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Ieri come oggi: come fu temprato l’acciaio!

La settimana che si è aperta sarà un arco temporale importante per gli esiti politici e sindacali della vicenda ILVA e più compiutamente per le questioni che afferiscono allo scontro in atto nel governo Conte 2 in materia di governance dei processi industriali nel nostro paese.

E’ evidente – anche ai commentatori politici più ingessati – che la querelle in atto a proposito del “caso ILVA” richiama non solo la lunga telenovela che, da decenni, si consuma attorno al polo siderurgico di Taranto (dall’epoca della “proprietà pubblica” passando per la gestione dei Riva fino al recente approdo con la multinazionale franco/indiana Ancelor-Mittal) ma attiene a tutta la dinamica che si sta delineando circa la presenza delle imprese multinazionali in Italia e all’annosa questione della pianificazione delle possibili forme dell’Intervento Pubblico nell’economia.

L’apparato produttivo italiano e l’intera struttura dei “servizi a rete(energia, telecomunicazioni, trasporti), negli anni alle nostre spalle, sono stati al centro di una gigantesca ondata di privatizzazioni, di dismissioni e di vera e propria svendita che ha manomesso e cannibalizzato una struttura economica e strutturale di tutto rispetto.

Negli anni feroci del furore neo/liberista e dell’accettazione acritica e subalterna dei dispositivi normativi dell’Unione Europea e dell’Euro a cui si sono sottomessi tutti gli esecutivi, è stato disarticolato ciò che rimaneva del segmento delle “vecchie Partecipazioni Statali (e non era poca roba!) ma, soprattutto, sono stati concepiti e realizzati i cosiddetti “spezzatini aziendali” che hanno indebolito non solo la capacità produttiva/economica/finanziaria dei vari asset ma sono stati forieri di un enorme numero di licenziamenti e di espulsione di consistenti quote di lavoratori e lavoratrici dai gangli produttivi.

A tale proposito serve ricordare che le nostrane “sinistre” (comprese quelle che allora amavano fregiarsi dell’appellativo “radicale”) sono state complici e/o silenti in occasione dei passaggi decisionali topici di questo antisociale sconvolgimento economico e produttivo del paese. Una trasformazione/integrazione che possiamo collocare dentro un pesante processo di concentrazione/centralizzazione intorno al costituendo polo imperialista europeo.

Il tutto in un contesto generale dove il padronato e la borghesia affermavano i loro interessi in materia di attacco al salario, alle pensioni, agli istituti contrattuali collettivi nazionali, alle libertà politiche e sindacali, determinando, di fatto, una condizione oggettiva del mondo del lavoro (in tutte le sue diversificate configurazioni) di grande e rovinosa frammentazione materiale e sociale.

Lo scontro oggi ed il tempo delle scelte chiare e nette

Non stupiscono – dunque – le cronache, a volte dai toni stucchevoli e melodrammatici, con cui si stanno rappresentando in questi giorni questioni, come lo “Scudo Penale” per le multinazionali straniere che investono in Italia, le quali sono paradigmatiche del potere reale che le queste detengono nei confronti degli stessi “esecutivi nazionali”, ormai incapaci di porre un deciso stop alle scorribande affaristiche e speculative che questi gangster del capitalismo internazionale operano nei vari paesi, soprattutto quelli più deboli.

Ma la vicenda ILVA è anche una tragica fotografia della storia della produzione dell’acciaio nel nostro paese dove le classi dirigenti borghesi hanno, di volta in volta, puntato a fare “pronta cassa per le loro consorterie locali sacrificando “l’interesse strategico nazionale” a palese vantaggio dei padroni multinazionali della siderurgia e delle loro filiere internazionali.

La stessa storia dell’ILVA di Taranto, con tutto il corollario di distorsioni attinenti la micidiale devastazione ambientale e della salute degli abitanti della città, è lo specchio di queste scellerate scelte che hanno offeso e mortificato ulteriormente il territorio meridionale, già fortemente penalizzato sul versante storico ma anche da quello delle recenti decisioni degli ultimi anni, dalle vigenti forme ineguali e polarizzate dello “sviluppo” del capitalismo in Italia.

In tale congiuntura politica e sindacale è da apprezzare e sostenere, senza indugi, il protagonismo ma anche la rinnovata capacità programmatica e propositiva dei delegati di fabbrica dell’Unione Sindacale di Base i quali – con coraggio politico, senso dell’innovazione teorica e con una attitudine di responsabilità a tutto tondo – hanno inteso lanciare, attraverso un Appello, per una nuova politica industriale pubblica”, lanciando un segnale di unità e di lotta possibile non solo agli operai dell’ILVA di Taranto ma anche alla popolazione della città che paga per la “produzione di morte” di questo sito.

E’ un Appello, da raccogliere, articolare e generalizzare, rompendo con la complice passività dei sindacati collaborazionisti, dalle decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori, coinvolti dalle diverse centinaia di “tavoli di crisi aziendali” che giacciono, stancamente, al Ministero dello Sviluppo Economico o alle sedi prefettizie delle varie province italiane.

Assumono, quindi, particolare valore le iniziative convocate in questa settimana a Taranto dove si intreccerà una discussione – in diversi momenti di confronto – che attraverserà ambiti politici e sindacali: mercoledì 27, alle ore 19, Potere al Popolo darà vita ad un Convegno Pubblico con la partecipazione del portavoce nazionale, Giorgio Cremaschi, di esponenti delle reti ambientaliste locali e di delegati del sindacalismo conflittuale del polo siderurgico; giovedì 28, alle ore 16, l’Unione Sindacale di Base darà vita ad una Assemblea operaia, con la presenza di delegazioni di lavoratori da varie città d’Italia, la quale discuterà dei contenuti e delle modalità di un percorso di lotta generale sulla base dell’Appello prima citato; venerdì 29 – infine – nell’ambito della giornata di mobilitazione di Friday for future, l’Unione Sindacale di Base ha organizzato lo sciopero generale ed una Manifestazione Nazionale con la parola d’ordine “No ai ricatti all’ex ILVA e nel resto del paese – Liberare Taranto”.

Rispetto a questo scontro che si sta prefigurando, ai vari piani (interistituzionale, politico, sindacale) con cui si consumerà nel prossimo periodo, alle contraddizioni – alcune anche di tipo inedito e palesemente laceranti per il corpo sociale – l’azione dei comunisti – e della Rete dei Comunisti – è quella di sollecitare l’unità e la mobilitazione comune tra i diversi soggetti sociali colpiti dall’azione capitalistica in fabbrica e nei territori, di spingere per la concretizzazione di campagne politiche di tipo generale che ostacolino i processi di ulteriore distruzione/depauperamento dell’economia e dei suoi settori strategici e di favorire la critica politica e materiale ad un modello di sviluppo (e di società) che il capitalismo, in Italia come altrove, sta portando ad uno stadio parossistico e profondamente nocivo per l’intera umanità.

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