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Draghi come deterrente per l’Italexit

Ѐ qualche giorno ormai che – dopo l’intervento di Mario Draghi sul Financial Times – i media rimbalzano l’ipotesi di un prossimo governo a sua guida, che ci trascini fuori dalle pastoie a emergenza conclusa.

Dico “i media” perché Draghi non si è mai candidato, limitandosi invece a esporre la sua ricetta per l’Europa nel suo complesso. Addirittura il telegiornale di Mentana ha diffuso un sondaggio, per indagare l’indice di gradimento popolare di un possibile esecutivo siffatto che includerebbe tutto l’arco parlamentare.

I rappresentanti dei vari partiti, intervistati, hanno espresso opinioni variegate, ma in generale non tali da escludere un loro appoggio; e poi si sa, che le opinioni dei leader di oggi sembrano tanto salde, quanto sono volubili e rovesciabili nel loro contrario al momento opportuno.

Se cercare di capire chi materialmente abbia introdotto per primo questa ipotesi è molto difficile – per quanto interessante – sarebbe più proficuo provare a capirne le motivazioni, che non ci paiono così ovvie. Siamo infatti in una condizione di grave emergenza sanitaria, aggravata da una economica, a sua volta aggravata da una possibile crisi finanziaria, che ci auguriamo non si verifichi.

A complicare il tutto, si devono risolvere le suddette questioni (specialmente le ultime due) tramite una difficoltosa trattativa europea, quale non si era forse mai vista, che potenzialmente potrebbe aprire scenari del tutto nuovi rispetto all’Unione e alla nostra permanenza (o meno) in essa. Il presidente del Consiglio ha avuto ben dire, nell’affermare alla tv tedesca Ard, che siamo di fronte a una svolta storica dell’Europa, e che la posizione italiana e quella tedesca su come prenderla sono divergenti. Niente di più vero. Ѐ tutto da vedere però che al professor Conte sia consentito di condurre questa svolta, e che non sia invece presto rimpiazzato.

Bisogna sottolineare inoltre, che non solo il momento per proporre un’alternativa di governo non è ortodosso per la situazione di emergenza (c’è da ricordare quella dello scorso Ferragosto, in cui si criticò il segretario della Lega per aver scatenato la crisi, in prossimità dell’immensamente minore emergenza delle clausole di salvaguardia da sterilizzare); ma non lo è anche perché l’attuale esecutivo e il suo presidente godono – secondo i sondaggi – di un elevatissimo gradimento popolare.

Si potrebbe obiettare che la proposta di governo Draghi non sia venuta dalla politica, ma dalla stampa. Senz’altro questo è sempre stato il modo migliore per preparare l’opinione pubblica, mitridatizzandola in vista di un grande cambiamento da digerire. E se il pasto da digerire consisterà nell’ennesimo governo tecnico, e bipartisan, bisogna chiedersi in  funzione di cosa.

In un articolo su Huffington Post (29/03/20), Andrea Del Monaco fa notare che l’emissione di titoli di debito comuni vorrebbe dire la fine dello spread Btp-Bund. La presenza di divari così grandi tra le varie economie dell’Eurozona, fa sì che Germania Austria e Olanda possano finanziarsi a tassi zero, a differenza dei rendimenti molto più alti dei titoli italiani e spagnoli, condizione che si aggrava ancor più in momenti di crisi. Ѐ chiaro che la perdita di questo eccezionale vantaggio priverebbe la Germania di buona parte della sua competitività.

Se aggiungiamo questo dato all’atavica paura dei summenzionati paesi di vedere messo in crisi il dogma della stabilità dei prezzi, che assicura il vantaggio commerciale dato da una moneta svalutata rispetto all’economia, capiamo bene come l’egemonia tedesca in Europa sia l’alta posta in gioco di questa partita. Ѐ comprensibile come – in quest’ottica – i paesi della nuova Lega anseatica preferiscano tenere a bada la competitività dell’Italia precludendole “troppo facili” vie di finanziamento, e magari in cambio ammorbidendo l’accesso ai fondi del Mes. Proprio oggi infatti, Klaus Regling – numero uno del fondo – ha aperto alla possibilità di chiedere solo un vincolo alleggerito in cambio dei finanziamenti, ovverosia l’assicurazione che i fondi vengono utilizzati esclusivamente per far fronte all’emergenza sanitaria ed economica.

Non può essere nell’interesse di Germania e satelliti, quello di vedere l’Italia fare la fine della Grecia. Se non altro perché un secondo partito stavolta sembra delinearsi sul serio, dato che la Francia e la Spagna sostengono la posizione italiana. In più c’è l’intervento di Draghi, che già in Germania era stato osteggiato all’epoca del Quantitative Easing, il quale interviene dicendo che d’ora in poi dovremo abituarci alla lievitazione dei debiti pubblici e dei bilanci degli Stati, cui spetta il ruolo di assorbire i debiti privati in momenti di crisi.

Ciò che era dogma ora non lo è più. Infatti è vero che l’ex presidente della BCE parla di far fronte a un’emergenza, ma è altrettanto vero che sostiene il ricorso a più alti livelli di debito e di spesa come futura “caratteristica permanente” delle economie nazionali. Sulla figura di Draghi non c’è tempo di dilungarsi qui (si rimanda al bell’articolo di Lidia Undiemi sull’Antidiplomatico del 30/03/20), ma già poco prima che lasciasse la Banca Centrale avevano fatto scalpore le sue dichiarazioni di apertura verso nuovi approcci teorici di stampo keynesiano, come la Teoria Monetaria Moderna.

Per riassumere, gli orientamenti generali che emergono sono due: un allentamento dei vincoli in fase emergenziale e con alcune condizioni, per poi tornare allo status quo ante; oppure un ripensamento generalizzato e a lungo termine, che implicherebbe almeno una mitigazione dell’egemonia tedesca. Su questa ambiguità anche il nostro premier gioca, avendo parlato giusto poco fa al quotidiano olandese De Telegraaf di misure soltanto “eccezionali”.

Perché allora Draghi presidente del Consiglio, in questo intricato quadro?

Potrebbe essere solo un bluff per sponsorizzare quella linea di pensiero, e coadiuvare il governo nelle trattative con la Grande Germania. Tuttavia potrebbe anche essere qualcosa in più, una sorta di piano B nel caso in cui le cose dovessero mettersi male. Non è affatto scontato, se non poco probabile, che Conte e Gualtieri la spuntino sui coronabond, e anche dovessero riuscirvi i nodi rimangono altri, come quello del ruolo della Banca Centrale, senza i cui acquisti illimitati poco potrebbero i titoli di debito europei.

Se allora l’Italia dovesse trovarsi a fronteggiare una recessione senza strumenti adeguati, magari dovendo accettare pochi spiccioli in cambio di riforme e vincoli – anche di modesta entità – il governo perderebbe di certo la sua discreta fama. Tornerebbe a popolare la penisola il fantasma di Italexit, e allora i gruppi di interesse che finora avevano ventilato il deciso cambio di passo, potrebbero scegliere per un governo autorevole, di unità nazionale, possibilmente tecnico, che mantenga l’Italia nell’Eurozona anche a costi elevati.

 

 

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