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I ragazzi del Politecnico

“Quella tragica giornata si aprì in maniera gioiosa. Al mattino, il cortile dell’università fu invaso dai ragazzini delle superiori venuti a esprimerci solidarietà”. Il 16 novembre 1973, la matricola della facoltà di economia Nadia Valavani era nel Politecnico di Atene dove due giorni prima, assieme a migliaia di compagni, si era asserragliata per reclamare la fine della giunta militare al potere dal colpo di Stato del 21 aprile 1967. “Quando, nel pomeriggio, iniziarono gli scontri – ricorda Valavani, neo deputata di Syriza, la Coalizione della sinistra radicale -, i megafoni avvertirono: chi vuole tornare a casa, deve farlo subito! Rimasero quasi tutti con noi, anche i più giovani”.

Guidati da Gheorghios Papadopoulos – ufficiale di collegamento tra i servizi segreti greci e la Cia -, subito dopo il golpe i colonnelli avevano sciolto i partiti politici, cancellato i diritti civili, vietato gli scioperi. E, come denunciò già nel 1969 un rapporto della Commissione europea per i diritti dell’uomo, praticato in maniera estensiva la tortura contro gli oppositori (comunisti e di sinistra in primis) e chi fosse sospettato di non appoggiare il regime. Nel 1973 l’inflazione era balzata al 30% e i militari avevano concesso un’amnistia per tutti i prigionieri politici, per preparare elezioni dalle quali sarebbe dovuta nascere una “repubblica presidenziale parlamentare”. Gli studenti si mostrarono indisponibili a tollerare qualsiasi riforma pilotata dagli uomini in divisa.

“Chiedevamo libertà accademica e di poter scegliere i nostri rappresentanti nelle facoltà – racconta Gerasimos Balaouras, ex leader del movimento -, scandivamo lo slogan “Cinque anni sono già troppi da sopportare!”, in riferimento non alla durata degli studi ma alla dittatura”.
Pavlos Klavdianos nel dicembre 1967 partecipò alla fondazione di Rigas Fereos, la prima organizzazione giovanile clandestina. “Avvicinavamo persone che non erano mai state schedate – spiega Klavdianos, che oggi dirige il settimanale Epohi -, puntavamo ad allargare il movimento oltre i confini della sinistra”. Una sinistra, quella comunista in particolare, ingabbiata dalle persecuzioni post guerra civile, che i colonnelli additarono come “il pericolo” arginato dal putsch, diretto in realtà a frenare l’avanzata elettorale dell’Unione di centro di Papandreou.
Catturato nel 1968, Klavdianos fu detenuto nel campo militare Dyonisos di Atene, dove agli ordini del comandante del 505° Battaglione, Kostas Papadopoulos (fratello del capo della giunta), operava il principale aguzzino dell’esercito, il colonnello Vassilios Ioannidis. “Uno dei luoghi di detenzione dove le sevizie erano più atroci – rammenta Klavdianos -: due volte mi condussero d’urgenza in ospedale, per evitare che morissi sotto tortura”.
La sevizia più comunemente riservata ai fermati era la fàlanga: legati supini a una panca con una corda, venivano percossi sulle piante dei piedi con dei bastoni. Negli intervalli tra una sessione e l’altra venivano slegati e costretti a correre sui piedi dolenti.

“La svolta – spiega Rigas Raftopoulos, storico e fondatore dell’Archivio Emian – arrivò nel gennaio del 1973 quando, con la Piattaforma del Politecnico, si andò oltre le rivendicazioni studentesche e fu chiesto il ripristino delle libertà democratiche”. Il 23 febbraio e, di nuovo, il 20 marzo venne occupata la facoltà di giurisprudenza: per la prima volta, i cittadini comuni si schierarono con gli studenti.
Arrestato il 14 febbraio 1973 nel corso di una manifestazione, Balaouras conserva con orgoglio i giornali dell’epoca, in cui viene ritratto con evidenti segni di tortura: “Nella caserma dell’Asfalia (la polizia di sicurezza, ndr) la mia cella si riempì di agenti che mi picchiavano a turno, in ogni parte del corpo”. Balaouras – sindacalista in pensione della confederazione GSEE – è l’unico studente che venne mostrato, sia sui giornali che in tribunale, senza essere stato prima “ripulito”. “In quel momento volevano terrorizzarci – continua -, ma il mio processo si rivelò un boomerang e la protesta si estese a Salonicco, Patrasso, Iannina”.

Già dal 15 novembre, attorno al Politecnico si erano assiepate migliaia di persone. Distribuivano volantini, raccoglievano pane e latte per gli occupanti. “Allo scopo di isolarci – ricorda Valavani – il pomeriggio del 16 i militari dispersero prima di tutto questa gente, poveri e lavoratori di ogni quartiere di Atene”. “Sui tetti dei palazzi circostanti – continua la parlamentare – erano appostati i cecchini. Dell’esercito? Dell’Asfalia? Dei servizi segreti? Nessuno lo saprà mai, perché su quella strage non è mai stata aperta un’inchiesta”. “Non miravano al cortile, dove eravamo a portata del loro tiro. Sparavano a chi provava a entrare per unirsi a noi”. Infine, alle 2:50 del 17 novembre, un carro armato AMX-30 sfonda il cancello sulla via Patision e i militari stroncano la rivolta con un bilancio che, a seconda delle fonti, va da 24 a una settantina di morti, oltre a un migliaio di feriti.
Le scuse di Washington arrivarono solo nel 1999. Il presidente Clinton in visita ad Atene ammise che “quando la giunta prese il potere nel 1967, gli Stati Uniti permisero al loro interesse di continuare la Guerra fredda di prevalere sul loro dovere di difendere la democrazia”.
Dopo la cruenta repressione della rivolta, viene reimposta la legge marziale e Valavani (che militava nel Partito comunista greco, KKE) entra in clandestinità. Arrestata il 14 febbraio 1974, viene portata nella caserma dell’Asfalia di via Mesogheion. Spedita alla prigione di Koridallos in attesa della corte marziale, viene amnistiata e liberata il 16 luglio 1974 quando la giunta collassa in seguito alla disastrosa avventura militare a Cipro.

