C’è un punto preciso in cui il nostro corpo non appartiene più né a noi stessi né ai nostri cari.
Non è quello della morte, quello non lo conosciamo e non sappiamo dove si trova.
È quello in cui si presenta al suo interno una minaccia esterna che lui non è in grado di debellare da solo.
È lì che il nostro corpo, così intimo, così personale, smette di essere nostra proprietà privata per diventare territorio di tutti e nello stesso tempo terra di nessuno. Gli serve un medico, prima di tutto, e poi tutto intorno la famiglia, gli affetti, gli amici, qualcuno su cui poter contare.
Se poi la malattia lo trascina in un letto d’ospedale, è lo Stato l’unico a doverci mettere mano. L’unico ad avere mani esperte che sanno come curarlo, come nutrirlo, come toccarlo, girarlo, lavarlo, salvarlo. Mani forti e delicate di medici, infermieri, operatori. Le mani belle e pulite del lavoro umano, quello su cui si ogni Stato dovrebbe investire.
È quando siamo lì distesi, lucidi ma impotenti, incapaci di agire, smarriti e spaventati, o forse incosciente, con l’anima chissà dove. È questo il punto preciso in cui ci rendiamo conto se viviamo in uno Stato buono o in uno cattivo.
Se qualcuno al di fuori dei nostri affetti e dei nostri amori, si prende cura di noi quando non ce la facciamo da soli. Se c’è umanità nei nostri confronti e difesa della nostra vita, indipendentemente da noi stessi, dalla nostra volontà, provenienza o estrazione.
E non solo in senso strettamente medico, ma in tutto quello che fa di noi degli esseri sociali dignitosi, come la casa, il lavoro, l’istruzione.
Vedere in questi giorni tante immagini e leggere tante notizie sulle condizioni in cui stanno operando tutti i lavoratori della Sanità italiana, fa tanta rabbia e dolore. Perché loro ci stanno mettendo tutta l’esperienza, la forza e l’umanità che hanno. Tutta la loro bontà, ma sono troppo pochi, troppo disarmati, per fare uno Stato buono tutto da soli.
Uno Stato buono, è quello che protegge la vita di tutti come fosse un unico, grande “corpo pubblico” che non è di proprietà di nessuno.
In questo senso, Cuba non è venuta soltanto in soccorso ai nostri medici e infermieri, “i nostri eroi nazionali”, ma anche, e soprattutto, a mostrarci come curare il nostro Stato e il nostro sistema liberista malato.
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