Le dimissioni del “Capo Politico” (fantasiosa invenzione lessicale, come quella riguardante i “facilitatori”) del Movimento 5 stelle si sono verificate in un clima politico di assoluta democristianità nel pieno vortice delle lotte di corrente: sembrano proprio tornati i tempi delle “suore dorotee” (copyright di Luigi Pintor).
E’ presto per affermare che si è chiusa un’epoca: certo che la logica dell’“uno vale uno” e del Parlamento “aperto come una scatola di tonno” ha subito una brutta botta.
L’effetto più dirompente, a livello di opinione pubblica, sembra già essere in atto: l’effetto è quello della disillusione ormai in corso da tempo e che ha prodotto un primo risultato, quello di un ulteriore radicamento a destra di una parte consistente dell’elettorato.
Radicamento a destra cui ha contribuito anche la parabola di Matteo Renzi alla guida del PD.
Infatti, al di là dell’esito delle elezioni di Emilia e Calabria di domenica prossima è evidente come sia già avvenuto un rilevante spostamento verso le posizioni della Lega, sempre più caratterizzate da pulsioni razziste (intanto pezzi consistenti degli ex-votanti di Forza Italia sono passati ai para – fascisti di Fratelli d’Italia).
Tutto questo è avvenuto in una situazione di partecipazione al voto sostanzialmente stagnante: una situazione che ci indica come la dirompente (a suo tempo) ascesa del M5S non è sicuramente servita a ri – orientare settori sociali già approdati all’astensionismo.
Si accentua ulteriormente la fragilità del sistema.
Una fragilità che diventa il principale problema della complessa situazione politica italiana.
Va ricordato ancora come esista una differenza sostanziale tra lo “stare alla testa” e lo “stare alla guida”: una diversità facilmente intuibile attraverso una semplice analisi dei fatti torno sullo spostamento a destra.
Assistiamo a un rigurgito di tensione verso vere e proprie forme di fascismo che rappresentano più di quanto non appaia a prima vista elementi molto più strutturati dentro il sistema.
Elementi di tensione verso vere e proprie forme di fascismo non certo contrastabili soltanto reclamando un semplice ingentilimento del linguaggio.
Cerchiamo allora di analizzare alcuni degli elementi che hanno portato a questo stato di cose, rammentando che la pratica sparizione della sinistra è stata anche dovuta all’incapacità dei soggetti che la rappresentavano a costituire nella società italiana un riferimento di vera e propria “controcultura”.
Soffermarsi sull’analisi delle caratteristiche di fondo presentate dal fascismo nel corso della sua parabola compiuta all’interno della storia d’Italia non risulta essere mero esercizio di comparazione storica, ma significa soprattutto ritrovare elementi di assoluta attualità nei comportamenti e nelle scelte politiche dell’oggi: un lavoro che consente di rintracciare spunti davvero fecondi per comprendere la fase in cui viviamo.
Questi i motivi principali per i quali può essere formulato un giudizio così netto che, pure, molti giudicheranno come assolutamente azzardato:
1) Prima di tutto la situazione attuale discende direttamente da un processo del tutto esagerato di personalizzazione della politica, adottato in Italia con forme peculiari inseguendo il modello portato avanti da Silvio Berlusconi. Berlusconi è stato il creatore di una “forma – partito” assolutamente inedita anche nel panorama internazionale, quella del “partito – azienda”. “Partito – azienda” retto – ovviamente – da un solo “dominus”, il padrone. Una personalizzazione della politica estesasi a tutti i livelli centrali e periferici, alimentata a sinistra dal micidiale meccanismo delle cosiddette “primarie” vissute esclusivamente attraverso il meccanismo dell’individualismo competitivo;
2) Il meccanismo della personalizzazione della politica si è verificato nella vera e propria “desertificazione” del sistema politico (fenomeno verificatosi non solo a sinistra, attenzione!) attuatosi in coincidenza con la trasformazione del PCI. I partiti si sono ridotti, PD compreso in particolare nella fase Veltroni/Renzi, a vivere esclusivamente della “volontà di potenza”. Lo aveva già scritto Matteo Pucciarelli, utilizzando anche una citazione di Barbara Spinelli, in un suo articolo “Post – comunisti allo sbaraglio” apparso sul numero 7/2013 di Micromega. L’articolo conteneva anche un’altra citazione particolarmente lunga dal “Sarto di Ulm” testamento politico di Lucio Magri nel quale l’ex-segretario del PdUP spiega con particolare capacità d’analisi i meccanismi di fondo che hanno presieduto alla trasformazione del PCI, avvenuta esclusivamente in funzione del concetto di esaurimento dell’azione politica all’interno della governabilità. Personalizzazione e volontà di potenza: un intreccio che ha finito con il produrre il ritorno del principio del “furherprinzip”, nell’espressione di una filosofia del tipo “ o con me o contro di me”. Così andò il referendum del 2016 e così saranno le elezioni in Emilia Romagna di domenica prossima. I protagonisti possono passare ma il principio resta come vero e proprio “cancro” del sistema.
