’interno della Carta il suo ruolo è posto al di fuori dei tre poteri fondamentali dello stato (legislativo, esecutivo, giudiziario); il capo dello Stato, infatti, è posto al di sopra delle parti e non svolge alcuna funzione attiva nella determinazione e nell’attuazione dell’indirizzo politico del Paese.
Come viene nominato il Governatore della Banca d’Italia: “L’articolo 19, comma 8, della Legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari) afferma che la nomina del governatore è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Il procedimento si applica anche per la revoca del governatore.
La sua carica, fino al 2005 senza limite di mandato, dura sei anni, rinnovabile una sola volta (art. 19 L. 262/2005).
Anche per gli altri membri del Direttorio il mandato dura 6 anni ed è rinnovabile una sola volta (art. 25 e 26 Statuto della Banca d’Italia, 2006).”
Ciò premesso per conoscenza e a futura memoria risalta un punto fondamentale nell’azione del PD: il partito risulta sulla materia totalmente incompetente. Stesso rilievo per l’azione del M5S, con una differenza politica determinante: il M5S è gruppo parlamentare d’opposizione; il PD principale gruppo parlamentare di governo per tutta questa legislatura (sia con il governo Letta, con quello Renzi e adesso Gentiloni): quello del superamento dei ruoli istituzionali fornendo – attraverso la ormai celeberrima mozione (pur temperata dall’intervento in extremis del governo).
PD e M5S hanno quindi svolto un atto politico posto del tutto al di fuori dai propri compiti attuando una vera e propria proditoria “invasione di campo”.
Tutta questa valutazione risulta valida, ovviamente, se si crede nell’impalcatura istituzionale prevista dalla Costituzione e dalle leggi.
Questo rispetto non è evidentemente patrimonio della maggioranza del PD e del M5S e le famosa mozioni, nella loro sostanza risultano eversive, come hanno già fatto notare molti commentatori.
La mozione del PD, infatti, è stata ben spiegata in un’intervista dal presidente del partito Orfini: “si trattava di riprendere sintonia con il popolo”. Quindi una questione di dialogo diretto tra il Partito e il suo Capo allo scopo di acquisire–riacquisire consenso.
La centralità del Parlamento si esercita in maniera affatto diversa, recuperando il ruolo – perduto – della rappresentatività politica ed esprimendo, in quella sede, il punto più alto della volontà dei settori sociali e delle istanze ideali rappresentate.
Il punto trascurato da tutti o quasi, allora, è quello che al di là del merito la maggioranza del PD non si è scostata dal modello istituzionale che aveva cercato di imporre con la modifica della Costituzione, proposta e approvato dal Parlamento ma respinta seccamente dal voto popolare nel referendum confermativo e con la legge elettorale “Italikum” approvata dal Parlamento attraversato reiterati di voti di fiducia (al governo Renzi) e poi smontata dalla Corte Costituzionale.
Si tratta del modello a “vocazione totalitaria” che non prevede l’alternanza e il ruolo dei partiti, ma esalta il ruolo del Capo che appunto dialoga con le masse, legifera direttamente (con il Parlamento ridotto a un ruolo di mera ratifica) sulla base di un progetto di crescente acquisizione del consenso (si direbbe in forma meramente populistica) e con il partito di maggioranza (assoluta, tramite premi elettorali abnormi) utilizzato soltanto come canale di approvazione dell’operato del Capo stesso e di megafono propagandistico (come abbiamo visto del resto nel comportamento dei singoli nel corso di queste ultime tormentate vicende).
Il tutto non solo risulta molto pericoloso per la democrazia, almeno per chi crede ancora alla divisione e al bilanciamento dei poteri, ma in clamorosa minoranza nel Paese come ha dimostrato il già richiamato esito del voto del 4 dicembre 2016.
Purtroppo questo modo d’agire mette la sordina al disastro delle banche italiane, capaci di accumulare – per scelte massimamente di tipo clientelare – centinaia e centinaia di miliardi di crediti deteriorati, di mandare in crisi i risparmi di altre centinaia di migliaia di risparmiatrici/ori , di rimettere in evidenza le solite “liaisons dangereuses” tra finanza, politica, logge più o meno segrete.
Non a caso l’operazione compiuta in Parlamento da PD e M5S si rivolge esclusivamente al tema delle nomine, dopo che è stata costituita una Commissione bicamerale “ad hoc” che non ha ancora praticamente cominciato a lavorare e che dovrebbe esaminare un dossier di 4.200 pagine elaborato proprio dal contestato Governatore uscente (senza dimenticare metodo e merito nella nomina del presidente di detta Commissione)
Il tema istituzionale comunque rimane centrale e suscita un gravissimo allarme: anche perché questo comportamento rivela ancora una volta il massimo dispregio della volontà popolare.
Del resto da un partito come il PD che con il 25% dei voti pretendeva di assicurarsi il 55% dei seggi in un sistema praticamente monocamerale c’era poco di diverso da aspettarsi.
Il tema, alle fine, in questo caso è semplicemente quello di una antidemocratica voracità del potere che pare accomunare quelli che , sulla carta, si presentano come i due maggiori partiti italiani: alle loro spalle c’è il vecchio centro – destra, non solo antesignano della linea del Capo che “unto dal signore” si fa seguire da masse plaudenti e sognanti la “rivoluzione liberale” promessa nel 1994, ma anche ricolmo di pulsioni razziste e fasciste.
Insomma: c’è poco da stare allegri, anzi niente.
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