Il documento dei compagni della Rete dei Comunisti dall’emblematico titolo “Unità della sinistra? Un falso problema” ha l’indubbio merito di voler affrontare a viso aperto quel vero e proprio tormentone (appunto l’unità della sinistra) che, soprattutto a ridosso di scadenze elettorali, si ripropone con sistematica e stucchevole puntualità.
Liberarsi da questa ossessione, appunto da questo falso problema, è la precondizione per non procrastinare oltre un dibattito, questo si urgente e non più rinviabile, sulla prospettiva e sulla costruzione di una visione organica e generale che superi quel “pensiero della vita quotidiana” basato, invece, su una visione frammentata e distorta che porta ad affidarsi all’ideologia immediatamente disponibile in un dato momento (la rapida ascesa del Movimento 5 stelle e la sua più che probabile repentina caduta costituisce da questo punto di vista un caso di scuola).
Premesso che l’unità è un valore solo se si fonda, appunto, su una visione ed un orizzonte strategico comune e non sulla sommatoria algebrica di forze politiche in vista del raggiungimento (generalmente fallimentare) della soglia di ingresso nelle istituzioni, il vero paradosso della tanto invocata unità a sinistra è in realtà proprio la sua divisività: non mi riferisco tanto alla composizione, scomposizione e poi ricomposizione delle forze politiche che se ne fanno promotrici, ma nella distanza e separatezza che tale formula ha determinato rispetto a quegli interessi sociali e popolari che almeno teoricamente si candiderebbe a rappresentare.
Insomma, mentre si invoca unità tra le varie forze della sinistra si scava il solco con i ceti popolari e le classi subalterne le quali irrimediabilmente si rivolgono e indirizzano altrove.
Ma la formula dell’unità a sinistra produce anche e soprattutto un altro effetto collaterale dirompente: i punti programmatici che dovrebbero essere costituenti e irrinunciabili per delineare una alternativa di sistema vengono progressivamente elusi o, nella migliore delle ipotesi, così annacquati da risultare indefiniti, generici e impalpabili. La chiarezza dei contenuti viene altresì considerata fonte di problemi, foriera di lacerazioni e divisioni: è questa forse la più clamorosa delle mistificazioni prodotta dai sostenitori dell’unità a sinistra a tutti i costi.
Sarebbe facile replicare che, a maggior ragione in tempi di crisi, dinamicità del quadro politico, accelerazioni dei processi ed estrema volatilità dei consensi, non esistono scorciatoie o tatticismi elettorali che possano reggere: l’esperienza di oltre un decennio ci dice che chi ha provato a utilizzare scorciatoie ha sistematicamente smarrito la strada, risultando alla fine inviso e percepito come parte del problema proprio da chi voleva rappresentare.
E’ in questo contesto di mancanza di una progettualità politica chiara, autonoma e indipendente, che si inserisce anche quella tendenza all’unità contro il pericolo fascista che rischia di trovare nuova linfa dopo l’investitura di Zingaretti a segretario del PD.
Se tre indizi costituiscono una prova, la manifestazione di cgilcisluil e confindustria, la manifestazione di Milano “Prima le persone” ed infine le primarie del PD, costituiscono il tentativo di presentare come novità la riproposizione del vecchio centro sinistra.
Se tale tentativo nel breve periodo produrrà qualche risultato in termini elettorali per il nuovo/vecchio centro sinistra non è dato saperlo, ma certo risulta difficile immaginare in prospettiva che quella domanda sociale di cambiamento emersa con i risultati del referendum costituzionale e poi esplosa in forme contraddittorie il 4 marzo, possa rientrare nell’alveo di una prospettiva rivolta al passato come, appunto, quella del centro sinistra.
Ciò non toglie che quella operazione di maquillage politico avviata dal PD , produca effetti anche sulla sinistra radicale che non esita a farsi attirare nella trappola dell’unità contro il pericolo fascista. Non perché il tema dell’imbarbarimento e della deriva autoritaria sia da sottovalutare (anzi!) ma certamente non può essere affrontato marciando con alla testa il nemico.
Il nodo politico dell’Unione Europea
Il vero nodo politico è naturalmente il ruolo dell’Unione europea e il giudizio su di essa.
E allora forse sarebbe il caso, dopo un decennio di crisi e di politiche che l’hanno acuita e oltre un ventennio di vincoli europei, interrogarsi su quali sono i punti irrinunciabili per restituire identità (non identitarismo autoreferenziale) a una forza che abbia a cuore l’emancipazione dei ceti subalterni.