Quarant’anni dopo, nell’ultimo romanzo di Petros Markaris (“La resa dei conti”) il suo commissario Charitos indaga sull’uccisione di tre ex ragazzi del Politecnico, corrotti arrampicatori sociali che dopo il ritorno della democrazia nel 1974 hanno sfruttato il prestigio guadagnato durante la resistenza per conquistare denaro e potere.
“Quella del Politecnico è una generazione in parte controversa – spiega Raftopoulos -. C’è chi si è arricchito illecitamente durante i governi del PASOK. Chi ha fatto carriera nella destra, come Chrysanthos Lazaridis (il consigliere del premier conservatore Antonis Samaras che recentemente ha paragonato i neonazisti di Alba Dorata a Syriza, parlando di opposti estremismi, ndr)”. “Tuttavia – sottolinea Raftopoulos – molti di quegli ex studenti svolgono tuttora una funzione democratica rilevantissima, perché all’interno dei loro partiti, con le loro associazioni e attraverso il loro ruolo pubblico alimentano la mobilitazione dal basso nata col movimento anti-austerità”.
Con la disoccupazione giovanile che sfiora il 60% e la Troika (Bce, Commissione Ue e Fmi) che ora esige migliaia di licenziamenti nel settore statale e lo smantellamento dell’industria militare e di quella dei veicoli industriali, nei cortei che quotidianamente attraversano Atene risuona il grido: “La giunta non è finita nel 1973: pane, istruzione, libertà!”. Ne è sicuro Dimitris Papachristos, uno degli speaker della radio che dal Politecnico nel 1973 trasmetteva i suoi appelli all’unità studenti-lavoratori: “la violenza dell’insicurezza e dell’indigenza è peggiore di un manganello, perché ti colpisce nei bisogni quotidiani”. “Viviamo in un’illusione – continua -: una dittatura economica di fatto, ammantata di democrazia, cerca di legittimare soprusi impensabili perfino sotto la giunta”. Mentre l’altra voce della “libera emittente dei greci”, Maria Damanaki, è diventata commissaria europea alla pesca, Papachristos ritiene che a causa delle politiche dell’Ue “stiamo nono solo svendendo il Paese, ma perdendo la nostra indipendenza e sovranità”.
Valavani sostiene che “il regime dei memorandum ha dato vita a una situazione inedita: la classe media è stata marginalizzata, e assistiamo alla sua rapida distruzione. Se la sinistra (la sua Syriza, col e 26,89% e 72 seggi è il primo partito d’opposizione, ndr) non saprà diventare egemonica, ci sarà una radicalizzazione verso destra di quelle centinaia di migliaia di giovani disoccupati e non istruiti che non possono nemmeno emigrare”.

Oltre che all’ideologia nazista, Alba Dorata (6,92% e 18 seggi) si ispira proprio alla giunta: il suo leader, Nikolaos G. Michaloliakos, ha elogiato pubblicamente i colonnelli sotto i quali “il paese prosperava e il debito pubblico era pari a zero”. Il 31 gennaio scorso, parlamentari e militanti del partito neonazista erano presenti in massa ai funerali del colonnello Nikolaos Dertilis, morto a 94 anni dopo 38 passati in carcere per aver assassinato un manifestante durante la rivolta del Politecnico. E, come rivelato recentemente dal quotidiano Katimerini, Michaloliakos e i suoi camerati avevano proposto a Christos Papadopoulos e Iannis Makarezos, entrambi figli di leader della Giunta, di entrare nelle liste di Alba Dorata per le elezioni del 2012.
Dopo l’assassinio, il 18 settembre scorso, del rapper Pavlos Fyssas per mano di un militante di Alba Dorata, le forze politiche e la magistratura stanno facendo terra bruciata attorno ai neonazisti che alle elezioni del 2009 avevano raccolto solo 20.000 voti in tutta la Grecia. Tre anni dopo, anni segnati dalle misure economiche imposte dai memorandum, ne hanno ottenuti 440.000.
Valavani, l’x ragazza del Politecnico, ne è convinta: ”Alba Dorata è molto pericolosa ma è solo un sintomo. Il grande impoverimento della democrazia di cui siamo testimoni oggi in Grecia è causato dalle politiche imposte dalla Troika, da quel liberismo che Saramago ha definito il nuovo assolutismo”.

Nella foto di Francesco Cocco: Nadia Valavani

Il servizio fotografico completo al link: http://fracocco.com/2013/11/14/i-ragazzi-del-politecnico/

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