Continuano le reazioni in Russia alla morte di Mikhail Gorbačëv. Tra i più noti storici di sinistra o nazionalisti, Evgenyj Spitsyn qualifica l’ex primo e ultimo Presidente dell’URSS come «figura storica, ma in negativo», osservando che «molte generazioni dell’ex Unione Sovietica continueranno a lungo a maledire il suo nome», per la distruzione del paese, per i milioni di morti che le sue e le successive “riforme” eltsiniane hanno causato ai popoli sovietici.
A parere di Spitsyn, Mikhail Sergeevič, agli inizi della perestrojka, sotto l’influenza decisiva della consorte, Rajsa Maksimovna, era probabilmente spinto da «cattivi propositi»; più tardi, però, consapevole che se si fosse «fermato sarebbe stato arrestato e condannato, passò all’attacco», semplicemente «per sottrarsi al giudizio». Vorrà pur dire qualcosa, osserva Spitsyn, se i leader di tutti i «paesi oggi in guerra con noi ne danno una valutazione positiva»!
Tra maggio e luglio, ricordano molti osservatori, sono morti almeno quattro dei peggiori “becchini” dell’URSS: gli ex Presidenti bielorusso e ucraino, Stanislav Šuškevič e Leonid Kravčuk a maggio, Gennadij Burbulis (tra i principali complici di Boris Eltsin) a giugno, Vadim Bakatin (ultimo Ministro degli interni dell’URSS nel 1990 e primo Direttore dell’ex KGB eltsiniano nel 1991) a luglio. E ora Mikhail Gorbačëv.
Con la loro morte, conclude Evgenyj Spitsyn, si chiude un’intera epoca storia, anche se la loro influenza non finisce qui e si farà sentire ancora a lungo.
Tra gli storici di orientamento più nazionalista, Andrej Fursov non risparmia i titoli di “traditore” e “giuda” all’indirizzo di Gorbačëv, ma ritiene che la sua morte non rappresenti la fine di un’epoca: la chiusura di un’epoca è costituita dall’Operazione speciale russa in Ucraina; è comunque simbolico che Gorbačëv sia morto proprio ora, dice Fursov.
Pareri in linea con gli orientamenti politico-editoriali che lo contraddistinguono sin dalla sua fondazione – per l’appunto, in epoca gorbačëviana – sono quelli proposti ai lettori dal quotidiano Kommersant, che ha raccolto le opinioni di alcuni prenditori russi, non di primo piano, sul ruolo dell’ultimo presidente dell’URSS, chiedendo loro «per che cosa direbbero grazie a Gorbačëv».
Al di là di alcuni scontati panegirici (tralasciamo di proposito varie lodi cantate all’uomo della “perestrojka”, solo per incensare proprie personali “virtù imprenditoriali” all’alba del nuovo mondo) e frasi a effetto, pare curioso come diversi attuali biznesmeny russi parlino dell’epoca “buia” precedente la “perestrojka” come vissuta in prima linea con sofferenze e privazioni, quando erano poco più che fanciulli di prima elementare. Tant’è.
Boris Titov, attuale responsabile per i diritti degli imprenditori presso il Presidente russo, inizia dicendo che «Tutti noi discendiamo da “Il cappotto” gogoliano, dicevano di sé i letterati russi. E noi, in quanto biznesmeny, discendiamo dal sistema gorbačëviano delle cooperative». È sufficiente ricordare come, infatti, negli anni 1986-’87 e dopo, le prime iniziative private (bar, ristoranti, istituti d’istruzione, piccole imprese, ecc) portassero la denominazione di cooperative.
Non è con «Gorbačëv che si sono formate le basi degli attuali rapporti d’affari; però, proprio lui gettò nel terreno quel seme di libertà che poi è maturato… la nuova Russia democratica è stata creata grazie a lui», afferma Titov.
Senza tornare a scomodare le ben conosciute “riforme” khruščëviane, che dettero uno dei primi duri colpi all’agricoltura collettiva sovietica, basti ricordare la cosiddetta “riforma Liberman-Kosygin” avviata a metà anni ’60, per avere un’idea anche solo approssimativa di quelle «basi degli attuali rapporti d’affari».
Anastasija Tatulova, fondatrice e direttrice generale della rete di ristorazione “Anderson”, dice grazie a Gorbačëv perché a 19 anni è «diventata imprenditrice… Solo con lui, l’imprenditorialità è diventata possibile in Russia: il biznes ha cessato di ricadere sotto l’articolo del codice penale sull’attività imprenditoriale privata… Grazie per aver riconosciuto gli errori, per aver ammesso Katyn’, aver restituito la Germania ai tedeschi…». Amen.
