Ero tra le persone maggiormente impegnate a organizzare un grande movimento nazionale contro la guerra. Era l’inizio di questo secolo, subito dopo il crollo delle Torri gemelle (11 settembre 2001), i social forum si costituivano in tutte le città d’Italia, dentro la generale tematica “No alla globalizzazione, un altro mondo è possibile”.
Dopo i fatti di Genova e l’uccisione di Carlo Giuliani, un grande movimento di massa era nato in tutta Italia. Le piazze erano piene di lotte per tutte le tematiche economiche sociali e ambientali. In questo clima organizzavo insieme ad un gruppo di compagni in varie città d’ Italia il social forum Bastaguerra che affrontava la tematica generale del sistema di guerra e contribuì a numerose mobilitazioni locali e nazionali tra cui soprattutto la gigantesca manifestazione contro la guerra in Iraq che ebbe luogo a Roma e in tutte le capitali del mondo il 15 febbraio 2003 con milioni di persone in piazza.
Tra gli attivisti del movimento e tra la grande massa di persone che ci seguiva gli obiettivi erano chiari: no alle missioni militari ( ritiro delle truppe), no alle basi militari ( rimozione degli armamenti a partire da quelli atomici e dalle armi di distruzione di massa), no alle spese militari ( riconversione delle spese in spese sociali), no alle fabbriche di armi ed al commercio di armi.
Ma soprattutto era chiaro il sentimento collettivo di ripudio della guerra in quanto tale, e dunque rottura della complicità italiana col sistema di guerra da cui bisognava sganciarsi.
C’erano fattori incoraggianti che motivavano l’attivismo: la partecipazione di massa, la presenza nel movimento dei social forum, di associazioni e partiti di sinistra come Rifondazione .
Quando nel 2016 le sinistre andarono al governo con Prodi e con l’appoggio di Rifondazione si ebbe la battuta di arresto. La prima avvisaglia fu la spilletta arcobaleno sul bavero della giacca di Bertinotti alla parata militare del 2 giugno, parata che per anni i pacifisti avevano contestato come vetrina delle macchine di morte e delle spese militari. Subito dopo i parlamentari eletti col voto dei pacifisti in Parlamento fecero l’esatto contrario di quanto promesso prima del voto nelle numerose manifestazioni che si erano fatte per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Cioè votarono come richiesto dal “governo amico” per la continuazione delle missioni militari, cioè la guerra. Inoltre, mentre una parte delle associazioni presenti nei social forum contestavano il governo amico e protestavano contro le sinistre “con l’elmetto”, viceversa le grandi associazione come Arci, Libera e naturalmente Cgil, Acli e varie, si schierarono a difesa del governo.
Questo ebbe i seguenti effetti a catena: si spezzò l’unità interna ai social forum; si espansero le fratture tra i gruppi piccoli e grandi primi tra tutti Cobas e Disobbedienti; la delusione di massa fu devastante e totale così la partecipazione si spense di colpo; non ci furono più grandi manifestazioni contro la guerra; la generale mancanza di risultati ottenuti dopo anni di mobilitazioni creò sfiducia e disorientamento. Il movimento contro la guerra tornò a inabissarsi nell’indifferenza della società.
Oggi comunemente la guerra non è più sentita come un problema vitale di cui preoccuparsi. La guerra è lontana, il sentimento collettivo prevalente è l’indifferenza o la rassegnazione. Non c’è più un soggetto politico che informi, coinvolga, sveli i nessi tra spese militari e austerity, tra guerra e flussi migratori, tra barbarie in Yemen e Palestina e barbarie domestica tra noi, nelle fabbriche d’armi, nei processi di militarizzazione. Lottare contro la guerra , poi, a molti militanti sembra fuori portata, una prospettiva troppo lontana, troppo generale, troppo utopica, irraggiungibile.
Eppure una volta dicevamo locale è globale e anche UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE.
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Giordano Bruno
Grazie Nilla per la testimonianza.
C’è un refuso: il (secondo) governo Prodi è del 2006, non del 2016.