Dopo quella di Andrè Gunder-Frank (2005), di Giovanni Arrighi (2009), di Hosea Jaffe (2014) e di Samir Amin (2018), la morte di Immanuel Wallerstein in un certo senso mette un punto fermo alla questione a cui tutti questi autori hanno tentato di dare una risposta. E la questione è se sia ormai il caso di guardare al mondo geograficamente, storicamente e socialmente inteso come un tutto interconnesso.
Wallerstein nasce a New York da genitori emigrati dalla Germania negli ani Venti e sin da giovane assimila la sensibilità politica della famiglia. Studia alla Columbia University, fa una tesi sul maccartismo, appoggia la protesta degli studenti nel Sessantotto e si occupa dell’Africa (nel processo di colonizzazione e decolonizzazione), tanto che viene ricordato per questo nell’ “Introduzione alla Sociologia generale” di Guy Rocher (1970)[1] e collabora nel 1972 a “The Columbia History of the world” a cura di J.A. Garraty e P.Gay (tradotta nel 1973 da Mondadori[2]) proprio nel paragrafo dedicato all’Africa dopo il 1945, paragrafo che finisce già con il warning “La fase durerà probabilmente finchè la tensione diverrà intollerabile e il sistema mondiale non riuscirà a contenere i fermenti africani”.
La svolta nel suo pensiero si manifesta più compiutamente nel 1976 quando, diventato a New York Direttore del Fernand Braudel Center, si appresta ad operare una sintesi della prospettiva braudeliana (e delle Annales[3]) della lunga durata[4] e di altre istanze radicali (alcune delle quali collegate anche al marxismo). Nel 1974 era uscito il primo volume di “The Modern World-System” la sua opera principale di cui sono usciti quattro volumi ma che l’autore intendeva ancora completare.
La tesi fondamentale di Wallerstein (volendo tagliare la questione con l’accetta) è quella per cui l’unità di analisi della scienza sociale è il sistema-mondo, sistema-mondo che prima del capitalismo era unificato politicamente nella forma di più Imperi ma che dal capitalismo in poi diventa un’economia-mondo, ovvero un unico sistema che realizza una divisione mondiale del lavoro con un centro dominante e le altre realtà divise in periferiche e semiperiferiche dipendenti dal centro e culturalmente e politicamente differenziate.
Poiché il sistema è unitario, Wallerstein rifiuta il concetto di terzo mondo (se questo viene inteso come una realtà marginale separata) e rifiuta anche la tesi che la globalizzazione sia stata un processo che si sia verificato solo nel secolo Ventesimo o al massimo nel secolo XIX. Il capitalismo per Wallerstein si è affermato nel mondo all’inizio dell’epoca moderna globalizzandolo e mercificando qualsiasi cosa[5]. Esso, contrariamente a quanto pensano molti economisti dello sviluppo (ed in parte a suo parere anche Marx), non ha portato alcun progresso alle nazioni della periferia[6] ma anzi ha determinato un impoverimento reale di questi paesi (Hosea Jaffe ha indipendentemente sviluppato tesi analoghe[7]).
Dal punto di vista metodologico Wallerstein, come cerca di unificare l’oggetto della scienza sociale, così cerca di eliminare alcune partizioni, secondo lui inutili, tra discipline e soprattutto la contrapposizione tra scienze storiche volte alla descrizione di eventi storici irripetibili e scienze sociali volte alla ricerca di leggi universali[8].
In questa sua istanza di ristrutturazione delle scienze storico-sociali si articola il suo rapporto problematico con il marxismo (rapporto che invece viene rivendicato in chiave più positiva da Amin e Jaffe che usano la categoria di imperialismo, considerata non particolarmente rilevante da Wallerstein). Con l’89 sarebbe stata sancita la fine del marxismo-leninismo (che lui considera come il marxismo dei partiti), del marxismo come teoria della modernità e come strategia riformistica, mentre non sarebbe morto il marxismo come critica della modernità e come impulso anti-sistema[9].
Wallerstein si è occupato, collaborando con Etienne Balibar, anche dei rapporti ambigui tra i conflitti di classe e quelli legati ai concetti di razza e di nazione. All’interno di questa analisi ha evidenziato come l’universalismo, lungi dal costituire un polo contrapposto a razzismo e nazionalismo, sia solo uno strumento teso a mantenere il controllo degli oppressi senza innescare all’interno del sistema delle istanze autodistruttive[10].
Egli si è anche sforzato di fare previsioni, non sempre verificatesi a breve, sulle tendenze dell’economia-mondo (ad es. tra il 1988 e i primi anni del 2000 si sarebbe dovuto realizzare un consorzio tra Usa e Giappone contro l’Europa[11]). Tuttavia, assieme ad altri, ha intuito che il monopolarismo Usa sarebbe stato impossibile e che l’egemonia Usa aveva iniziato il suo tracollo già tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta[12].
Molte osservazioni critiche gli sono state fatte a dimostrazione del fatto che il suo pensiero stimola riflessioni e discussioni (quando comparve negli anni Ottanta la traduzione per Einaudi di Il capitalismo storico, Guido D’Agostino[13] segnalava una recensione di Alfonso M.Iacono che all’interno di un quadro benevolo poneva questioni metodologiche forti). C’è stato a suo tempo Giovanni Arrighi che ha criticato quello che si considera il determinismo di Wallerstein che negherebbe rilevanza agli attori coinvolti nel sistema e spiegherebbe il mutamento solo ricorrendo a fattori esterni al sistema. Oppure c’è la critica di Cox per il quale l’approccio di Wallerstein sarebbe più capace di identificare le forze che assicurano l’equilibrio del sistema che non le contraddizioni che lo possono trasformare[14].
Tuttavia possiamo dire che Wallerstein, assieme agli altri protagonisti citati all’inizio, ci abbia comunque insegnato che quello sguardo complessivo al sistema-mondo, al mondo inteso come sistema, sia doveroso. Diciamo “doveroso” perché non si tratta di una cosa facile e forse non abbiamo ancora la cassetta degli attrezzi necessaria per farlo con risultati ragionevolmente incoraggianti. Per quanto lo stesso Wallerstein faccia riferimento a Prigogine[15], la nozione di sistema ad esempio ha ancora forse diverse accezioni legate tra loro da metafore suggestive ma che non consentono ancora la formulazione di un paradigma in effettiva funzione.
Siamo sicuri però che il lavoro di questi grandi studiosi sia un segnale del fatto che non si può tornare indietro ad una storia parziale, eurocentrica, che non dia voce alle masse degli sfruttati e alle nazioni della periferia. In questo senso siamo già in una fase di transizione.
2/9/2019
[1]Rocher, Guy, Introduzione alla sociologia generale, Milano, SugarCo, 1980, p.489.
[2]Garraty, John A., Gay, Peter, Storia del mondo, Milano, Mondarori, 1973, vol. III, pp. 1071-1079.
[3]Wallerstein Immanuel, Fernand Braudel, storico, “homme de la conjoncture” in Wallerstein Immanuel, La scienza sociale: come sbarazzarsene, Milano, il Saggiatore, pp. 201-216.
[4]https://moodle2.units.it/pluginfile.php/154296/mod_resource/content/3/Lunga%20durata%20sintesi.pdf
[5]Wallerstein Immanuel, Capitalismo storico e civiltà capitalistica, Trieste, Asterios Editore, 2000, pp. 15-39.
[6]Wallerstein Immanuel, Capitalismo storico e civiltà capitalistica, Trieste, Asterios Editore, 2000, pp. 91-110.
[7]Jaffe, Osea, Era necessario il capitalismo? , Milano, Jaca Book, 2010.
[8]Wallerstein Immanuel, Il paradigma e il sistema-mondo: un invito al dibattito, in Wallerstein Immanuel, La scienza sociale: come sbarazzarsene, Milano, il Saggiatore, pp. 253-272
[9]Wallerstein, Immanuel, Il marxismo dopo il crollo dei regimi comunisti, in Wallerstein Immanuel, Dopo il liberalismo, Milano, Jaca Book, 1998, pp. 223-234.
[10]Balibar, Etienne, Wallerstein, Immanuel, Razza, nazione, classe: le identità ambigue, Roma, Edizioni Associate, 1990 pp. 237-240.
[11]Wallerstein, Immanuel, L’economia-mondo, prospettive di medio termine, in Wallerstein, Immanuel Geopolitica e Geocultura, Trieste, Asterios Editore, 1999 (l’articolo in questione è del 1989), pp. 127-139.
[12]Wallerstein, Immanuel, Il declino dell’America, Milano, Feltrinelli, 2004.
[13]http://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0053532_1987_166-169_17.pdf
[14]Vasapollo, Luciano, Arriola Joaquin, Teoria e critica delle politiche economiche e monetarie dello sviluppo, Roma, Edizioni Efesto, 2019, pp. 261-262.
[15]Wallerstein, Immanuel, Il sistema-mondo come civiltà, in Wallerstein, Immanuel Geopolitica e Geocultura, Trieste, Asterios Editore, 1999, p. 222
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