3) Il terzo elemento che ha provocato l’aprirsi di questa voragine è stato quello del richiamo alla piccola borghesia sollecitandone le pulsioni più immediate: rottamazione e Vaffaday al loro tempo hanno sicuramente aperto la strada avendo il tratto in comune di quella che, semplificando al massimo, si può ancora definire come “antipolitica”. Piccola borghesia consumistica e impoverita, dagli appetiti magari malsani, che in una società complessa come l’attuale può ben ricoprire il ruolo di rompere (agitando anche falsi obiettivi) la forza dei ceti subalterni. Naturalmente questa piccola borghesia dagli appetiti malsani non approderà mai alla gestione effettiva del potere. I “pifferai di Hamelin” che la governano (Grillo, Renzi, adesso Salvini) portandola a spasso, nella realtà ma soprattutto nell’illusione mediatica e del web, sanno bene che l’antica dittatura della grande finanza pienamente affermatasi con il ciclo aperto dalla crisi dei “subprime” del 2007, appare – in questo momento – del tutto inscalfibile;
4) Esistono punti di differenza tra Grillo, Renzi e Salvini ma egualmente riscontrabili nella mitologia del fascismo. E’ stata agita, da parte di Renzi, l’offa di una rottamazione di stampo giovanilistico che sembrava appartenere di più a un filone di tipo “futurista” interpretato riduttivamente nella dimensione da ufficialetto degli arditi, mentre Salvini è apparso più truculentemente populista, agitatore anche di un certo tipo di “squadrismo”. Differenze importanti ma che tendono egualmente a saldarsi nel nome della comune avversione di una rappresentanza politica come quella del tipo di democrazia repubblicana prevista (e praticata) dalla Costituzione. Grillo, Renzi, Salvini invece, sono accomunati soltanto dall’espressione di una politica di potenza di tipo personale appoggiata indistintamente da soggetti opachi dal punto di vista degli intendimenti democratici.
Questo scenario, del tutto disastroso, caratterizzato da un’involuzione di tipo sostanzialmente autoritario è ben presente nelle possibilità di sviluppo della nostra situazione politica: mi permetto di insistere su questo punto ben presente ormai da diverso tempo come possibilità concreta sfruttando la già citata fragilità del sistema.
Tornando all’attualità: verifichiamo un cedimento prima di tutto sul piano dell’identità sociale verso il populismo – sovranismo. Il M5S ha pensato di ovviare attraverso l’antico esercizio del trasformismo, attuato secondo le regole ferree dell’autonomia del politico ma regole non scritte hanno imposto la loro legge e adesso si trovano a fare i conti con una crisi di dimensioni esponenziali e così ha pagato un improvvisato “capo politico” convinto nell’illusione dello “stare alla testa” senza conoscere la necessaria capacità dello “stare alla guida”.
Un trasformismo accettato imprudentemente da PD e LeU nella solita logica di far argine a un presunto “ peggio”. Si chiude una parabola (molto di più di una crisi di leadership come ha scritto Norma Rangeri sul Manifesto), ma il peggio è già “dentro” ben oltre l’esito provvisorio di un’elezione regionale.
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