Ecco però che Igor’ Rybakov, imprenditore e creatore del Fondo Rybakov non ha alcuna intenzione di ringraziare Gorby; molti altri, dice, «dovrebbero però essergli grati. Il governo cinese, ad esempio, che, mettendo a profitto i suggerimenti su come distruggere un grande paese, ha indirizzato il proprio sviluppo in una diversa direzione. E, ovviamente, gli USA, a cui l’eliminazione dell’Unione Sovietica dall’arena geopolitica sarebbe costata cifre immense».
Viktor Semenov, presidente del revisori del gruppo “Belaja Dača” ricorda l’incontro con Gorbačëv per discutere la rinascita del sovkhoz in cui era cresciuto lo stesso Mikhail Sergeevič: «Ho avuto l’impressione di una persona buona, onesta, aperta, ma estremamente incompetente, anche in affari così elementari. Le sue proposte erano più simili alla carità… Devo riconoscere che diede ascolto alle mie critiche e mutò subito opinione… disse di presentare un piano… ma dopo un mese o due l’intera questione fu dimenticata».
Indicativa la parabola (ascendente o discendente: questione di punti di vista) di Vladimir Ščerbakov, nel 1988-’90 Ministro del lavoro dell’URSS; nel ’90-’91 vive Primo ministro dell’URSS e poi fondatore dell’impresa “Avtotor”: «Ho lavorato sei anni sotto il comando di Mikhail Sergeevič e gli sono grato per il suo spirito, il desiderio di fare tutto nel miglior modo possibile… mancava però di qualità manageriali, quali definizione concreta degli obiettivi, intransigenza nella loro attuazione, rigidità nel prendere decisioni e sanzioni per il mancato adempimento. Pensava che fosse sufficiente porre un problema e le persone avrebbero discusso e deciso dove ci si dovesse dirigere e in che modo. A ciò sono in gran parte legati i fallimenti della perestrojka, soprattutto in campo economico… noi stessi abbiamo distrutto l’economia centralizzata invece di modernizzarla. Demmo libertà alla persona, alle cooperative, alle imprese, senza creare efficaci leve di influenza su di loro».
Kirill Babaev, vice presidente di “Alfa-grupp”, direttore dell’Istituto Cina e Asia contemporanea dell’Accademia delle scienze: «Mikhail Sergeevič ha permesso a quei talenti imprenditoriali, che da sempre vivono nel popolo russo, di venire allo scoperto. Questo è il suo più grande merito. Il russo è per natura pieno d’iniziativa… Dopo 70 anni di sonno, queste capacità hanno potuto rivelarsi proprio grazie a Gorbačëv. È stato lui a gettare le basi per lo spirito imprenditoriale che ha permesso alla Russia di portare le aziende a livello mondiale». Avanti, per lo zar e per l’eterno spirito russo calpestato dai biechi bolscevichi!
Maksim Artsinovič, proprietario della gioielleria Maximiliann London e del Maximilian Art Foundation (Gran Bretagna), ringrazia il defunto idolo dell’Occidente «per le cooperative! Probabilmente, tutti i cooperatori sono diventati milionari e miliardari (i sopravvissuti degli anni ’90, che non sono morti di alcol o di droga, o ammazzati). Per me, scolaro, il 1985 è stata una boccata d’aria fresca con le parole “perestrojka” e “glasnost”. Dopo la stagnazione brežneviana, sono apparse più libertà e speranze.
Ma poi nel 1991 il crollo dell’URSS sembrò una tragedia! Sentivamo con ogni fibra della nostra anima che qualcosa di storicamente sbagliato stava accadendo e ci attendeva qualcosa di terribile e sconosciuto! Sperimentammo il crollo dell’URSS sulla nostra famiglia, sulla nostra pelle. Siamo profughi da Grozny… siamo sopravvissuti e abbiamo cominciato a vivere con dignità. Penso che se Mikhail Sergeevič non avesse piazzato questa bomba per la rovina dell’URSS, molte tragedie attuali si sarebbero potute evitare e, probabilmente, ora non ci sarebbe l’operazione speciale».
A questo punto, chi scrive si concede una breve nota personale. A differenza di altri compagni, con qualche anno di più sulle spalle e memori di quanto accaduto con Nikita Khruščëv, il sottoscritto, forse influenzato (non è una giustificazione: è una constatazione) dall’euforia dei moscoviti nella seconda metà degli anni ’80, all’inizio cadde nell’abbaglio della “perestrojka”.
Il crinale 1990-inizi ’91 ebbe però effetto: il fermo di tantissime imprese, impossibilitate a produrre per mancanza di forniture da altre imprese, impegnate in affari propri e, insieme, la “noncuranza” dei vertici politici per un tale stato di cose, convinsero moltissimi del vicolo cieco imboccato. La celebrata “venerazione” dei moscoviti per il “populismo” di Boris Eltsin finiva nel water e Mikhail Sergeevič con Rajsa Maksimovna bussavano alla porta del cesso.
La “libertà” dal Piano, iniziata più di vent’anni prima, dava gli ultimi e decisivi frutti.
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