Invece di vagheggiare su formule ambigue ed irrealistiche, dall’ ”Europa dei popoli” alla “disobbedienza ai Trattati”, andrebbero riconosciuti gli effetti prodotti da quel processo divisivo ipocritamente chiamato “integrazione europea”. Le diseguaglianze tra Stati (un istituto di ricerca tedesco ha verificato che grazie all’euro ogni cittadino italiano dal 1999 al 2017 ha perso reddito per 73.600 euro, mentre ogni cittadino tedesco ne ha guadagnati 23.100) e tra le classi sociali all’interno dei singoli Stati si sono approfondite (il c.d federalismo aumentato, in fondo, è la riproposizione su scala nazionale delle divisioni prodotte su scala continentale); l’ondata xenofoba e nazionalista avanza avendo, nel vuoto di prospettiva, gioco facile nell’individuare nei migranti e più in generale nei poveri, il nemico da consegnare alla gogna mediatica per costruire facili consensi elettorali; la riduzione di quell’eccesso di democrazia che già nel lontano 1975 la Commissione trilaterale indicava come obbiettivo strategico è oramai raggiunta.
Se vogliamo dirla con le parole di Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia “L’unione europea ha rappresentato una via alternativa alla soluzione di problemi che non riuscivamo ad affrontare per le vie ordinarie del governo e del Parlamento”.
Insomma quel vero e proprio ordinamento giuridico economico sovranazionale costituito dai Trattati europei, unitamente all’adozione della moneta unica, sono stati strumenti utili per ridefinire i rapporti di classe spostandoli irrimediabilmente a favore del capitale e per rompere quel compromesso sociale frutto delle Costituzioni nate dalla lotta al nazifascismo.
Basterebbe il semplice riconoscimento di questi fatti oggettivi per indicare a una sinistra di classe, che vuole davvero candidarsi a rappresentare gli interessi popolari, la strada da percorrere: quella della rottura della gabbia dell’UE e del recupero della sovranità democratica e popolare.
Ed invece anche sul tema della sovranità si sconta l’estrema debolezza e/o complicità col progetto europeista della sinistra nelle sue varie declinazioni: mentre le decisioni si concentrano sempre più nei mercati e nella finanza e quindi avanza incontrastato il sovranismo finanziario, si costruisce una narrazione all’interno della quale, come un magma indistinto, sotto l’etichetta di “sovranismo” vengono ricomprese sia forze progressive e socialmente avanzate (France Insoumise su tutte e in casa nostra Potere al Popolo) sia forze razziste e socialmente regressive (Salvini, Orban, Le Pen).
Si tratta di una operazione volta a delegittimare qualsiasi opposizione popolare all’establishment oligarchico finanziario e a rilanciare la presunta superiorità valoriale della costruzione europeista e il consueto ritornello sull’Europa culla della democrazia e dei diritti civili.
Il risultato è che il tema della sovranità, ovvero di chi ha titolarità a decidere, invece di essere declinato in senso popolare e democratico, come indica anche la nostra Costituzione, viene utilizzato in un’ottica denigratoria o, al limite, trattato con imbarazzo, regalando su questo tema egemonia alla destra xenofoba che la declina in chiave regressiva ed escludente, scagliandosi contro gli ultimi della terra ed inchinandosi ai diktat europei (governo giallo verde docet).
Da qui quella paradossale condizione, tutta interna alla dimensione neoliberista, che contrappone nazionalisti ed europeisti. Due opzioni uguali dal punto di vista economico e sociale, con qualche lieve differenza in materia di diritti civili.
L’immediato futuro
Passata la sbornia elettorale, tornerà prepotentemente alla ribalta il nodo politico dell’UE perché già ci attende una manovra correttiva e una legge di bilancio che si annuncia lacrime e sangue e sulla quale pesa come un macigno quella bomba ad orologeria rappresentata dalle clausole di salvaguardia dell’IVA.
Certo, va riconosciuto che se il tema della natura antisociale dell’UE non è più un tabù e, rispetto a qualche anno fa, cresce nella popolazione la consapevolezza rispetto agli effetti devastanti prodotti dalla governance europeista, è altrettanto vero che la questione della rottura della gabbia dell’Unione Europea produce ancora timore e viene percepita come un salto nel vuoto.
Questo gap va sanato e chiama direttamente in causa chi dovrebbe assolvere al ruolo di indicare quell’orizzonte strategico e quella visione generale necessaria per costruire una strategia politica capace di intercettare il crescente disagio sociale, ben oltre i limiti angusti della c.d. sinistra radicale.
Rompere con la gabbia dell’UE, recuperare sovranità democratica e popolare, contendendo su questo punto l’egemonia al falso anti europeismo della destra razzista e xenofoba, indicare una alternativa di sistema, costituiscono le sfide difficili che, per esempio, una forza come Potere al popolo, avrà davanti a se nell’immediato futuro per rendere credibile la sua proposta politica ed invertire davvero i rapporti di forza.
L’alternativa è quella di essere risucchiati nel campo europeista. In nome dell’unità a sinistra, naturalmente…
* Piattaforma Eurostop
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa